E’ giustificata l’enfasi con cui viene considerata la Confindustria?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Giovanni La Torre
Fonte: i gessetti di Sylos

E’ giustificata l’enfasi con cui viene considerata la Confindustria?

Il risalto dato dai media all’incontro tra Conte e Bonomi, presidente della Confindustria, agli Stati Generali ha confermato l’alta considerazione di cui gode l’associazione degli industriali italiani. Se si fossero incontrati Trump, Xi Jinping e Putin, non so se avrebbero riscosso la stessa importanza sulla stampa. E’ giustificato tutto questo, o si tratta solo di un retaggio dei decenni passati che non so fino a che punto valga oggi completamente?
Da molti anni ormai il contributo del comparto industriale al Pil è in calo irreversibile, mentre cresce quello dei Servizi, e questo in tutti i paesi sviluppati. Partendo da dati della Banca Mondiale per il 2018 possiamo rilevare che, relativamente ai paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Usa), la contribuzione % al Pil (inteso come Valore Aggiunto) del comparto industriale va dal 19% di Usa e Francia al 30% della Germania, mentre il comparto dei Servizi contribuisce dal 69% della Germania all’80% circa degli Usa, Regno Unito e Francia (per completezza diciamo che il contributo dell’Agricoltura va da meno dell’1% di Usa e Regno Unito al 2,2% dell’Italia). Per quanto riguarda più in particolare il nostro paese, grazie all’Istat disponiamo dei dati del 2019, i quali coincidono con quelli 2018 della Banca Mondiale, e sono: agricoltura 2,2%; Industria 23,9%; Servizi 73,6%.
L’apporto del comparto industriale al Pil italiano è meno di un quarto, e in Francia, Usa e UK è addirittura inferiore a un quinto. L’industria, soprattutto quella meno qualificata, ma non solo, va sempre più spostandosi verso i paesi in via di sviluppo. Certo, in alcuni paesi può esserci il sospetto che la dilatazione del terziario non sia solo il portato dello sviluppo, perché molto spesso è lì che si rifugiano i disoccupati “occulti”: chi non trova lavoro apre un negozietto, anche se ricava appena per sopravvivere. Fatto sta, però, che questa è la tendenza per il mondo sviluppato, e l’Italia è su quella via.
I dati Istat per il 2019 ci consentono di disporre anche di altre disaggregazioni, e allora scopriamo che se isoliamo la sola industria “manifatturiera” (cioè escludiamo le estrattive, le costruzioni, la fornitura di energia e acqua) la contribuzione al Pil si riduce al 16,6%. Se, per contro, all’interno dei “servizi”, prendiamo il settore comprendente “Commercio al dettaglio e all’ingrosso, riparazione auto e motoveicoli, trasporto e magazzinaggio, servizi di alloggio e ristorazione” notiamo che contribuisce per il 21,6%, quello dell’ “amministrazione pubblica” per il 16,4%, il “professionale” per il 9,6%, tanto per fare altri esempi.
Insomma, non voglio assolutamente sminuire l’importanza che ha il settore industriale, però che eserciti ancora un egemonia nel campo sociale mi sembra un po’ esagerato. Come pure, quando ci si pone il problema del futuro, dei programmi di sviluppo, per esempio per la questione della produttività, è bene che si abbia davanti anche, se non soprattutto, la situazione del terziario.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.