L’epidemia, il PIL e il non-PIL. La “cura” come base di un’economia rovesciata

per Gian Franco Ferraris

L’epidemia, il PIL e il non-PIL. La “cura” come base di un’economia rovesciata.

Non so se seguiate il dibattito in corso tra l’amministrazione americana e Fauci. Oggi il Corsera lo intervista e fa un suntino della questione. Per Trump, il governo USA avrebbe fatto un buon lavoro, per Fauci non è così, anzi “l’epidemia è fuori controllo” dice. Deborah Brix, che coordina la task force anti virus della Casa Bianca, ribatte che ci sono meno decessi e siamo solo al “rimbalzo” del virus. Fauci la liquida dicendo “è solo narrativa”. Chi ha ragione? A vedere il numeri, direi Fauci, che difatti è tornato a essere ascoltato da Trump. E certo che ci sono meno decessi! La pratica di cura in questi mesi è divenuta necessariamente più efficace, non poteva essere altrimenti. Ma i contagi sono alle stelle e mettono a dura prova gli ospedali americani: la Florida, ad esempio, pare abbia dichiarato sold out.

Fauci chiosa dicendo che Trump è molto occupato sul terreno economico, ossia teme che la pandemia riduca la competitività e metta in ginocchio il sistema. Per un Presidente in campagna elettorale, i dati sulla occupazione sono tutto o quasi. Se non che, la pandemia non ha solo risvolti economici, e questo Trump non lo capisce, come non lo capiscono quelli che ritengono il PIL il motore unico di un Paese. Dimenticando che il non-PIL, cioè i sistemi di cura, l’istruzione, i servizi sociali, l’assistenza, la protezione civile, sono in realtà le ultime ed essenziali colonne deputate a reggere le sorti in una situazione allo stremo, che è poi quella che stiamo vivendo ovunque. Pensare il PIL avulso dal non-PIL, la produzione di ricchezza materiale dai servizi di cura e assistenza sanitaria e sociale, è veramente da pazzi. Così come pensare l’economia “reificata”, assolutizzata e “separata” da tutto il resto (e il “resto” sarebbe l’umanità sofferente) è quanto di più dogmatico e di “di classe” si possa pensare.

Puntare solo sul PIL vuol dire quindi indebolirlo, perdere comunque punti in percentuale, soprattutto se la crisi sanitaria imperversa e i servizi non sono in grado di sostenerne il peso. Insomma, se gli ospedali esplodono, se il virus corre e fa crollare l’assistenza sanitaria, a che servono le offerte speciali, i bonus, i 3×2 – a che serve tenere tutto aperto. Il sistema del PIL (la nostra ricchezza materiale) e quello del non-PIL (la nostra ricchezza sanitaria, sociale e culturale) non vivono separati. Come il secondo non funziona se mancano le risorse, così il primo non “produce” ricchezza se la gente soffre e muore, e incerta e spaesata, e distoglie perciò il suo interesse dal consumo.

Non si rilancia la domanda facendo “narrativa”, come giustamente rimarca Fauci a proposito della Brix. Non serve far credere il contrario di quanto sta accadendo. Non serve “raccontare” sciocchezze pur di farci spendere qualche soldo in un ristorante o in un negozio. E la fiducia non si conquista a chiacchiere, come fanno i piazzisti. Al contrario: il non-PIL è la la solida base di umanità su cui, solamente, è possibile rilanciare in termini nuovi la produzione e il consumo. Non clienti o consumatori ma persone, questa è l’idea di fondo. Solo se si rafforzerà la cura e se cesserà l’incertezza globale sulla vita delle donne e degli uomini reali (e qui il vaccino gratuito a tutti fa la differenza), sarà possibile rilanciare la domanda e i consumi, stavolta però su basi nuove, non su quelle dello sfruttamento illimitato delle risorse e dell’uomo. E non sui tempi brevi del consumo ma su quelli più ampi di un’altra prospettiva. L’occasione del virus è questa, bisogna essere ciechi o stupidi per ignorarla. Speriamo che almeno in Europa questo lo abbiamo capito.

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