C’è grande fervore nei pensatori per i quali la fase due dovrebbe coincidere con un radicale ripensamento del modello di sviluppo.
Diluire le concentrazioni urbane e ripopolare i borghi abbandonati. Fuksas e Boeri, grandi firme del settore, si sono esercitati in due interviste su Repubblica nella proposta di una urbanistica del ‘distanziamento sociale’ che a loro dire dovrebbe rivoluzionare il modello insediativo vigente. Sbalorditivo !
Infatti, hanno riproposto quello che è avvenuto in questi decenni, a partire dai ’70, cioè esattamente da mezzo secolo a questa parte. Il decentramento residenziale, la cosiddetta suburbanizzzione, lo sprawl, con la creazione di marmellate urbane diffuse sui territori. Una macro-polluzione di casette e villette a schiera guidata, nella parte medio-alta del mercato, da una household satisfaction improntata al sogno di una piccola signoria individualista di massa. Inesorabilmente intervallata da centri commerciali, outlet e altri ritrovi da raggiungere in automobile. Con effetti perversi rilevanti in termini di sovraccarico ambientale (erosione, impermeabilizzazione, incremento della mobilità ecc. ecc.).
Un processo per il quale la popolazione residente di tutti i più grandi poli urbani si è redistribuita sul territorio. Nelle aree metropolitane l’addensamento è dovuto oggi alle popolazioni presenti, non a quelle residenti (che sono in calo da ormai molti decenni). Un addensamento funzionale dovuto non tanto alle industrie (tutte ormai rilocalizzate ben al di fuori dei centri) ma alla concentrazione delle attività terziarie. Il distacco fra residenza e luogo di lavoro interessa tutte le popolazioni, ma soprattutto quelle terziarie impiegatizie. Le quali abitano nelle galassie suburbane e vanno a lavorare in centro. Questo modello ha toccato il suo apogeo negli Usa ma ha interessato quasi tutte le aree sviluppate dell’occidente. Da noi, in primis, il sistema padano.
L’unico modo di riformare questo modello (che comporta costi ambientali crescenti) non è perciò di diluire le concentrazioni ma semmai di introdurre rotture nella continuità degli insediamenti, con l’aggiunta di una redistribuzione delle funzioni che minimizzi gli spostamenti fisici. Lo smart working è una illusione. Non solo perchè non è generalizzabile, ma anche perchè indesiderabile. Inoltre lascerebbe intatto il sistema insediativo, mentre larga parte degli spostamenti non sono legati al solo lavoro.
Sistemi policentrici basati su realtà urbane compatte e circoscritte, un sistema christalleriano a bassa gerarchia, è il modello che era stato elaborato nella pianificazione della Provincia di Bologna sotto la direzione di Piero Cavalcoli (a cui io stesso ho a lungo collaborato). Un modello divenuto egemonico nella pianificazione di scala intermedia di molte realtà. Peraltro recepito dall’Imu prima che la sciagurata abolizione delle province mettesse fine a questa storia (come a molte altre di rilievo). Solo oggi ci rendiamo conto, con la debacle sanitaria in corso, cosa abbia voluto dire manomettere i presidi territoriali, e la visione riformista del territorio ad essi connessi….
Dunque, semmai, sistemi urbani compatti, concentrati e ben distanziati, lasciando lo spazio per vaste porzioni di territorio rinaturalizzato. E in senso forte, ben oltre la ‘forma parco’. Vere e proprie aree selvatiche. Se è vero che una delle ragioni dei crescenti contagi virali è anche l’erosione sino ai minimi termini dele zone selvatiche popolate dal regno animale.
A parte che al risanamento igienico delle città ha già provveduto l’urbanistica dell’8-900, sventrando i centri medioevali e abbattendo le mura per far circolare aria, ripopolare i borghi abbandonati è una utopia romantica (a parte i contadini indiani, latitanti, anacoreti e altra rada umanità, chi passerebbe interi inverni nella solitudine di Baragazza, Monte Acuto, Baigno e Rocca di Roffeno ?). Impossibile e anche fuorviante. Magari fossero inghiottiti del tutto dalla selva, questi borghi, come i templi Maja dello Yucatan. Sarebbe l’unico modo di preservarli e consegnarli ai posteri, come reperti archeologici celebrati da Rumiz nelle guide turistiche. Del resto senza le ghost town da visitare, ora che in Cina di grattacieli ce ne sono molti di più, gli Usa perderebbero gran poarte del loro charme.


