L’esplosione dei debiti pubblici e i rischi del MES

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Guglielmo Forges Davanzati
Fonte: Nuovo Quotidiano di Puglia

La crisi sanitaria del 2020 sta determinando un aumento dei debiti pubblici in tutti i Paesi industrializzati e, simultaneamente, un crollo del tasso di crescita. E’ molto discutibile che fra i due fenomeni vi sia una correlazione certa e valida per ogni Paese. Il punto rilevante riguarda l’uso che si fa della spesa pubblica e dunque le determinanti del debito.

Il tema è oggetto di rinnovato interesse, soprattutto a proposito della necessità di avvalersi o meno del cosiddetto MES (o fondo salva Stati). In estrema sintesi, il MES è un dispositivo messo in atto in sede europea per finanziare, a tassi di interesse molto bassi, investimenti nel settore sanitario dei Paesi che se ne avvalgono. I suoi difensori ritengono sia assolutamente irrazionale rifiutare questo finanziamento, mentre i suoi oppositori mettono in evidenza i rischi di ‘condizionalità’ previsti da questo meccanismo. La condizionalità si riferisce al controllo esterno dell’uso dei fondi e ciò che viene temuto è un ingresso della commissione europea nella gestione della politica economica nazionale.

I rischi del MES sono tuttavia altri. Se l’Italia dovesse decidere di espandere il suo debito pubblico ricorrendo a questo strumento lancerebbe ai suoi creditori il segnale di non potercela fare da sola, ovvero di avere un suo debito pubblico ai limiti della sostenibilità. Sarebbero per conseguenza richiesti più alti tassi di interesse – fermi restando quelli bassi applicati ai fondi MES. E’ questo l’unico vero rischio associato a questa operazione. Ma non c’è da nascondere che la nuova Europa si muova tardivamente e in modo contraddittorio. Al di là dei rischi del MES, l’altro strumento messo in campo – il Recovery Fund – non è esente da critiche. Come è stato messo in evidenza, i fondi stanziati, anche nell’ipotesi più favorevole di approvazione definitiva entro agosto – sarebbero utilizzabili solo nel 2021 e per una percentuale del solo 9%, mentre la gran parte delle risorse arriverebbe solo nel 2023.

L’alternativa ammissibile – ovvero rifiutarsi di indebitarsi con il Fondo Salva Stati – consiste in un aumento del debito dello Stato italiano, ai tassi di interesse vigenti. Va precisato che sebbene il debito pubblico italiano sia molto alto, esso è inferiore a quello di alcuni Paesi del nord Europa se si contabilizza anche il debito delle famiglie. Il cosiddetto debito sovrano di quei Paesi risulta dunque superiore a quello italiano, a ragione del fatto che l’Italia ha una forte propensione al risparmio.

L’elevata propensione al risparmio delle famiglie italiane viene normalmente spiegato considerando che l’Italia è arrivata relativamente tardi al processo di industrializzazione e che economie con una forte incidenza dell’agricoltura (come ancora lo è il nostro Mezzogiorno) sono economie nelle quali le famiglie tendono ad adottare comportamenti frugali, posticipando i consumi.

La proposta della Lega di approfittare degli elevati risparmi privati per far comprare titoli di Stato alle famiglie è difficilmente comprensibile, dal momento che occorrerebbe la volontà delle famiglie italiane di farlo. E occorrerebbero altre condizioni, fra le quali rendimenti superiori a quelli della media dei titoli europei o di altri Paesi (a parità di sicurezza). In altri termini, la Lega propende per una sorta di investitore patriottico, che – nelle condizioni date – proprio non si vede.

D’altra parte, l’opposizione al MES con l’argomento delle condizionalità è anche questo discutibile, dal momento che ogni prestito prevede forme di controllo sulla spesa ed è del tutto ragionevole che tali controlli vi siano. Sia sufficiente, per il caso italiano, considerare come sono spesi male e tardi i fondi strutturali europei destinati alle aree più deboli del Paese.

Certamente ci si potrebbe aspettare dall’Unione Monetaria Europea meccanismi di finanziamento più efficaci di quelli posti in essere. Per esempio, la banca centrale europea potrebbe diventare di fatto l’istituzione che monetizza la spesa pubblica dei Paesi membri, a condizione di sgombrare il campo dalla visione semplificata per la quale la spesa pubblica nei Paesi del Sud è solo fonte di spreco e inefficienze. E di sgombrare il campo dall’idea per la quale sono i contribuenti tedeschi e del Nord Europa a pagare le nostre inefficienze.

C’è da aggiungere che il nostro debito pubblico – anche al di là dell’indebitamento con l’Europa – può dirsi sostenibile se il tasso di crescita dell’economia italiana supera il costo del debito. Occorre dunque individuare meccanismi che attivino la crescita soprattutto mediante un aumento della domanda interna. Purtroppo, l’attuale esecutivo, peraltro in linea con quanto fatto dai passati governi, sta utilizzando i margini di manovra fiscale per interventi di spesa corrente che hanno un modesto impatto sulla crescita di lungo periodo. Recenti ricerche hanno messo in evidenza come un programma di socializzazione degli investimenti, soprattutto nel settore sanitario, potrebbe essere di estremo rilievo per realizzare quel cambio del modello di sviluppo da più parti auspicato. Si tratterebbe di un’ipotesi auspicabile e fattibile. Al netto delle possibili criticità del fondo MES, lo si potrebbe utilizzare in tal senso, approfittando delle mutate condizioni politiche nell’Eurozona.

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