Fonte: Minima Cardiniana
GIGI PROIETTI, L’OTTAVO RE DI ROMA
Stava compiendo ottant’anni, il grandissimo Gigi Proietti, all’anagrafe Luigi. Ma forse, come ci ha raccontato il collega ma soprattutto amico di una vita, Enrico Montesano, ha preferito lasciarci così, con un’ultima “mandrakata”, nello stile del personaggio da lui interpretato e reso famoso da un film diventato cult, Febbre da cavallo (1976). Se n’è andato all’alba del giorno del suo compleanno, lo sorso 2 novembre, per un arresto cardiaco. Un gigante della nostra cultura, un maestro del teatro prestato al cinema e alla televisione, in tutti i sensi uno straordinario compagno di viaggio, quasi fosse un amico di “famiglia”. Un talento più unico che raro assecondato da anni di studio e gavetta, sudore e fatica, in un’epoca durante la quale un fiore che nasce non può sbocciare senza un duro lavoro che renda fertile il terreno.
Che dire di Proietti, se non quello che personalmente ho apprezzato di più. Non è possibile citare neanche una piccola parte di ciò che ha realizzato e (fortunatamente) ci ha lasciato. È stato un po’ tutto: attore, doppiatore, conduttore televisivo, cabarettista, cantante, direttore artistico, regista. Il teatro ha rappresentato senz’altro la sua dimensione elettiva: alla fine degli anni settanta assunse la direzione artistica del Brancaccio di Roma, creando un laboratorio per formare giovani attori tra i quali, negli anni, si sono distinti per esempio Giorgio Tirabassi, Enrico Brignano, Francesca Reggiani, Gabriele Cirilli. Nel 2003 riuscì a realizzare il suo sogno con la nascita del Globe Theatre a Roma, un teatro ricostruito architettonicamente sul modello del Globe di Londra, il teatro più famoso del periodo elisabettiano all’interno del quale si rappresentavano le opere di William Shakespeare.
Le sue straordinarie doti di trasformista lo consacrarono pienamente nella dimensione del One-Man Show: il suo spettacolo A me gli occhi, please si rivelò un grandissimo successo, tanto da essere riportato in scena nel 1993, nel 1996 e infine nel 2000. Erede di Ettore Petrolini – che imiterà più volte nel ruolo di Gastone –, Proietti è riuscito a farsi apprezzare anche in televisione nel ruolo di conduttore: fu lui a raccogliere il testimone lasciato vacante da Corrado e a condurre Fantastico 4, nel 1983, edizione giudicata “sfortunata” in termini di ascolti (il gruppo Fininvest, all’epoca, stava cominciando la sua scalata privando le reti pubbliche dei suoi elementi migliori a suon di contratti miliardari), ma decisamente valida e divertente nel segno del trattenimento “intelligente” e di qualità; o come attore nelle fiction, per esempio in Un figlio a metà a oppure nel ruolo del maresciallo Rocca durante gli anni novanta.
Avrebbe potuto regalarci molto di più a livello cinematografico, le doti senz’altro non gli mancavano. È pur vero che il livello culturale delle produzioni cinematografiche è andato progressivamente scemando negli ultimi tre decenni almeno, e probabilmente sarebbero andate strette a un talento come il suo. Perché uno dei suoi meriti più grandi è stato quello di non aver mai rinunciato alla qualità delle sue produzioni e, soprattutto, interpretazioni: mantenersi popolare garantendo al tempo stesso la denominazione di origine controllata e garantita di quanto proposto è impresa ardua e difficilissima. Ma il grande Gigi c’è sempre riuscito, senza mai piegarsi all’accademia da una parte o alla banalità dall’altra.
Il suo capolavoro? Viene citato pochissimo, tanto che la RAI si è lasciata scappare un’occasione d’oro, visto che avrebbe potuto trasmetterlo nelle scorse serate, invece di (ri)proporre interpretazioni “minori” e ben più inflazionate. Si tratta de I sette re di Roma, spettacolo teatrale di Luigi Magni, regia di Pietro Garinei e musiche di Nicola Piovani, rappresentato per diverse stagioni al teatro Sistina di Roma a partire dal 1989. Uno straordinario viaggio nella città eterna, una sorta di musical nel quale Proietti interpreta da solo i sette re più altri personaggi in chiave comica e, soprattutto per i giovani, decisamente istruttiva. Proietti è incontenibile, padrone assoluto del palcoscenico per circa tre ore, senza flessioni, senza pause, accompagnato dalla “divinità” Giano Bifronte, interpretato magistralmente dal grande Gianni Bonagura. Trovatelo, guardatelo, riguardatelo, fatelo guardare.
Una curiosità: il doppiatore dello Stallone del primo Rocky è lui, non Ferruccio Amendola (altro mito assoluto), che comincerà a prestare la voce a Balboa a partire dal secondo capitolo della saga.
Di Proietti mancherà tutto, anche il suo sguardo malinconico. Nella triste consapevolezza che di artisti così non ne nasceranno più.


