Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Ecco l’ultima: il governo tecnico che dà la colpa alla politica.
Secondo Stefano Feltri i partiti sono dei «sabotatori». Lo scrive su ‘Domani’, in un editoriale. Avrebbero tenuto Draghi a Palazzo Chigi solo per «preparare le prossime elezioni del 2023», liberi così di andare su stampa e tv con la propria agenda alternativa a quella di governo. La democrazia, i partiti, le elezioni, i parlamenti si ridurrebbero a un danno, a una limitazione dell’azione di governo, a un chiaro fattore di instabilità. La politica sabota – la democrazia parlamentare è, invece, il contesto infernale di questo sabotaggio.
Ma è davvero così? Ma non è forse il contrario? Ossia, che aver imposto il cambio di premier a febbraio scorso, aver fatto saltare un governo POLITICO, per inaugurare l’era di Draghi e del governo tecnico, abbia prodotto come risultato fatale proprio questa instabilità? L’idea tecnocratica, sposata anche da una parte della sinistra, si basa sull’idea che un tecnico, il migliore magari, sappia risolvere i problemi senza troppe chiacchiere politiche, individuando LA soluzione giusta, anzi necessaria, anzi l’unica, quella che solo un super esperto saprebbe individuare. Sbagliato, perché la democrazia è la forza delle opinioni, della partecipazione, del confronto, e il governo democratico è l’esito di un dibattito pubblico e di una battaglia politica, non la scienza in atto, non la tecnica meravigliosamente all’opera.
Il governo politico fu fatto saltare da una strana alleanza: tecnocrazia, mondo delle imprese, centrismo variegato, avventurieri politici. Si mise eccezionalmente da parte la politica, per andare direttamente a pallino, e il pallino era il PNRR. Il governo Conte era molto più legittimato del governo in carica, era più stabile di questo e stava ottenendo degli obiettivi rilevanti, sostenuto peraltro da un vasto consenso, in un momento di inedita crisi sanitaria. Ciò nonostante a quel governo politico successe la strana cosa che è insediata ora a Palazzo Chigi. Un esecutivo che è il pesante riflesso e la lugubre raffigurazione del modo in cui viene rappresentata la politica dalle nostre classi dirigenti: tecnocrazia, pragmatismo spinto fino alla sua negazione, retorica del lavoro imprenditoriale, del “fare”, del testa bassa e pedalare, dei migliori. In assenza di politica, in assenza della mediazione indotta dall’interesse generale, con la politica “congelata”, con i partiti ridotti a servi sciocchi, che alzano la mano per garantire almeno i formalismi costituzionali, poteva andare bene? Poteva esserci stabilità? Io dico no. Non bisognava essere Nostradamus per predirlo. E difatti, oggi i centro-draghisti e gli editorialisti se ne lamentano, e danno la colpa a coloro che sono stati estromessi allo scopo di mettere in scena il governo del “fare” e la sua bella agenda.
L’instabilità attuale, gli inceppamenti del governo, per di più col PNRR e una guerra incombenti, è dovuta non alla PRESENZA della politica (come dicono Feltri, centristi, establishment e compagnia cantante) ma all’ASSENZA della politica – alla politica messa in un angolo, in nome dell’efficienza tecnico-aziendale di Draghi. Ma la stabilità non è un fatto matematico, non tende a uno, non si misura calcolando la quantità di governi che si succedono a Palazzo Chigi, ma valutando la capacità di questi, anche nella loro complessità e mutevolezza, di garantire un indirizzo costante, di prospettiva, che sia fermo negli intenti – e, comunque, aperto al dibattito, alla discussione pubblica, alla mediazione parlamentare, al lavoro delle commissioni, al compito di mediazione dei partiti. La Prima Repubblica, in sostanza. Rispetto a cui la Seconda e, viepiù, la Terza (ma siamo già alla Terza?) si sono dimostrate sinora politicamente inferiori e storicamente inadeguate. Il centrismo tecnocratico, d’altronde, è tutta roba loro. O no? E allora di che stiamo parlando?


