Bielorussia: niente di nuovo sul fronte orientale?
La Bielorussia, dieci milioni di abitanti, rappresenta una dittatura personalistica sopravvissuta all’implosione dell’Unione Sovietica.
Preoccupati per gli effetti del coronavirus, noi prestiamo poca attenzione alle manifestazioni di protesta che decine di migliaia di dimostranti da ben undici week-end organizzano a Minsk, la capitale della Bielorussia autoritariamente governata da Lukashenko a partire dai primi anni Novanta del secolo scorso. La richiesta è semplice, ma impresentabile nel regime dittatoriale: libere elezioni e democrazia!
Non sono le prime rivolte cui assistiamo contro regimi autocratici nel nuovo millennio, in cui pare proprio che la democrazia sia in affanno, ma dobbiamo sperare che gli esiti siano diversi. Le proteste sono mosse soprattutto dalle nuove generazioni, in grado di usare abilmente le nuove tecnologie di comunicazione per cambiamenti radicali. Ma non sempre i risultati sono andati nella direzione auspicata. Nell’ultimo decennio vi sono state 20 istanze contro regimi verticistici, ma soltanto in un paio di casi vi è stata una vera transizione democratica. Diverse le ragioni: i regimi mnacciati hanno posto in essere chiusura di organizzazioni non governative, bavagli ai media indipendenti sino al blocco di Internet, blocco di aiuti finanziari dall’estero, controllo poliziesco (sovente brutale, grazie ai famigerati squadroni OMON nel nostro caso) delle piazze.


La polizia blocca i dimostranti a Minsk
Nel caso della Bielorussia, inoltre, gioca il contesto internazionale: il peso della Russia, potente autocrazia da in lato e, forse, l’inconfessato obiettivo dell’Occidente di mantenere un “cuscinetto” fra Europa e Russia dall’altro. Basta verificare le sporadiche e deboli o flebili proteste dei paesi occidentali, degli USA e della NATO, a parte formali minacce di sanzioni e non riconoscimento dei risultati elettorali di agosto. Peraltro, anche Putin, pur mandando polizia segreta e minacciando mobilitazione di truppe ai confini, non sembra intenzionato a forzare la mano. Il potere dello status quo!

Il grafico segnala le “difficoltà” delle democrazie (Fonte L. Diamond su dati Freedom House)

Aliaksandr Lukashenko era stato un manager di una azienda agricola collettiva di maiali durante il regime sovietico.
Ma in ogni caso la protesta, animata dalla società civile, svolge l’effetto di “costruire la nazione” una fase importante nella affermazione della democrazia. Una protesta che, guidata dalle donne, come vedremo, mette assieme il piccolo ceto medio, operai (un primo grande sciopero si è svolto, nonostante gli arresti, proprio in questi giorni), pensionati e studenti. E, nel nostro caso, è anche da segnalare la durata della protesta, ormai da mesi ricorrente dopo le “fraudolenti” elezioni presidenziali del 9 agosto, segnate da brogli diffusi, che avrebbero confermato per la sesta volta il dittatore alla presidenza con l’80% dei voti. Tra gli oppositori nella competizione elettorale troviamo un candidato arrestato, uno costretto a rifugiarsi all’estero, un terzo bocciato dalla locale Commissione elettorale.
Stagnazione economica, stipendi bassi (media di 139 dollari al mese), precaria qualità della vita, e spinta partecipativa delle nuove generazioni hanno rafforzato la mobilitazione cognitiva.
Nel prosieguo del lavoro, ci soffermeremo soltanto su alcune peculiarità dei movimenti di protesta in Bielorussia. Anzitutto, lo straordinario ruolo giocato dalle donne, protagoniste delle piazze e dei media nell’opporsi al regime dittatoriale.
Il ruolo delle donne come leaders della protesta: Svetlana Tikhanovskaya, Maria Kolesnikova e Veronica Tsepkalo (la seconda rifugiata in Lituania, la terza in Polonia). Sono le donne a guidare la protesta, diventando il nuovo simbolo dell’opposizione.

Veronika Tsepkalo a sinistra, Svetlana Tikhanovskaya e Maria Kolesnikova durante un comizio elettorale a Minsk,30 luglio 2020
Svetlana è la moglie del blogger Siarhei Tsikhanouski, il vero candidato anti Lukashenko, ma arrestato nella primavera antecedente le elezioni. Svetlana ne ha preso il posto e, con una campagna efficace, ha ottenuto un consenso significativo nella società, ma non ritrovato ufficialmente nei voti alle elezioni.

La protesta guidata dalle donne appare più inclusiva, meno violenta, più versatile e più testarda. Fenomeno peraltro già osservato in altre situazioni di crisi sistemiche come in Algeria, nelle primavere arabe, nella piazza Maidan di Kiev. Hanno l’abilità di rafforzare la legittimazione delle domande del movimento.


(Sergei Gapon / AFP / Getty)
Una autorevole icona delle proteste bielorusse è la settuagenaria Nina Bahinskaya. La nonna attivista è diventata famosa per il suo confronto senza timore, faccia a faccia, con la polizia che voleva strapparle la bandiera: una immagine presto diventata virale, assieme al fatto di aver apostrofato il poliziotto con questa frase ironica: ” tratteresti così tua madre?”.
Merita poi segnalare che momenti di protesta hanno trovato l’adesione di alcune fabbriche, come la Belaruskali, industria internazionale di fertilizzanti e la Minsk Automobile Plant, una delle più grandi fabbriche dell’automotive dell’Est Europa. Lo stesso può dirsi per il movimento sindacale che, dopo una posizione di attesa, si è più volte schierato con i protestanti sino ad uno sciopero generale

Lavoratori della Grodno Azot incrociano le braccia
Seconda annotazione. Uno dei tratti più caratteristici dei movimenti di protesta in Bielorussia è riconducibile a quella tecnica utilizzata dalla seconda metà del secolo scorso dai movimenti di protesta: la tecnica della “vertenzialità massmediale”, vale a dire l’utilizzo di strumenti e simboli irrituali dal forte impatto emotivo sull’opinione pubblica e sui media. Segnaliamo quelli più intriganti utilizzati dai dimostranti bielorussi: i braccialetti bianchi, i poster dell’era sovietica “adattati”, i palloncini bianchi e rossi(i colori della bandiera storica del paese), la musica rivisitata del periodo sovietico.
Gli oppositori a Lukashenko stanno rispolverando, adattandoli ironicamente, poster della propaganda sovietica contro i regimi autoritari. Ad esempio, la carta da gioco in mano ad una donna che protesta rappresenta Lukashenko avvolto nella bandiera della Bielorussia sovietica adottata nel 1955. La B rappresenta in cirillico la parola “valletto” o “servo”.

Oppure, quest’altra foto è un gioco su un famoso poster della propaganda sovietica ai tempi della guerra, in cui si dichiarava che “il fascismo è il peggior nemico delle donne. Tutte devono insorgere per combattere il fascismo”. In questo poster le donne della manifestazione gridano “Il Lukashenkismo è il peggior nemico delle donne. Tutte insorgano e combattano”.


Ancora, copiando da un famoso manifesto che incitava ad arruolarsi nell’esercito per la guerra, al motto “la terra madre ti chiama”, è stato proiettato sul muro di un palazzo l’immagine della leader dell’opposizione Maria Kolesnikova con il passaporto in mano e la frase “Masha, la terra madre ti chiama”, per ricordare che il regime le ha tolto il passaporto.


Il tentativo di riunire le diverse anime della protesta è sfociato nella costituzione di un Consiglio di Coordinamento il 14 agosto, formato dai leaders delle diverse anime del movimento. Ma la polizia di Lukashenko ha sciolto il Consiglio già il 24 agosto


Dimostranti e polizia si fronteggiano a Minsk, 14 agosto 2020


MINSK, 16 agosto 2020: gli oppositori si trovano presso Minsk Hero City Obelisk.

Il bianco è diventato colore centrale nelle proteste: le donne vestono di bianco e invitano a indossare braccialetti bianchi nelle dimostrazioni antigovernative, formando vere e proprie catene umane nella capitale e nelle piazze delle principali città. Bianco come simbolo di pace e come colore fondamentale (con il rosso) della bandiera bielorussa prima dell’era sovietica.


Fiori. Nel corso delle manifestazioni le donne partecipanti alle proteste tengono in mano fiori, bianchi o rossi. In molti casi i fiori sono stati offerti alle forze di polizia, che in genere hanno represso con forza le manifestazioni di piazza.

La musica, colonna sonora della protesta.
Durante le manifestazioni molta musica, in particolare la nota canzone di Viktor Tsoi e la band Kino, dell’era della perestroika, “Peremen!” (Voglio cambiare!), suonata da violinisti in piazza o diffusa dagli smartphones. In alcuni casi i DJ che mettevano questa canzone sono stati arrestati. Si sono sviluppati anche nuovi testi di canzoni a sostegno delle dimostrazioni: il rapper bielorusso Max Korzh (“The Times”), le performances a favore dei dimostranti della band rock Petlya Pristrastiya (Ciclo di dipendenza), il gruppo Naka, la band punk Dai darogu! (Fare spazio!), la band Gryaz (“Sporco”) da Mogilev con la canzone “Change”. Ancora, molti video anti-regime, da quello del gruppo Sirop (Sciroppo) con “Terra madre” e “Grazie Sasha” (diminutivo di Alexander, il nome di Lukashenko). Il gruppo Tor Band, proveniente da Rigachev, ha scritto un brano contro l’affermazione di Lukashenko che, di fronte alle rivolte di piazza, dichiarava che chi protestava era “un popolo non degno di essere chiamato nazione”. La band Litesound, che rappresentò la Bielorussia a Eurovision 2012, ha dedicato la sua canzone “Noi siamo gli eroi” ai dimostranti. Di conseguenza le loro apparizioni sono state eliminate dai canali televisivi di Stato. La musica che conclude i discorsi di Svetlana è ripresa da un vecchio canto catalano “I muri cadranno” e riscritto dalla band Moscovita Arkady Kots. Un altro gruppo che da sempre usa la musica per segnalare i soprusi del regime è NRM (Nezalezhnaya Respublika Mroya, cioè Indipendente Repubblica del Sogno), una band di Minsk le cui musiche fanno sovente da colonna sonora nelle piazze della protesta. Tra queste la più nota è “Tre tartarughe”.
La protesta bielorussa rappresenta un esempio di impegno della società civile di fronte a un regime sordo, ma in grado di controllare la situazione e pronto ad usare la forza. Tuttavia, non si può ignorare il coraggio delle donne, la capacità di avere un impatto sui media, la forza di riuscire a mobilitare diversi ceti e gruppi sociali. Purtroppo, manca un risoluto impegno della comunità internazionale, almeno nel far rispettare i diritti umani.
Andrea Mignone


