Gli odiatori e l’umanità. Un dialogo impossibile.
Ci sarà tempo per decidere se la conversione di Silvia sia un plagio o sia una libera scelte, se proprio l’argomento meriti davvero un dibattito pubblico che nemmeno il Covid. E ci sarà tempo per sminuzzare l’evento (stampa per prima) in mille coriandoli come solo un popolo intero di analisti saprebbe fare.
Resta il fatto, indubitabile, che una ragazza è tornata a casa dopo 18 mesi passati nelle mani dei sequestratori, è tornata sana e salva, e una vicenda dolorosa per la sua famiglia e per quella parte del Paese che crede nella cooperazione è terminata in bene.
Il resto è davvero una specie di fumisteria d’oppio. Per non parlare della feccia che coglie l’attimo per scaricare bordate di insulti, insinuazioni, frasi irriguardose, minacce di ogni tipo su una giovane donna che non ha colpe né responsabilità. Meno comunque di chi ha scambiato il Papeete per Palazzo Chigi.
Io francamente di costoro me ne vergogno. Mi vergogno di questa genìa di risentiti, odiatori, frustrati, donne e uomini di destra e non solo che, pur circondati ancora da morte e sofferenza, scelgono di mostrare la propria anima nera nel modo semi-anonimo e furfantesco dei commenti sui social.
Ho vergogna, perché me li immagino qui davanti: donne e uomini che nella vita quotidiana, magari, sono persone del tutto insignificanti (poco male, perché essere persone comuni non è affatto un disvalore, anzi), ma che trovano nella tastiera del PC uno strumento di sorda rivalsa al nulla che prende possesso di loro.
Questo lato oscuro dell’Italia è la zavorra che ci impedisce di decollare, almeno nei sentimenti e nelle passioni. Il punto non è avere un’opinione diversa, perché questa è la democrazia che vogliamo.
Il punto è non avere un’opinione ma solo un sentimento di odio e di frustrazione che ci rode dentro, e una sorta di pulsione di morte che non gestiamo e che scagliamo contro le persone più fragili e indifese, ovvero contro gli altri in genere.
È come se la vita fosse solo quel biascicare sordo, quell’ostinato turpiloquio, quel risentimento costante e non la cosa che è: un modo per esprimere in tante forme e modalità, le une diverse dalle altre, la propria incontenibile umanità.


