La personalizzazione della politica e la legge dei sindaci

per mafalda conti
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
La personalizzazione della politica e la legge dei sindaci
Il sistema politico italiano, a un certo punto, ha virato in quella direzione: la politica personale, la “personalizzazione” della politica. Erano i prodromi dell’uomo solo al comando, ma intanto si affermava un’idea di base: non erano più i partiti (di destra, di sinistra, di centro) ad agire politicamente, l’azione politica non doveva essere più “collettiva”, ci si doveva affidare a quelli bravi, ai migliori, a quelli che avrebbero garantito risultati, ai timocrati, altro che a banali uomini di partito, per di più “ladri”. La legge sui Sindaci era in perfetta linea con questa “personalizzazione”, inoltre dava concretamente l’abbrivio all’idea di uomo solo al comando.
Nel pastone entrava tutto, anche l’elezione diretta del Presidente della Regione (i “governatori”), le leggi maggioritarie, le coalizioni con capo annesso, il leaderismo, i partiti ridotti ad aziende personali. La legge sui Sindaci sembrava, in particolare, il toccasana della situazione. Niente più maggioranze consiliari, niente più trattative, mediazioni, dibattito pubblico o assembleare. Tutto si riduceva all’uomo solo, all’Eletto, quello che avrebbe risolto con un gesto (o più di uno) i problemi della città. C’è stato anche chi ha assunto la legge dei Sindaci come modello di una legge elettorale nazionale. È quello che blatera di rinascimento saudita. Lui. Da che pulpito.
Ora, dinanzi al crollo degli elettori alle urne amministrative (10% circa in meno), vogliamo dirlo (si può dire) che un po’ c’entra anche questa legge? Che i cittadini, soprattutto nelle grandi città, forse non si appassionano più a questo meccanismo che esclude la discussione pubblica per riempire i muri del faccione del candidato e basta? Che lo svuotamento della politica come agire collettivo e come comunità solidale, alla fine sta erodendo anche il pulpito da cui l’uomo solo ha parlato e parla narcisisticamente al popolo? E che quel pulpito si è dimostrato un ostacolo alla politica dei partiti, dei parlamenti, dei militanti, degli elettori, dei cittadini, alla politica come agire, e niente affatto la sua positiva sublimazione, la sua modernità?
Ecco. Ce n’è abbastanza per esigere che i cervelli si riaccendano dopo decenni di stasi, che si riprenda in mano il bandolo della politica buona, quella dei partiti, delle aule, della rappresentanza e della partecipazione organizzata e associata. L’alternativa è accodarci muti al draghismo, succubi di uno stato d’eccezione eterno, infinito, tale da dimenticare che esista ancora la normalità della democrazia. Forse siamo ancora in tempo, forse no. Chissà.
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