Non mi piace l’ecobonus. Spiego perché.

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Non mi piace l’ecobonus. Spiego perché.
Vi dico la verità. Non approvo l’ecobonus. Il mio è un giudizio negativo sull’intera operazione, perlomeno nelle forme in cui è stata congegnata. Per vari motivi, ma per uno in particolare. La crisi epocale doveva davvero essere assunta come una grande opportunità, non mutarsi grosso modo in una ridistribuzione di denaro pubblico ai soliti detentori di ricchezza (privata). La chance da cogliere doveva spingerci a mettere tutto o quasi sul ‘pubblico’, facendo scivolare risorse alle imprese mediante questo filtro di bene comune e di interesse generale. E invece no. Decine di miliardi di euro andranno direttamente alle aziende, e molti di essi direttamente alla proprietà privata edilizia e al mondo di micro imprese che operano nel settore della ristrutturazione. In una forma che non ammette sconti: il 110% addirittura di bonus (una percentuale talebana, mai vista nemmeno all’epoca del fiorentino oggi naturalizzato arabo).
Avevamo la chance di investire risorse mai viste su sanità, trasporti pubblici, scuola (beni e servizi pubblici, ai quali nel corso di questi decenni avevamo tolto tutto, spogliandoli persino della dignità) e, invece, abbiamo scelto di destinare quote rilevanti di risorse europee direttamente e senza resti alle imprese, alla microproprietà privata, al mondo infinito di ditte che formicolano nei quartieri e nelle abitazioni. Avremmo potuto investire sull’edilizia scolastica, formativa, i trasporti locali, le strutture sanitarie, quelle sociali, quelle della solidarietà e dell’assistenza, risorse pubbliche che avrebbero COMUNQUE coinvolto ditte e imprese anche piccole nei lavori di riqualificazione e ristrutturazione e nei progetti di rinascita o potenziamento del welfare, e invece abbiamo preferito dialogare direttamente con la proprietà e le imprese private, tagliando fuori il pubblico, relegandogli solo il compito di elemosiniere. Scelta pessima.
I miei timori non derivano soltanto dalle pastette e dalle truffe che potrebbero derivare dalla procedure connesse all’ecobonus, perché qui faccio l’ipotesi ideale di un’onestà generalizzata. I miei timori più grandi sono di principio, e riguardano la crisi di un universo pubblico (fatto di istituzioni, enti, servizi, opere, valori) che perde sempre più ruolo, funzione, efficienza, dignità e che la crisi poteva invece rilanciare, conferendogli una nuova centralità. E non mi dite che per la scuola e la sanità i soldi ci sono comunque. Non è questo il punto. Intanto potrebbero essere stati di più. E poi è la logica del bonus, della regalia, dello sgravo che andava davvero messa al bando. Soprattutto se il bonus del 110% cade in un comparto che è privato sia nelle strutture (le case) sia nell’operatore (le microimprese).
A ciò aggiungete la tematica dei controlli, che dovrebbero essere esercitati nella fattispecie (e come sua funzione cardine) dalla P.A. Al contrario, le ‘riforme’ contenute nel Recovery tenderanno a indebolire ancora di più proprio questa funzione, a classificarla come un “laccio o lacciuolo”, a pensarla come mera burocrazia, a ritenerla un macigno per le imprese lanciate a caccia di denaro pubblico come lupi. Questi decenni di liberismo si sono protratti all’insegna della crisi della P.A. e della sua funzione di controllo. Senza questo passaggio, senza la polemica sulla burocrazia, l’avanzata dei liberisti sarebbe stata meno efficace.
Ma oggi, dinanzi alla montagna di denaro pubblico in palio, la diatriba torna attuale, e la burocrazia (cioè i controlli che la PA deve esercitare quando si tratta di risorse pubbliche) viene ancora di più indicata come il solo macigno sulla strada della crescita. In soldoni significa: nessuna fermi il fiume di denaro che andrà direttamente alle imprese, la ‘crescita’ è il senso di questo afflusso, la ‘crescita’ è la ricchezza che ne trarranno i privati, sono le briciole che affluiranno verso il basso mentre quaggiù, ignari, si mangia finalmente all’aperto, felici e contenti anche quando piove, e ci si ammucchia senza misure o regole per uno scudetto.
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