I congiunti e i contagi
La discussione semantica sui ‘congiunti’ è stata davvero stucchevole. Come se il governo potesse (dovesse) specificare esattamente con chi dovremmo vederci e con chi no. Nell’idea dei “congiunti” enunciata da Conte in diretta TV c’era senz’altro il pudore di non dover elencare per filo e per segno con chi potessimo incontrarci a breve. E di inviare agli italiani questo messaggio: dal 4 maggio non dovete mica dare vita ad assembramenti, né baciare e abbracciare il primo che passa. Anzi, non baciate e abbracciate nessuno se potete. Limitatevi a vedere le persone più care, che non vedete da tempo, mantenendo sempre le stesse precauzioni. Tutto qui.
Si fa presto a dire: affidiamoci alla responsabilità di ognuno. Certo, indubbiamente. Ma il dibattito pubblico aperto su cosa volesse dire Conte e quali sottili distinzioni scolastiche si nascondessero dietro la parola ‘congiunti’ ha testimoniato come siamo un popolo che, nonostante l’epidemia, ancora deve essere imbeccato per filo e per segno, con tanto di glossario esplicativo (o almeno così ci fanno credere i commentatori e gli opinionisti, che la polemica sui ‘congiunti’ l’hanno subito innalzata a stendardo).
La verità è sempre più semplice delle argomentazioni addotte per trovarla. Volete vedere delle persone, non vi bastano zoom o skype? Fatelo pure, ma con le massime precauzioni, limitatevi ai parenti più prossimi, ai nonni che non vedono i nipoti, ai vostri fratelli e sorelle, e se proprio volete vedere fidanzati e amici (nel senso di relazioni affettive durature), tenetevi a distanza e bardatevi con dispositivi di sicurezza. Anche se mi immagino che non lo farà nessuno. E forse scoprirete persino che è meglio una sana videochiamata, piuttosto che guardarsi da dietro una mascherina a due metri di distanza e con gli occhiali appannati, ma tant’è.
Il dibattito sui ‘congiunti’ e le sciocche polemiche hanno spinto il governo, così, a dare indicazioni precise. Non era necessario, se ci considerassimo davvero responsabili, ovvero in grado di giudicare il bene e il male, e non solo seguire pedissequamente le istruzioni (che poi tanto non seguiamo affatto).
E se la bella sorpresa è stata quella degli italiani che, in base alle rispettive mansioni o capacità o talenti o ruoli, si sono messi a disposizione senza tentennare, la brutta sorpresa (ma poi nemmeno tanto) è stata quella delle discussioni senza né capo né coda, oppure la costante richiesta di chiarezza e puntualizzazione, come se non fossimo capaci noi per primi a giudicare secondo ragione, a stabilire i limiti, a valutare le condizioni e le circostanze, amministrando la dovuta prudenza.
Chi sono veramente gli italiani? Gli spaccatori di capello in quattro e quelli che sollevano critiche quasi per partito preso? Quelli che seguono le regole oppure quelli che non lo faranno mai? Quelli che si lamentano sempre, quelli che si lagnano in retrovia senza pensare a chi sta in prima linea, o quelli che non hanno bisogno di chi li prenda per mano semanticamente e sanno comprendere il senso vero delle cose? I saggi o gli scapestrati? I silenziosi o gli opinionisti? Chi comprende o chi si lagna come un fanciullo? Difficile dirlo, il Covid e la crisi di queste settimane, però, stanno tracciando una linea di demarcazione. Come sempre avviene in questi casi. Saranno anche i nuovi contagi, tra un paio di settimane, a darci la conta di come stiano davvero le cose.


