Autore originale del testo: Alfredo Morganti
La miccetta renziana e la politica ai tempi del Recovery Fund
La miccetta di Renzi sembra pronta a esplodere. Minaccia la crisi perché, a suo parere, la governance proposta dal governo (una task force mista di ministri e tecnici) esautorerebbe la “politica” (cioè lui) dalla gestione delle risorse del Recovery Fund. Ma il fatto, semplice, persino indubitabile, è che alla politica spetta precipuamente indicare come e dove spendere i soldi, cioè in che modo indirizzare le risorse, in quali settori, lasciando a tecnici e ministeri il compito di “calcolare” esattamente quali procedure, quali iter, quali percorsi amministrativi adottare per conseguire gli scopi proposti e impegnare efficacemente e tempestivamente le risorse. Parlamento sovrano e governance gestionale affidata a un gruppo “operativo”, che non credo farà a meno dei ministeri come si insinua, anzi della PA. Perché il compito degli uffici (cioè della burocrazia, che una volta si odia e un’altra si ama, a seconda delle convenienze…) è quello di dare solidità alle procedure prescelte, ossia di fornirgli le gambe giuste per percorrere un cammino solitamente impervio che spesso non arriva a conclusione (in Europa spendiamo solo il 30% delle risorse a disposizione).
Questa distinzione tra indirizzi politici (che nel caso del Recovery sono i sei ambiti di spesa prescelti e già votati a settembre: “digitalizzazione a partire da quella della pubblica amministrazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; transizione ecologica; infrastrutture e mobilità; istruzione, formazione, ricerca e cultura; equità sociale, di genere e territoriale; salute”, come ricorda “Il Post”) e azione gestionale non è stata inventata da Conte, ma circola in Italia da trent’anni circa. Servì a evitare, per fare un esempio concreto, che un Assessore disponesse personalmente dei permessi di accesso al centro storico, firmandoli a suo piacimento, anzi avendoli accanto direttamente sulla scrivania alla bisogna per i suoi clientes come benefit o doni personali. Accadeva nel Comune di Roma negli anni Ottanta. Oggi non più. È un piccolo esempio, ma dà l’idea di quello che succederebbe se il “politico” si tramutasse anche in “burocrate” o in tecnico, e gestisse da sé quello su cui ha già fornito un indirizzo. E guardate che la miscela di politica e tecnica è già in corso da tempo. Ai tecnici è stato sovente dato il compito di indirizzare, mentre la politica si è spesso solo impegnata a gestire nazionalmente (e soprattutto localmente) le risorse pubbliche in termini, anche qui, clientelari.
Renzi dunque stia calmino. È lui che voleva trasformare il Parlamento (più di quanto già non sia) in un’assemblea ultramaggioritaria che ratificasse a colpi di maggioranza le scelte del governo e del superpremier. È lui che voleva il Sindaco d’Italia, ossia una superlegge maggioritaria con premio, per ripetere a livello nazionale le nefandezze di quella locale. Ed è sempre lui quello che inveiva contro i “partitini” (come il suo) che bloccavano tutto. Per non parlare della disinteremediazione (ossia cancellazione dei corpi politici e sindacali dall’orizzonte) o della rottamazione (cancellazione diretta dei dirigenti politici che gli erano antipatici o d’ostacolo). La battaglia buona per dire che è vivo poteva scegliersela migliore, meno ridicola. Adesso per farlo placare toccherà aumentare il numero dei ministri e diminuire quello dei “tecnici”. Magari un ministro amico nel comitato lo potrebbe ammansire. Resta il fatto che il PD dovrebbe svolgere un ruolo più importante, decisivo, di alta mediazione politica. Ma non può farlo per ragioni sue, strutturali. A quando un percorso di fondazione di una forza politica larga, plurale, democratica, che questo compito sappia assumerselo concretamente, rafforzando così per davvero compiti e ruolo della politica?


