Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Comporre invece di dividere. È la massima principale della politica, soprattutto a sinistra
Mi ha colpito quello che ha detto Giuliano Amato nel dibattito sul ‘cantiere della sinistra’. Ha scandito una cosa a cui io credo profondamente, ossia che serve una “composizione” politica, laddove tutto vira verso la costituzione di identità collettive immediate, liquide, frantumate e divisive che aspirano sostanzialmente a una “democrazia maggioritaria”, anch’essa di natura esclusiva. Serve un’entità politica che sappia “comporre” la frantumazione prima che divenga una valanga. Che predichi e pratichi “unità”, in special modo a sinistra. Oggi, ha concluso Amato, in Italia almeno, questo non lo fa nessuno.
Ecco, per non essere un pezzo del problema anche quando si aspira a esserne la soluzione (per quanto sommaria) è necessario uno scarto teorico e, soprattutto, pratico: approdare all’idea e alla pratica dell’unità, che vuol dire aprire un percorso di composizione politica della frantumaglia che oggi veleggia a sinistra (e nel Paese complessivamente). La grande politica, anche quando pratica i conflitti, non nega mai una prospettiva di ricomposizione e tende sempre all’unità. Lo fa in modo pluralistico, non soffocando con un coperchio di ghisa il ribollire singolare, ma lo fa. Media i conflitti, regola, compone, unifica, stringe le maglie e indica soluzioni. Senza questo lavoro la politica esiste solo in sedicesimi e ne emerge il mero carattere ‘divisivo’, alla Renzi per intenderci, o alla Salvini, che lavorano a creare fenditure entro le quali prima o poi la democrazia precipiterà nell’indifferenza del “popolo”.
Penso alla crisi di questi giorni. Alle minacce della miccetta renziana a Conte, dietro la quale si nascondono e si allineano i nemici del governo, quelli che il Recovery Fund se lo vorrebbero “gestire” in proprio, altro che task force. Ebbene in questa crisi manca proprio il soggetto politico mediatore, unificatore, che è tale al suo interno e nelle proiezioni esterne. E a chi, se non al PD spetterebbe questo compito? Ma il PD, mi chiedo, è attrezzato per questo? O non servirebbe un salto di qualità che sposti la sinistra su un terreno organizzativo unificante ulteriore, “scarti” rispetto a questo andazzo? Io dico che questo servirebbe assolutamente. E credo che il PD abbia la responsabilità di indicare la rotta.
Perché ormai è palese: non si va da nessuna parte senza una grande forza larga, aperta, plurale, inclusiva, capace di unità. Una forza grande che in campo non c’è, se non in forma di prodromo. Per il bene di tutti, dunque (e del Paese in primis), cosa si aspetta a passare dall’amalgama mal riuscito, dal partito liquido, dallo spazio verso cui chiunque può lanciare un’Opa e avanzare pretese di possesso politico, al partito della sinistra democratica capace, invece, di unità e di composizione del quadro politico e sociale, a partire dall’esecutivo, dove si sente moltissimo questa lacuna? Non vedete che è urgente, non vedete che una miccetta qualsiasi oggi può far esplodere tutto, non vedete che una nuova forma “pratica” serve come il pane? E non dopodomani, ma al più presto, evitando la fretta, certo, ma non la tempestività?


