El Pais del papel
A chi dobbiamo dare retta? Alla informazione, alla carta stampata, alle home page? Oppure a milioni di italiani che sono stati in casa silenziosamente, per paura, per dovere, per solidarietà, per responsabilità, un po’ per tutto questo? Perché da una parte c’è il Paese reale (davanti al quale mi inchino) ma dall’altra c’è il Paese di carta, quello raffigurato dai giornali. Che si comporrebbe di ragazzi che vogliono assolutamente andare a scuola, famiglie che non vedono l’ora di rimandarceli, piccoli imprenditori o artigiani che se non aprono domani, subito, ieri è tutto finito, grandi fabbriche manifatturiere che non avrebbero mai voluto chiudere, governatori che oggi vogliono aprire, domani chiudere, dopodomani chissà, fidanzati allo stremo, parroci e vescovi inviperiti, Renzi che parla come se fosse dominiddio, runners che dopo essersi “scofanati” tutto danno la colpa al governo della pancetta, destra e borghesia che vorrebbero cambiare il governo ieri, oggi, domani, sostenitori del ‘Sì’ al referendum che mettono in guardia contro il pericolo di calpestare la Costituzione, fase due già bocciata ancor prima di cominciare (anzi ancor prima di essere pensata), milioni di studiosi di semantica all’opera nell’analisi della parola “congiunti”, e poi errori, errori e ancora errori di Conte, del governo, della maggioranza, dei loro autisti, delle guardie del corpo, sino ai loro congiunti (appunto).
Cosa dovremmo fare? Smettere di leggere i giornali? Cosa che, peraltro, avviene già progressivamente, soprattutto tra i giovani. Non valgono nemmeno più i cambi di direzione: a “Repubblica” stanno punto a capo, per dire, con la Cuzzocrea che intervista in home page mr. 2%, e con gli opinionisti scatenati contro il governo a prescindere. Direi, anzi, che tutta (o quasi) la stampa è schierata contro il governo, che non vede l’ora di piazzare a Palazzo Chigi un purchessia qualsiasi, perché pensa che così si venderanno più copie, oppure sarà meglio per il Paese, o chissà cos’altro di veramente fico. Chissà cosa c’è nella testa degli editori, dei direttori, delle redazioni: che sia Conte magari a impedire le vendite, o sia un Paese reale sin troppo disciplinato, oppure la persistenza di un virus che non consente giochi immaginativi, ma riporta alla realtà anche gli affabulatori che fanno gli opinionisti a gettone.
Non ce l’ho coi giornalisti e con la stampa, di cui sia sempre salva la libertà. Ce l’ho con un modo pessimo di fare il proprio mestiere. Se fossero chirurghi, opererebbero senza mascherina e con un coltello da cucina invece del bisturi. Non vorrebbe dire che sono contro i chirurghi, ma solo che vorrei facessero bene il loro mestiere. Per questo dico all’informazione di informarci davvero invece di proiettare sullo sfondo ombre cinesi con sotto la didascalia ‘italiani’. Gli infermieri, i medici, il personale delle pulizie, le cassiere, i volontari, gli insegnanti che si sono riconvertiti da casa alle videolezioni, i corrieri: tutti costoro da mesi tirano la carretta e ci salvano la vita. È chiedere troppo che anche informazione e imprenditori facciano la loro parte, facendo semplicemente bene il loro mestiere? Con un occhio alla responsabilità sociale, alla solidarietà collettiva invece che solo a se stessi? Mi pare che il governo (anzi lo Stato) abbia già dato molto e molto darà ancora in termini di manovra economica a sostegno delle categorie, mi pare che chi paga le tasse anche stavolta stia sostenendo chi non le paga. Tutto a posto dunque e nulla di nuovo sotto il cielo: non vi basta? O devo pensare che forse un po’ di immunità di gregge ci sarebbe voluta per davvero anche da noi? Qualche migliaio di morti in più, certo. Ma vuoi mettere apericene, fabbriche aperte, corse nei parchi, bambini a scuola, fidanzati ri-congiunti e cambi di premier a volontà? Grande Paese quello di carta. Già.
(Scusate la lunghezza)


