Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Lo Stato padrone e le prebende pubbliche
C’è una locuzione, “Stato padrone” che comincia a riaffiorare sulle labbra e sulle tastiere dei politici di destra e dei giornalisti legati al mondo delle imprese. Una locuzione che dà l’idea di un Moloch che si divora tutta l’iniziativa privata possibile, e dunque tutta la mitica “libertà” di intrapresa. Un attentato alla libertà a opera di un settore pubblico vendicativo, dopo tanti anni di privatizzazioni. Ma è così? Verrebbe da ridere se non fosse da piangere. In realtà il capitalismo italiano è il più assistito e coccolato dalla preistoria a oggi, soprattutto quello grande, quello delle grandi famiglie e delle fusioni internazionali. Sono i campioni dei costi socializzati e si permettono pure il lusso di raccontare la balla dello Stato padrone, delle nazionalizzazioni, degli espropri come se fosse vera.
Quelli che parlano di liberismo sono i primi a temerlo, perché vorrebbe dire fine delle prebende, dei bonus, degli sgravi, dei mercati assistiti, delle brache pubbliche: e senza tutto questo del mondo delle imprese resterebbe solo un ricordo vago. È proprio quel mondo a invocare continuamente lo Stato, a pietire denaro pubblico, a chiedere risorse, investimenti (altrui), sostegno sfacciato. Alcuni scostumati sono persino arrivati a chiedere di tassare il salario, per ridistribuire il malloppo a chi soffre la crisi (compresi quelli che spostano la sede legale all’estero). Dopo tanti anni ho rivisto il marchio FIAT (ma non dovevamo vederci più?) negli spot dell’automobile italiana con sede in Olanda – spot nati in contemporanea alla richiesta al governo di qualche miliardino di denaro pubblico in prestito. L’italianità: la firma finale di tutte le nefandezze possibili, a partire da Alitalia.
Glielo darei io il lilberismo, altro che salvataggi di Stato! La stessa Aspi aveva in concessione un’infrastruttura pubblica, un patrimonio di tutti. È su quel patrimonio, scarsamente manutenuto peraltro, che ha fatto “impresa”, mica su strutture realizzate con capitale privato. Tutti bravi così. Tanto ci sono i cittadini e i lavoratori a metterci una pezza, come si dice a Roma. Gli stessi lavoratori che dovrebbero adesso rinunciare a una parte dei loro salari come ai tempi dei padroni delle ferriere, per sostenere il Paese in tempi di crisi da Covid. Mi riferisco allo stesso mondo delle imprese che non voleva chiudere nemmeno quando già circolavano i camion stracarichi di bare. Altro che riforme strutturali, in Italia ci vorrebbe una riforma dell’etica nazionale per bloccare la sempiterna corsa al gruzzolo pubblico, che si trasforma, da una parte, in profitto privato e, dall’altra, nel più classico costi pubblici. Poi dice il capitalismo!


