La scomparsa di una classe amministrante territoriale

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

La scomparsa di una classe amministrante territoriale

Si parla istericamente dei ‘ritardi’ dello Stato e si impreca alla confusione, che a dire dei mestatori sarebbe in capo all’indecisionalità o alla caotica protervia decisionale del governo (dipende da come si va a letto o ci si leva al mattino). Dalle mascherine, alla cassa integrazione, ai sostegni alle famiglie e alle imprese….

La verità è molto semplice. Il Governo emette i suoi decreti e spinge i bottoni che dovrebbero irrorare le decisioni nelle articolazioni del suo corpo funzionale e decentrato (dall’Inps alle Regioni e ai comuni) e negli agenti intermediari del mercato (come le banche). E di lì arrivare ai cittadini e all’economia reale. Un percorso dove però tutto si raffrena, si disperde, si complica, sino a tornare indietro come conflitto istituzionale. Un corpo irrelato, deformato e incoerente che ormai si è staccato dalla testa. Lo Stato spappolato….

Paradossalmente le uniche decisioni mediate da una gerarchia uniforme di comando sono quelle che sono passate dagli interni, dalle prefetture e dai corpi militari centralizzati (dalla polizia ai carabinieri, alla guardia di finanza, all’esercito) Cioè gli apparati di repressione e controllo legale dell’ordine. Gli unici organi capaci di una presenza territoriale omogenea e perciò in grado di trasferire gli impulsi dal centro alla periferia. Il torsolo ‘minimo’ di tutto ciò che resta dell’architettura statale dopo decenni di pratica dello Stato minimo. Lo Stato spolpato privo di attribuzioni gestionali e dì’intervento. Uno Stato prefettizio inscheletrito immerso in una riottosa babele istituzionale i cui manovratori sono personaggi da operetta che operano in franchising con partiti politici esangui come amebe.

Il territorio è ormai totalmente sguarnito dell’elemento politico. Liquefatto, più che autonomo. Non più monitorato, non più seguito, gestito, interpretato. Non più rappresentato da una classe politico-amministrante radicata quanto aggregata in formazioni politiche ‘nazionali’ (quali erano i partiti democratici di massa).
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Le Regioni:sono carrozzoni legislativi con una burocrazia legaiola avulsa dal territorio e una classe politica scadente e da strapaese. Gente che sta serrata dentro un palazzo, che non pratica il territorio e perciò non ne può mediare le domande. Il caso della sanità (massima prerogativa regionale) è emblematico. Ovunque centralizzata nei policlinici, imbastardita con le cliniche private e disancorata dal territorio.

I comuni sono piegati su sè stessi, sempre più municipi incapaci di trascendere il loro limite connettendosi al territorio nel quale sono inseriti e che ordinano funzionalmente (come nel caso dei capoluoghi). Stupidamente i comuni hanno appoggiato la canea distruttiva che ha portato alla soppressione delle Province. Pensavano di fare da sè acquisendo le apponenze provinciali. Alla fine si sono trovati alla mercè della loro incompetenza e vilolentati dal’arroganza dello pseudo dirigismo centralistico dei ‘governatori’ regionali. Paradossalmente avevano più autonomia nello Stato liberale monoclasse quando malgrado la repressione dell’esercito Regio poterono addirittura inventare forma municipali di socialismo…. I comuni come la Comune di Parigi… ( la ‘comouna’, madre artemidea protettrice dei dannati della terra, come la chiamavano dalle nostre parti)… altre classi amministranti, capaci di eroismo….

Le Province, uniche entità che pur nei limiti dei loro poteri aderivano in modo puntuale alla realtà territoriale (geografico-funzionale, storico-identitaria e politica) sono state ridotte a vuote carcasse prive di governo, rappresentatività, operatività. Neanche enti di secondo grado, ma relitti alla deriva. Eppure tutta la società continua ad articolarsi sulla base provinciale: lo spazio meso-sintetico nel quale si condensa l’articolazione nazionale e statale.

Tutto un carrozzone di figuranti televisivi, dacchè alla classe politica post-partitica prese il buzzo di farsi cosmopolita, ‘sprovincializzandosi’. Una manica di ignoranti con laurea… gente da happy hour, fighetti liberal-democratici o cafoni da Papete… e venditori di tappeti da multilevel marketing… Istrioni accompagnati da una imbelle corte di managers e amministrativisti, laddove c’erano politici di professione e una burocrazia tecnica. Lo Stato dei partiti.

Il risultato sono i ponti che crollano, le strade che franano e nessuno più manutiene, le crisi aziendali che nessuno più segue, distretti che scompaiono come buchi neri all’insaputa di tutti, malattie non più seguite nel loro decorso… Non solo l’epidemia ha messo a nudo il vuoto ‘territoriale’ della sanità. Per la ripartenza le Province potrebbero funzionare come stazioni appaltanti in una gestione distribuita e puntiforme dei lavori pubblici. Le Province avevano ottimi uffici tecnici che sapevano progettare strade, ponti, canali….Peccato che non ci sono più. Al caso si dovrà chiedere ai prefetti.

Oggi guardavo un bel servizio di Report sull’argomento, nel quale venivano intervistati Del Rio e la Serracchiani. Nessuno dei due ha dismesso la sicumera. Davanti al disastro neanche la più piccola autocritica. Il Pd (specie al culmine del renzismo) non ha meno responsabilità dei forconi della destra e degli insipienti grillini. Ci vorrebbe una Norimberga per portare tutta questa manica di ciarlatani alla sbarra. Fra tutti gli imputati, quelli del Pd senza alcuna attenuante.

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