Economia italiana: problemi e prospettive

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Andrea Mignone
Economia italiana: problemi e prospettive
L’avvicinarsi della fine dell’anno induce a qualche riflessione sulle prospettive della nostra
economia, sulle luci e ombre che si rincorrono. Tenteremo qualche considerazione sulla scorta di
rapporti prodotti nell’autunno, tralasciando il giudizio del The Economist, sul quale i commenti si
sprecano. Ci avvarremo delle previsioni ISTAT di dicembre, del rapporto del Centro Studi
Confindustria e di quello di Confcommercio, delle relazioni dell’OCSE (Economic Survey of Italy)
e del FMI (Economic Outlook), e della Nota di aggiornamento di Economia e Finanza del Governo
(NADEF).
Le ricerche concordano sul fatto che nel biennio 2021-2022 sia possibile una crescita sostenuta del
Pil italiano (+6,3% quest’anno e +4,7% il prossimo). L’aumento del Pil sarà determinato
prevalentemente dal contributo della domanda interna (rispettivamente +6,0 e +4,4 punti percentuali
nei due anni) a cui si assocerebbe un apporto più contenuto della domanda estera netta (+0,3 punti
percentuali in entrambi gli anni).
Gli investimenti sosterranno la ripresa con una intensità più accentuata quest’anno (+15,7%)
rispetto al 2022 (+7,5%). Anche i consumi delle famiglie segneranno un deciso incremento (+5,1%
e +4,8%).
L’evoluzione dell’occupazione seguirà il miglioramento dell’attività economica con un aumento più
accentuato nell’anno corrente (+6,1%) rispetto al 2022 (+4,1%). Il deflatore della spesa delle
famiglie residenti aumenterà dell’1,8% quest’anno, risentendo dell’attuale fase di accelerazione
dell’inflazione che è attesa protrarsi nel 2022 (+2,2%).
C’è un tratto molto simile nelle analisi: una rapida ripresa nell’anno in corso e un rallentamento
l’anno seguente. C’è stata una certa esultanza quando è stata presentata una crescita del 6% per
quest’anno. Non si è riflettuto che si tratta di un rimbalzo tecnico successivo alla profonda
recessione. Per porre le stima in prospettiva, occorre pensare che solo alla fine del 2022 l’Italia
tornerà al Pil del 2019, il quale, a sua volta, era appena ai livelli del 2000, a causa della stagnazione
dovuta al fermo della produttività.
Utile tenere presente un altro indicatore: i salari medi. Come rileva la Fondazione Open Polis,
nonostante l’impatto della pandemia sul mondo del lavoro, nel 2020 in molti Paesi europei i salari
medi annuali sono aumentati. Si tratta di una tendenza di progressivo miglioramento che negli
ultimi 30 anni ha caratterizzato tutto il continente, fatta eccezione per l’Italia. In Italia, in particolar
modo, per anni i salari medi annuali hanno registrato oscillazioni minime, e inoltre nel passaggio tra
il 2019 e il 2020 hanno visto un calo che li ha riportati al di sotto dei livelli del 1990. Negli ultimi
30 anni quindi l’entità della retribuzione in Italia è diminuita del 2,9%. Si tratta dell’unico paese
europeo Ocse ad aver registrato in questo senso una tendenza negativa.
In tutti i documenti si rileva poi che la disoccupazione in Italia nel 2022 toccherà il’11.6%-12%.
Un insieme di fattori congiunturali e di più lungo termine tendono a mettere in dubbio la forza e la
continuità di un rilancio dell’economia che era stato preannunciato con molto ottimismo.
Ci aspetta probabilmente una fase complessa in cui si dovrà fare i conti con un passato recente
troppo frettolosamente dimenticato e con un futuro incerto.
Variante Delta che non ha colpito allo stesso modo tutti i paesi, livelli disomogenei di vaccinazione
tra paesi ricchi e paesi poveri, supply chain a scartamento ridotto, scarsità di materie prime,
vengono individuati come gli elementi chiave di questa fase di rallentamento.=
Analogamente non sembra destinata ad invertirsi la ridistribuzione del reddito e della ricchezza. Il
Covid ha colpito brutalmente le categorie a più basso reddito e quelli a più bassa scolarizzazione.
La politica fiscale, da anni invocata come necessario affiancamento a quella monetaria è entrata in
campo in misura così massiccia da far temere il rischio di una ripresa endemica dell’inflazione.
Eppure, le previsioni sono di rallentamento progressivo dello sviluppo, a meno che il sostegno
statale non diventi parte integrante del futuro scenario economico. È naturale che i governi dei
paesi più industrializzati, di fronte alla recessione, siano corsi a rispolverare la cassetta degli attrezzi
Keynesiana, da molto tempo riposta in soffitta. Quel che viene da chiedersi è se quegli strumenti
siano ancora validi e sufficienti. Che altro non significa se non affrontare con determinazione un
contesto economico che la pandemia ha drammatizzato, ma non certo modificato nelle sue
componenti di fondo.=
I programmi varati per sostenere la ripresa post Covid, nella loro vastità, corrono il rischio di far
pensare a una certa mancanza di chiarezza sulle tendenze reali e sulle conseguenze che esse
potranno avere sul benessere futuro. I segnali di incertezza nella ripresa, nonostante le misure
impiegate, ci mostrano probabilmente che più che al passato si dovrà pensare al futuro.
Puntando su un numero di obiettivi limitati ma discriminanti, che consentano di ripensare al
processo economico correggendone l’attuale funzionamento. Le grandi misure deliberate
dovrebbero andare in questa direzione, piuttosto che diventare una stampella perenne ad
un’economia che ristagna.=
Alcuni spunti per aprire un dibattito potrebbero riguardare un’attenta riconsiderazione del declino
della classe media e di conseguenza anche una profonda ristrutturazione del mondo dei servizi.
Accanto a questo è indispensabile perseguire una rinnovata centralità dell’industria manifatturiera
in Occidente, troppo frettolosamente trasferita in Far East (con conseguenze anche sull’ambiente).
Infine si dovrebbe trovare il coraggio e la determinazione per rompere quel circolo vizioso creato
dalla finanziarizzazione dell’economia a scapito di quella reale, che racchiude in sé gran parte degli
ingredienti della stagnazione secolare: focalizzazione sui profitti a breve termine e buy back
piuttosto che investimenti, marginalizzazione del lavoro e disuguaglianze crescenti, ingiustificata
distruzione di modelli economici sostenibili e apprezzati dai consumatori (si pensi a tutto il mondo
retail). Le grandi forze al momento ampiamente fuori controllo, che hanno cambiato il volto
dell’economia reale, ne stanno anche modificando i contesti sociali e i riferimenti culturali. È
urgente individuare oggi le risorse in grado di domare e incanalare questi spiriti voraci.
Possibili scenari riguardano anzitutto la dinamica dei prezzi, prevista su livelli contenuti in Italia. Se
così non fosse e si manifestassero persistenti carenze di offerta,=la spinta inflazionistica potrebbe
assumere un carattere più strutturale in Europa e in Italia, inducendo la BCE ad anticipare la
restrizione monetaria, che al momento non è stata ancora delineata.
Bisogna poi ricordare che la piena efficacia del PNRR=è subordinata all’individuazione di una
efficiente allocazione delle risorse, al rispetto dei tempi previsti e alle modalità di attuazione degli
investimenti e delle numerose riforme in programma.
I rischi degli scenari appena delineati inducono a immaginare nel futuro un peggioramento delle
prospettive per l’eurozona. Previsioni del PIL meno rosee che possono essere conseguenza del
permanere a livello endemici dei casi Covid e l’insorgere di una variante assai contagiosa come la
Omicron. Per questo gli economisti hanno rivisto al ribasso le previsioni di crescita per il 2022,
confermando che il buon risultato del 2021 è stato una sorta di “effetto rimbalzo” dopo la crisi del
2020. Infatti, le previsioni per il quarto trimestre 2021 indicano già che la crescita ha subito un
rallentamento, confermando il troppo ottimismo di qualche settimana fa. Merita anche ricordare che
comunque l’Italia cresce meno nell’eurozona non solo dai tempi del Covid ma addirittura dalla fine
del secolo scorso, denunciando problemi strutturali che il Covid ha ovviamente esasperato. Si
aggiunga che la ripresa dell’inflazione (sopra il 2% in Italia diventa preoccupante), i problemi nella
catena delle forniture e l’aumento fuori controllo dei prezzi dell’energia possono in modo
combinato contribuire al diffondersi di ombre sulla nostra ripresa. Inoltre, il commercio e
l’esportazione permarranno deboli nel settore. Insomma, rallegriamoci per l’andamento economico
del 2022 ma non dormiamo sugli allori. Lo stesso governo Draghi sembra ormai navigare a vista: le
grandi riforme strutturali rimangono sulla carta, la modesta manovra finanziaria sembra (come nel
passato) un coacervo di istanze frammentarie e particolaristiche, spesso di origine lobbistica, zeppa
di emendamenti mancia: sconti fiscali anche agli inefficienti, qualche pensione anticipata in più,
stanziamenti per iniettare anticoncezionali ai cinghiali. Insomma: a quando una classe dirigente
capace di lungimiranza e di visione prospettica in un sistema che risponda ai cittadini, che sia cioè
in grado di garantire responsiveness e accountability, strumenti tipici delle moderne democrazie
funzionanti?
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