Autore originale del testo: Gianni Cuperlo
SULLA PATRIMONIALE
Bene, mettetevi comodi (se potete) che oggi si fa tardi, ma rispondo ad alcune richieste avanzate due giorni fa nei commenti a un post che si occupava d’altro quindi non si accettano proteste sulla lunghezza. Chi vuole si fermi subito, gli altri (se ci sono) “venghino”.
Allora, per prima cosa distinguerei tra il tema, in sé complesso e oltre modo serio, e l’episodio, parlo dell’emendamento che ha sollevato il clima polemico esploso da ultimo.
Partiamo dal tema.
Da diversi anni, più o meno un paio di decenni, l’intero Occidente conosce un allargamento della forbice delle disuguaglianze che passa anche, direi soprattutto, da una polarizzazione della ricchezza. Tradotto, i ricchi che diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Di fronte a dati inequivocabili (per chi voglia scavare di più esistono dotti volumi corredati da cifre esplicite) lo stesso Fondo Monetario Internazionale (non propriamente il collettivo di Via dei Volsci) non esclude la via di un aumento del prelievo sui detentori di grandi ricchezze.
Il ragionamento degli economisti del Fondo è che un eccesso delle disuguaglianze finisce inevitabilmente col danneggiare la stessa crescita economia generando squilibri nei singoli Stati e nei rapporti commerciali (concetto quest’ultimo ben argomentato di recente da Enzo Visco).
Persino negli Stati Uniti (non propriamente il centro sociale Leoncavallo) vi sono economisti di vaglia che hanno azzardato l’ipotesi di un prelievo del 2 per cento sui patrimoni sopra i 50 milioni di dollari e del 3 sopra il miliardo.
Tanto per dire che il termine “patrimoniale” solo nel vuoto di un dibattito straniato dal mondo reale (e dalla concreta storia economica) può apparire come una blasfemia.
Non si tratta, in altre parole, di ergersi a giustizieri e persecutori di onesta gente che lavora.
Legittimo sul merito avere opinioni diverse, ci mancherebbe. Ma i sistemi fiscali da sempre si occupano di imposte, redditi, patrimoni e transazioni.
Dunque quel termine (e relativo concetto) ha sempre occupato un posto nel dibattito teorico e politico sulla materia.
Nota tecnica a margine: una imposta patrimoniale ha profili più redistributivi rispetto alle altre imposte dal momento che il patrimonio risulta più concentrato rispetto al reddito.
Ora, il tema ritorna con qualche urgenza al centro della scena non solo perché la pandemia sta pericolosamente accentuando le disuguaglianze di cui sopra, ma perché da anni (molti anni) la quota complessiva dei redditi da lavoro dipendente è venuta progressivamente assottigliandosi a favore delle rendite da capitale.
Seguite la logica perché siamo al nodo: il punto è che il nostro welfare (sanità, scuola, servizi…) ha continuato a reggersi quasi per intero sul gettito proveniente dalla tassazione sui redditi.
Ora attenzione: nel 2017 (prima del Covid dunque) in Italia la quota del Prodotto interno lordo (PIL) che spettava ai lavoratori (dipendenti e autonomi) ammontava al 47 per cento del totale. Il rimanente 53 per cento era rappresentato da profitti, interessi, royalties e rendite.
Aggiungete che le imposte sui redditi da lavoro generano un gettito pari a circa il 18 per cento del PIL, a fronte di questo le imposte su tutti gli altri proventi si fermano al 6 per cento.
Fossimo a Nottingham si avrebbe abbastanza chiaro lo squilibrio. Però qua non ci serve Robin, basta usare il buon senso per cui facciamo un passo in più.
Il nostro attuale sistema fiscale (parentesi: le politiche fiscali non sono scolpite nella Bibbia, corrispondono alla concreta evoluzione della base imponibile e delle esigenze di mantenimento in salute dei sistemi economici e sociali), dicevo (anzi, scrivevo) il nostro sistema fiscale è dunque sbilanciato con un prelievo eccessivo sui redditi da lavoro rispetto al prelievo più modesto su quelli da capitale e sui profitti aziendali.
Per altro le tendenze in atto (sul piano tecnologico con la selezione-espulsione di altra forza lavoro) rischiano quello squilibrio di accentuarlo.
Non sia detto per crocifiggere nessuno (esistono ricchi onestissimi), ma un certo numero di persone molto liquide ha una certa facilità nonché abilità a occultare la propria ricchezza in confortevoli contesti fiscali.
Allora, come procedere?
Una ipotesi a mio avviso ragionevole (o comunque una base da discutere) potrebbe muovere da una riorganizzazione complessiva del nostro sistema fiscale oggi occupato da una babele di esenzioni e trattamenti particolari frutto, lungo gli anni, di pressioni lobbistiche e ricerca del consenso di singole categorie da parte della politica.
Nel documento “Radicalità per Ricostruire” ne parliamo diffusamente: va trasformata l’Irpef facendone una vera imposta progressiva sui redditi da lavoro.
Accanto a quella si potrebbe introdurre una imposta personale, anch’essa progressiva, sul patrimonio complessivo (mobiliare e immobiliare), tecnicamente andrebbe fatto “al netto dei mutui residui e dei costi di manutenzione”, con aliquote comprese tra lo zero e l’1,5 per cento (fino al 2 per cento per patrimoni molto grandi).
Ancora Visco spiega perché una larga parte dei contribuenti sarebbe esente da questa tassa che si potrebbe intendere come un elemento strutturale del nuovo patto fiscale.
La cosa richiederebbe di sopprimere contestualmente tutte le altre imposte erariali che gravano su redditi di capitale e patrimonio (compresa l’Imu).
Domanda delle cento pistole: una ipotesi di tal genere nelle condizioni attuali (compresi i rapporti di forza in Parlamento e l’atteggiamento di media e lobby di potere) è percorribile?
La risposta purtroppo non è incoraggiante.
Forse potrebbe essere più praticabile la strada di una contribuzione straordinaria una tantum come risposta all’emergenza Covid: in fondo si chiederebbe semplicemente e per una unica soluzione a chi non ne risentirebbe affatto di mostrarsi partecipe della tragedia in atto nel Paese.
Una seconda alternativa, anch’essa però di ordine strutturale, riguarda una revisione coraggiosa dell’attuale Tassa di successione (tuttora abbiamo in Italia l’aliquota più bassa e la franchigia più alta per la discendenza diretta di tutta Europa).
C’è sul tavolo una serissima e strutturata ipotesi del Forum Disuguaglianze e Diversità tesa a creare un fondo per l’erogazione di una eredità universale da destinare ai diciottenni.
Ma c’era in precedenza un’altrettanto seria proposta contenuta nel bel saggio “Il Piano Inclinato” scritto da Romano Prodi e Giulio Santagata che dirottava quel fondo alle politiche del diritto allo studio.
Come vedete le soluzioni possibili sono più di una e non vi sarebbe ragione alcuna per escludere la discussione dall’orizzonte politico e strategico di una sinistra chiamata semplicemente a fare il suo mestiere: aiutare quelli in fondo alla fila e sull’orlo del burrone a non precipitare di sotto.
Non voglio dimenticarmi di una cosa: se di patrimoniale si parla è bene fare ciò che da anni si invoca, una revisione degli estimi catastali anche per capire bene, ne scrive Alessandro Volpi, quali imposte dovrebbero rientrare nella riforma complessiva.
Bene, se non siete svenuti (ma me lo avete chiesto voi di affrontare il tema) la chiusa è sull’episodio dell’emendamento depositato alla Camera e sottoscritto da alcuni deputati di LeU e del Pd.
Anche qui senza girarci attorno: in sessione di bilancio (l’emendamento è alla Manovra per il 2021) puoi presentare un emendamento con l’obiettivo di vederlo accolto o come atto di testimonianza se sai che non sussistono le condizioni politiche e numeriche perché la maggioranza lo faccia proprio.
Intendiamoci, nulla di male: anche l’atto politico di testimonianza può risultare fecondo nel senso, per dire, di sollevare il velo su un tema sino lì rimosso.
Ora, stando alle verifiche fatte e pubbliche, pare alquanto improbabile che la proposta risulti accolta dal governo.
Una nota ultima però mi sento di fare.
Tra i deputati del Pd che hanno sottoscritto quell’emendamento c’è il mio amico Matteo Orfini e con lui altre e altri deputati del Pd tutti parte del legittimo gruppo (area, sensibilità, corrente, componente?) che Matteo da anni guida con impegno.
Tutto regolare, s’intende, ma se si tratta di sollevare un tema decisivo come in questo caso – chiedo – conviene proprio farne una bandiera di corrente (in una logica dove più che un partito siamo una confederazione di forze distinte) o non sarebbe più logico e anche utile inviare quell’emendamento a tutte e tutti i parlamentari del gruppo e chiedere chi lo intenda sottoscrivere, magari sollecitando preventivamente una riunione del gruppo tutto intero per capire se e fino a che punto quella può divenire una battaglia condivisa?
Che volete, apparterrò a una vecchia scuola, ma continuo a pensare che se alla conquista del Palazzo d’Inverno si fossero lanciati solo i “giovani russi”, beh ecco temo che il governo provvisorio (lo Zar era già archiviato) sarebbe ancora là!


