Marco Revelli: “La peggiore delle ipocrisie è l’‘armiamoli a casa loro’”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Tommaso Rodano
Fonte: Il Fatto Quotidiano

Marco Revelli: “La peggiore delle ipocrisie è l’‘armiamoli a casa loro’”

SOCIOLOGO E STORICO – “Il crimine l’ha compiuto Putin, non c’è dubbio, c’è un aggressore e un aggredito. Né ho dubbi da che parte stare: con gli aggrediti e i deboli, contro gli aggressori e i forti. Ma il punto è come farlo”

Professor Revelli, ci avviciniamo al ventesimo giorno di guerra. Non cessano raid e bombe, è stato ucciso un giornalista americano e gli Stati Uniti minacciano di rispondere. Siamo in una spirale irreversibile?

Si può sempre fermare le spirali distruttive, anche se ogni giorno che passa diventa più difficile. La sensazione è disperante. Si è aperto un vaso di Pandora dal quale escono tutti i demoni del nostro tempo. Quando esplode l’incendio, corre come il fuoco in un prato secco. Per questo le guerre non bisognerebbe lasciarle scoppiare: è stato fatto davvero tutto il necessario? Il crimine l’ha compiuto Putin, non c’è dubbio, c’è un aggressore e un aggredito. Né ho dubbi da che parte stare: con gli aggrediti e i deboli, contro gli aggressori e i forti. Ma il punto è come farlo.

Lei ha scritto sul Manifesto che c’è un obbligo “morale, civile e politico di fare il possibile per evitare che la guerra si estenda e si incrudelisca”. Le chiedo, appunto: come?

Io ho le idee chiare su cosa non bisogna fare. Non sopporto l’appello “armiamoli a casa loro”, urlato da più parti con alto tasso di retorica. Capisco sia un modo per lenire il senso di colpa, ma aggiungere armi dove ce ne sono già troppe non serve né a ridurre le sofferenze della gente, né a limitare il livello e l’estensione del conflitto, piuttosto il contrario. Oggi (ieri, ndr) si registrano nuovi bombardamenti nell’estremo ovest dell’Ucraina, probabilmente con l’obiettivo di chiudere la via di afflusso delle armi. Cosa fare invece è più complesso.

Le sanzioni possono essere sufficienti?

Sono uno strumento delicato, che va utilizzato per punire il colpevole e non il suo popolo. Non sempre ottengono l’effetto sperato, perché i veri responsabili in genere non vengono raggiunti. A volte sono anzi un boomerang: rischiano di danneggiare in misura maggiore chi le applica.

Senza armi né sanzioni, quali strumenti restano?

Si deve decidere se aiutare il popolo ucraino a difendersi o se l’obiettivo è fare la guerra a Putin. Le due cose non coincidono, anzi: voler colpire Putin costi quel che costi rischia di rendere il conflitto persino più sanguinoso. Per me aiutare il popolo ucraino significa tentare di evitare che paghi un tributo ancora più grande e doloroso a questa guerra. Vuol dire, quindi, muoversi in una situazione complessa: favorire ogni tipo di negoziazione, costruire tavoli di pace, immaginare soluzioni che permettano a entrambi i contendenti di arrivare a un accordo. Praticare forme di razionalità e non suggestioni retoriche.

Crede che il sentimento nazionalista ucraino sia un artificio retorico?

No. Non si tratta di giudicare i comportamenti del popolo ucraino, che ha tutti i diritti di scegliere cosa fare, in una situazione così drammatica. Non mi permetterei mai di dire agli ucraini che in nome dell’onore devono combattere, come non direi mai che devono arrendersi. Non posso stabilire se un altro deve scegliere la patria o la morte. Siamo noi che dobbiamo misurare le parole.

C’è chi paragona la resistenza ucraina a quella partigiana.

Mio padre Nuto ha combattuto due guerre: quella fascista, negli stessi posti in cui si svolge il conflitto orrendo di oggi, sul Don e in Donbass. E poi quella partigiana. L’insegnamento fondamentale che ha tratto dalla sua esistenza è l’orrore della guerra, la sua bestialità.. Pure se la Resistenza è stato un momento catartico, poiché ha potuto combattere contro il nemico vero, i fascisti e i tedeschi, non me l’ha mai descritta come la “bella guerra”. Anche la guerra giusta ti porta dentro delle ombre e ti segna, ti lascia delle ferite: non ti restituisce innocente come prima. I paragoni tra l’Ucraina e i partigiani sono campati per aria: è un uso simbolico della storia, il contesto è totalmente diverso. La resistenza comportava sacrifici, ma non era un atto disperato.

La resistenza ucraina invece è un atto disperato?

Non sono un esperto militare, ma mi pare che le forze in campo siano molto sbilanciate.

Nei nostri media vede un’esaltazione della resistenza armata?

C’è un’esaltazione anche tra quelli che sulla Resistenza hanno sempre sputato sopra. Nei dibattiti televisivi ora si richiamano ai partigiani gli stessi che fino a ieri li consideravano solo i responsabili delle foibe. Non scherziamo.

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