L’ISOLA RUSSIA

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Orietta Moscatelli
Fonte: Limes

Mosca prepara il futuro dietro la nuova cortina di ferro. Ma il Cremlino non è pronto ad alzare il ponte levatoio. Lavrov giura che l’isteria occidentale passerà. Intanto il regime prepara piani autarchici e alternativi al sistema dollarocentrico.

1. Assicura Sergej Lavrov che le sanzioni «sono una sorta di tassa sulla sovranità» della Russia e molti paesi le hanno varate solo per le «enormi spinte» degli Stati Uniti. Tutti «dovrebbero ricordare la nostra storia, non abbiamo mai fatto accordi sotto pressione», aggiunge, «ma questa ondata di isteria passerà, i nostri partner occidentali la supereranno» 1.


Diplomatiche certezze che accompagnano la via crucis del ministro degli Esteri di Vladimir Putin, scaraventato dalla guerra nel girone degli impresentabili alle cancellerie occidentali. Nelle stanze del potere moscovita si respira però un’altra aria. La Federazione Russa che tenta manu militari la riconquista della sua sfera di influenza in Europa abbandona la via occidentale, chissà per quanto tempo. E cerca di attrezzarsi, immaginando un futuro prossimo fuori dal dominio del dollaro, l’autosufficienza alimentare e produttiva in genere, l’indipendenza su Internet. La scommessa è tutta da giocare e in buona parte ancora da costruire.


L’insularizzazione dell’economia e della collettività russa è in agenda dal 2014, anno domini numero uno dell’èra delle sanzioni iniziata con l’annessione della Crimea. E l’idea della Fortezza Russia (Krepost’ Rossija) assediata e da difendere, fuori e dentro, affonda le radici nei primi anni del regno putiniano. Ma oggi diventa necessità urgente sotto la grandinata di misure punitive e la totale alzata di scudi dell’Occidente che si sente aggredito, mentre Mosca lo descrive come aggressore. La cesura è totale, le conseguenze imprevedibili. L’unica certezza è l’insanabilità della rottura senza un cambio ai vertici russi, anche se parte delle sanzioni venisse revocata con un accordo di pace in Ucraina. L’ultima sfida di Putin sarà quella di governare il paese più grande e più isolato al mondo. Cercando di evitare che questa solitudine trasformi in realtà uno dei suoi due peggiori incubi: una sollevazione popolare per spodestarlo e l’implosione della Federazione stessa.


La Russia in guerra teme di riprecipitare nel caos economico e sociale che accompagnò la fine dell’Urss. In reazione a quella fase emergeva a inizio secolo la teoria della Fortezza Russia. In un libro proprio così intitolato e pubblicato nel 2004, Mikhail Jur’ev, in tandem con il giornalista Mikhail Leont’ev, postulava l’eccezionalità russa e l’isolazionismo come via per lo sviluppo economico. Biologo di formazione, imprenditore e politico per vocazione, Jur’ev era un personaggio inquieto: passato dal fronte liberal a quello nazionalista, ha fatto parte del Consiglio degli imprenditori presso la presidenza russa e poi ha trasferito ogni sua attività negli Usa, da dove ha continuato a lanciare strali patriottici contro le «rivoluzioni colorate» che fiorivano nelle repubbliche ex sovietiche. Scomparso nel 2019, le sue teorie oggi riaffiorano nel dibattito sull’isolamento come virtù da conquistare e trasformare in svolta economica. Jur’ev e sodali affermavano che la via liberale sposata negli anni Novanta dalle élite moscovite si era rivelata inscindibile dall’inquadramento nello spazio geopolitico occidentale dominato dagli Usa, cui la Russia doveva e poteva ancora sottrarsi attraverso il recupero del primato dello Stato. Gli Usa, sostenevano gli autori, hanno conquistato l’Europa con il Piano Marshall, offrendo aiuti in cambio di rinuncia alla sovranità economica e all’inclusione dei nuovi satelliti in un sistema finanziario americanocentrico. Non aderendo allo «schema Marshall», l’Unione Sovietica seppe contrastare gli Stati Uniti «malgrado fosse uscita dalla guerra in condizioni simili alla sconfitta Germania e con un sistema economico meno efficiente» 2.


Questo doveva essere il modello per la Russia orfana dell’Urss ma sua erede, anche nello spirito di contrapposizione all’Occidente assoggettato dagli americani. Putin faceva quindi bene a espropriare le proprietà di oligarchi come Mikhail Khodorkovskij perché esponenti di un modello liberale che aveva trasformato la debolezza dello Stato in valore a sé stante, spacciandolo per democrazia. Dall’isolamento sarebbe nato un modello russo in grado di attrarre nuovamente le periferie imperiali, Ucraina inclusa 3. E così via. Simili postulati sono tornati in auge con le sanzioni scattate proprio con la crisi ucraina del 2014.


Tra i sostenitori del distacco dall’Occidente come salvezza e consolidamento della potenza russa si segnalava più di recente Sergej Glaz’ev, economista con variegati trascorsi governativi e idee molto chiare sulla strategia da adottare: de-dollarizzazione dell’economia, sganciamento dalla moneta americana come riserva valutaria, rientro dei capitali privati dai paradisi fiscali del mondo intero. Gli oltre cento miliardi di dollari impegnati in riserve e fondi di stabilizzazione sono strumenti con cui la Russia contribuisce a finanziare il sistema americano e quindi «la guerra ibrida che gli Usa conducono contro di noi», sosteneva Glaz’ev nel libro L’ultimo conflitto mondiale. Gli Stati Uniti lo cominciano e lo perdono, anno 2016. Proprio perché in declino e rincorsi dalla potenza cinese, è la tesi, gli Usa diventano più aggressivi e combattono contro la Russia e la sua naturale proiezione sulle aree ex sovietiche, «tramite i nazisti in Ucraina» 4. Affermazioni messe nere su bianco più volte da allora e che ritroviamo nell’ultimo aggiornamento della Strategia di sicurezza nazionale della Russia, oltre che nelle invettive quotidiane delle autorità russe.


Nell’ora in cui la guerra da teoria è diventata pratica per iniziativa russa, Jur’ev, Glaz’ev e compagni di simili vedute escono dalla marginalità e divengono profeti da ascoltare. Non mancano gli allievi che vogliono superare i maestri. Un economista ipernazionalista come Mikhail Khazin passa in queste settimane da una intervista all’altra prevedendo la nascita di una Federazione degli Emirati Arabi al posto della Germania per esaurimento demografico della stirpe teutonica. O condannando la decisione della Banca centrale russa di alzare i tassi dal 9,5 al 20%, descritta come una sanzione alle imprese russe, che si ritrovano con costi del denaro proibitivi e quindi destinate al fallimento. Insomma, una misura «imposta da Washington», nel senso che è concepita da una Banca centrale che continua a rispettare le regole internazionali dettate dall’America. L’istituto centrale è guidato dalla sopravvissuta del campo liberal El’vira Nabiullina, di cui gli isolazionisti hanno ampiamente previsto e auspicato le dimissioni. E invece è stata di recente confermata da Putin per altri cinque anni, a segnalare che il Cremlino il ponte levatoio ancora non si è deciso ad alzarlo. E che in una situazione senza precedenti per l’economia russa, Putin preferisce una economista che ragiona con i canoni tradizionali a chi propone patriottici esperimenti: «Senza dubbio nella nuova situazione serviranno profondi cambiamenti strutturali della nostra economia. Non nasconderò che non sarà facile, ci sarà una temporanea crescita dell’inflazione e della disoccupazione. In questa situazione bisogna minimizzare tali rischi», ha detto il presidente il 16 marzo, prospettando «nuovi, più efficienti meccanismi di sostegno ai cittadini e al loro reddito» 5.


Carta di Laura Canali - 2022

Carta di Laura Canali – 2022


I sussidi possono tamponare una fase acuta, con il rublo fortemente deprezzato, i prezzi previsti in aumento, le carte di credito obliterate dall’esclusione dal sistema Swift, i prelievi di valuta contingentati, il diffuso timore che si torni alla cronica scarsità dei beni di prima necessità dei famigerati anni Novanta. Ma se le sanzioni non verranno revocate? I sostenitori dell’autarchia economica rispondono che allo shock iniziale seguirà una veloce stabilizzazione, con il pil in caduta a fine 2022 tra il 7 e il 12% e di nuovo in crescita l’anno prossimo, e il paese a quel punto pronto a continuare per la sua strada, via dall’Europa, soprattutto via dai meccanismi di supremazia americana.


La de-dollarizzazione ha preso quota nel 2018, con la riduzione della percentuale di moneta americana nelle riserve in valuta estera russe tramite l’acquisto di oro, euro e yuan. Lo stesso anno Mosca ha ristretto da oltre 96 miliardi di dollari a meno di 15 miliardi la sua quota di titoli del Tesoro Usa e nel 2021 ha annunciato la totale esclusione del biglietto verde dal Fondo nazionale di benessere, fondo sovrano il cui valore continua a essere indicato anche in dollari: oltre 130 miliardi lo scorso febbraio 6. L’altro fronte di resistenza finanziaria prevede l’uso del sistema Spfs (System for Transfer of Financial Messages), equivalente russo dello Swift, collegandolo alla variante cinese il cui acronimo Cips sta per Cross-Border Interbank Payment System. L’India avrebbe segnalato interesse a connettersi a sua volta, cosa che alimenta a Mosca la speranza di un circuito da quasi tre miliardi di persone fuori dal controllo americano. Il sistema russo di pagamenti tramite carta di credito che già prescinde dallo Swift e il cui nome, Mir, suggestivamente significa sia pace sia mondo, copriva tra il 25 e il 30% delle operazioni in Russia al momento dell’invasione dell’Ucraina.


Il punto veramente dolente è la sostituzione dell’import ordinata dal Cremlino nel 2014 e proceduta con relativi successi nel settore alimentare, ma molto deficitaria per i settori che necessitano di un alto grado di sofisticazione tecnologica. L’industria aerea, estrattiva, anche l’assemblaggio di alcuni equipaggiamenti militari di alta gamma sono rimasti dipendenti dalle importazioni dall’Occidente. Di fronte allo stop delle forniture di componenti high tech non si vedono vie d’uscita immediate. Nel frattempo, buona parte delle società straniere che hanno lasciato la Russia ha mantenuto i contratti con il personale improvvisamente inutilizzato e resta in attesa di capire come evolveranno le cose. Lo stesso fa il governo moscovita, minacciando la nazionalizzazione dei loro asset e rinviando ogni decisione.


2. La Russia è entrata in guerra con abbondante teoria e limitata pratica di distacco dal sistema occidentale. Il confitto prolungato oltre le previsioni ha trasformato l’aspirante fortezza in un’isola scollegata dal mondo, in regime d’emergenza nell’attesa di capire se il mondo tornerà a collegarsi in tempi e modi gestibili, come auspica l’affaticato ministro Lavrov. L’evidente grado di impreparazione fa sperare a Usa e alleati di poter piegare il Cremlino per sopravvenuta implosione economica e conseguente crollo del regime putiniano. E qui arriva la vera scommessa per tutte le parti in causa, affidata in ultima istanza al popolo russo, storicamente abituato alle sofferenze e a compattarsi per contrastare le minacce esterne, costi quel che costi. Una collettività che di fronte all’azzardo bellico in Ucraina si autosomministra una buona dose di schizofrenia per far convivere due bisogni profondi: il rifiuto e la paura della guerra come tale e l’approvazione della «operazione militare speciale» in un paese descritto da Putin come indivisibile dalla Russia proprio perché abitato da un popolo fratello.


I sondaggi effettuati nella prima fase delle ostilità parlano chiaro. Un’ampia maggioranza di russi approva (o approvava), tra il 60 e il 70% a seconda che a rilevare sia un’organizzazione indipendente o vicina al governo. Chi sostiene l’invasione cita come obiettivi primari quello di rendere impossibile l’installazione di basi Nato in Ucraina e la necessità di difendere la popolazione russa e russofona delle Repubbliche Popolari di Donec’k e Luhans’k dopo il riconoscimento della loro indipendenza. Solo il 7% 7 indica la «denazificazione» dell’Ucraina, cavallo di battaglia della propaganda ufficiale, traducibile nella volontà di eliminare le formazioni dell’estrema destra nazionalistica attive nel Donbas ma anche di ottenere un cambio di regime a Kiev.


«È difficile dire quale sarà la reazione dopo i primi tempi, per ora la gente non capisce, è come bloccata. Fanno fatica a capire anche i giovani, impossibilitati o con grandi difficoltà ad accedere a fonti di informazione alternative ai media ufficiali», spiega a Limes Lev Gudkov, storico direttore e ora dirigente scientifico del Centro Levada: «È molto probabile che si debba affrontare un deficit di beni di prima necessità e questo creerà grande irritazione generale, anche tra chi appoggia il regime». Secondo Gudkov, a metà marzo oltre 30 mila russi avevano già lasciato il paese, temendo che la nuova cortina di ferro venga chiusa a chiave sul lato russo. Non è facile andarsene, ma questo deflusso continuerà per qualche tempo: «Nei prossimi due mesi sarà chiaro se la popolazione sta ancora con Putin o meno. Certo, il regime si irrigidirà ulteriormente, diventerà più repressivo, la prima reazione dei vertici del potere è stata poco razionale, piuttosto isterica e anche questo è un aspetto importante, che sarà per forza chiarito a breve».


Carta di Laura Canali - 2022

Carta di Laura Canali – 2022


Il fronte interno è stato preparato a lungo per reggere a una fase emergenziale di natura bellica o economica, dimensioni che adesso si sommano. Nei soggetti della Federazione per anni sono stati paracadutati emissari dell’intelligence e dell’Interno, in alcuni casi diventati governatori, in altri schierati contro il leader locale non gradito a Mosca. Il risultato è un alto grado di assoggettamento al potere centrale, considerato al Cremlino condizione minima e necessaria per impedire un’ondata di instabilità regionale e nuove spinte centrifughe. L’altro compito affidato al comparto securitario è stata la prevenzione, ancora prima della repressione, di ogni dissenso politico. In tempo di pace, le norme sugli agenti stranieri o contro gli «elementi estremisti» hanno permesso di minimizzare la cosiddetta predisposizione alle proteste, ovvero la percentuale di chi è pronto a scendere in piazza o in politica per contrastare il regime. Con la guerra, le organizzazioni o le persone bollate da queste leggi finiscono automaticamente nella lista dei traditori, evocati dallo stesso Putin con una descrizione che lascia poco scampo ai magnati russi accomodati nelle loro ville «a Miami o in Costa Azzurra». Sul sito di un non meglio identificato Comitato di difesa degli interessi nazionali è comparsa anche una lista di nemici e traditori della patria (le due categorie vengono distinte) in cui spiccano oligarchi, giornalisti, attivisti che hanno scelto l’espatrio e gli investimenti all’estero.


Il timore di esporsi o incorrere in problemi giudiziari, tuttavia, non è il primo fattore che induce i russi a adeguarsi. Un sondaggio realizzato un anno fa e illustrato dal Centro Levada nel rapporto «Perché il Cremlino sta vincendo la battaglia per l’uomo comune» individua come fattore decisivo una variante russa di conformismo che porta a adattarsi e sottoscrivere la narrazione ufficiale tutta patria, famiglia, fede. Nello specifico, il 27% si astiene dal protestare in primo luogo per paura, ma i più citano l’assenza di alternative politiche credibili. Oltre uno su dieci taglia corto, scegliendo come opzione di risposta la formula «alla gente va bene tutto, non c’è interesse a opporsi». Ma, soprattutto, il 17,2% dei russi è disposto a scendere in piazza a fronte del 62,8% che ritiene i valori conservatori promossi dal regime più importanti dei diritti civili e della difesa delle minoranze di pensiero. Il 13 marzo il consenso nei confronti di Putin registrato dall’istituto Vciom superava il 77%.


Questo allineamento è certamente aiutato dai media ufficiali e dal progressivo oscuramento delle fonti di informazione alternative. Tuttavia l’inerzia del cittadino russo viene da molto più lontano. Dal passato sovietico e allo stesso tempo dal baratro ideologico aperto dalla fine dell’Urss, spiega lo stesso istituto Levada, che osserva e studia la società russa da decenni.


Carta di Laura Canali - 2022

Carta di Laura Canali – 2022


Il sistema putiniano cerca di trasformare questa inazione in attiva adesione. In tal senso va letta la creazione di movimenti giovanili di ispirazione patriottica, quindi pro governativi, come la Junarmija, organizzazione nata nel 2015 con la missione di preparare i giovani russi a servire il paese in uniforme, a diffondere l’amor di patria e perpetuare la memoria storica delle grandi imprese militari russe. I volontari della Junarmija – 300 mila nel 2019 e ora addirittura un milione secondo fonti ufficiali 8 – sono stati visti all’opera il 18 marzo, 8° anniversario dell’annessione della Crimea e prima chiamata nazionale al raccoglimento attorno alla bandiera russa. Ovvero attorno al presidente Putin, che è riuscito a citare la Bibbia prima di venire interrotto da un guasto tecnico: «Non c’è amore più grande di colui che dà il sangue per il proprio fratello». Allusione ai caduti in Ucraina traducibile nell’ammissione di un alto numero di vittime tra i militari russi. 


3. Una guerra negata e tanto più una vittoria annunciata non possono produrre migliaia di morti. E quindi il fattore vittime è centrale nella tenuta del sistema di potere, tanto quanto gli aspetti economici. Conta più della compattezza dei vertici russi, costantemente sotto la lente dei media occidentali, a caccia di segnali di un imminente golpe contro Putin, se non di una rivoluzione di piazza. L’ipotesi del colpo di Stato appare in realtà piuttosto fantasiosa, sia per la natura corporativa e fidelizzante del sistema sia per l’assenza di alternative fuori dalla galassia putiniana, dove tutte le figure di peso sono legate a triplo filo al presidente.


Il percorso che ha portato alla guerra in Ucraina è iniziato molto tempo fa ed è precipitato in dinamica bellica dopo una fase negoziale con gli Usa che il Cremlino pensava potesse portare qualche risultato concreto. La richiesta formale di garanzie di sicurezza, quindi del riconoscimento della sfera di influenza russa in Europa, è stata concepita da un gruppo ristretto, rappresentato quasi in toto nel Consiglio di sicurezza chiamato il 21 febbraio a mostrare compattezza e obbedienza diretta a Putin. La riunione del Consiglio trasmessa dalla tv, talmente inusuale, ha evidenziato le esitazioni quantomeno del capo dell’intelligence esterna Sergej Naryškin, sbeffeggiato dal presidente per aver suggerito un ulteriore round di trattative e dato subito come silurato dagli analisti di mezzo mondo. Invece no, la stanza dei comandi deve arrivare intatta alla fine della guerra, che ha messo drammaticamente tutti sulla stessa barca con il capo dello Stato. «Pensano con una sola testa, non ci sono divisioni, la decisione di far scattare l’operazione militare ha colto di sorpresa qualcuno perché Putin ha tenuto il massimo segreto fino all’ultimo.


È lui che ha spinto il bottone, però tutti sapevano che il bottone era pronto», sostiene una fonte molto addentro agli affari del Cremlino. E aggiunge: «Non sapremo mai invece chi ha partecipato alla decisione definitiva, sempre che qualcuno abbia partecipato». La scomparsa dalla scena pubblica del ministro della Difesa Sergej Šojgu e del capo dello Stato maggiore Valerij Gerasimov ha aggiunto dubbi e sospetti alle tante incertezze. Detentori dei codici nucleari assieme a Putin, i due sono spariti l’11 marzo, scatenando l’inevitabile carosello di voci. Per Šojgu, che poi è rispuntato in tv in versione operativa, si è parlato di problemi cardiaci. Entrambi sono stati dati vittime dell’ira presidenziale per le falle nell’operazione militare, ma anche nascosti in luogo segreto per timore di un attentato oppure parte di un piano di golpe sventato. Dopo un mese di guerra sono invece certe le criticità delle Forze armate sul campo: truppe senza ricambio, utilizzo (negato) di soldati di leva, notevole presenza di originari dell’Ucraina con le complicazioni immaginabili, numero imprecisato ma probabilmente molto alto di caduti. Il tutto fa pensare a un quadro operativo pianificato con informazioni insufficienti, datate. E i vertici militari dovranno in qualche modo risponderne, sempre che non debbano rispondere di altre colpe adesso inammissibili.


Il momento bellico congela anche qualsiasi disegno o prospettiva di successione a Putin. Questione di stabilità, prima di tutto. La sopravvivenza al potere di Putin è d’altronde di secondaria importanza rispetto alla tenuta del sistema putiniano. Sistema munito di una strategia articolata, anche se con evidenti deficit, e sintetizzabile in tre vettori: rafforzamento e uso della potenza militare ove sia evidente un vantaggio da parte russa, supportato da azioni e operazioni ibride; alleanze internazionali alternative, dal partenariato con la Cina a sinergie variabili con singoli paesi asiatici, africani e latinoamericani; mobilitazione interna per il consolidamento del potere e graduale secessione dai circuiti economici occidentali come presupposto per resistere alle turbolenze e all’isolamento impliciti nello scontro con Stati Uniti e alleati.


Questi tre pilastri sono simultaneamente messi alla prova dalla guerra. L’isola Russia attende il risultato del triplice stress test.


Carta di Laura Canali - 2021

Carta di Laura Canali – 2021


Note:

1. «Lavrov expects solution to Ukraine issue to be found, West to get over hysteria», Tass, 3/3/2022, bit.ly/36xZIfM

2. Qui un sunto della raccolta di scritti «Krepost’ Rossija, Proščanie s liberalizmom» («Fortezza Russia, addio al liberalismo»), Moskva 2005, edizioni Glavnaja Tema, 2005, bit.ly/351M4Bh

3. Ibidem.

4. «Virus khuže fašistov: Glaz’ev rasskazal, kak Ukrainu razdelili na tri nacii» («Un virus peggio del fascismo: Glaz’ev ha raccontato come l’Ucraina è stata divisa in tre nazioni»), riassunto dell’intervista al canale Cargrad, 12/3/2022, bit.ly/3509l6r

5. «Putin prizval minimizirovat’ riski bezraboticy i inflacii v Rossii» («Putin ha chiesto di minimizzare i rischi di disoccupazione e inflazione in Russia»), Ria, 16/3/2022, bit.ly/3ixMLoN

6. «O rezultatakh razmeščenija sredstv Fonda naciolan’ogo blagosostojanija» («Risultati del collocamento delle risorse del Fondo nazionale di benessere»), 14/2/2022, bit.ly/3ituQ2C

7. «Special’naja voennaja operacija: otnošenie i celi» («Operazione militare speciale: opinioni e obiettivi»), Istituto Vciom, 28/02/2022, bit.ly/3N9QlDO

8. «Čislennost’ dviženija “Junarmii” prevysila million čelovek, rasskazal senatop» («Il movimento “Junarmija” ha superato il milione di unità»), Parlamenstkaja Gazeta, 26/1/2022, bit.ly/3D4h8wU

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