Cottarelli, economista serio, liberista: il candidato perfetto per la destra, capolista per il Pd – ma che cosa è il Pd?
Keynes Blog: “Il Pd candida Carlo Cottarelli capolista. Un estremista del rigore, che arriva a contare il debito pubblico in monetine, ancora innamorato dell’austerità, dei tagli alla spesa pubblica, delle teorie economiche zombie che tanti danni hanno causato all’Italia e all’Europa stessa.”
di Marco Palombi per Il Fatto Quotidiano
Al mercato delle figurine elettorali se n’è aggiunta una che cercava un album da tempo: sempre vicinissimo a una cadrega d’eccezione, economista prestato alla politica nel 2018 ma subito restituito, Carlo Cottarelli potrà ora diventare parlamentare grazie al Pd e +Europa. “Sarà una delle punte di diamante della nostra campagna elettorale” (come dice Enrico Letta) per poi divenire l’ennesimo peone a perdersi nell’ozio senza riposo tra il Transatlantico e i salotti tv.
Per uno che doveva essere il nuovo Monti o almeno il ministro dell’Economia di Mario Draghi finire a fare la figurina della coalizione perdente non è proprio un giorno di gloria: però il tempo passa, si sa, e il valore di mercato segue l’usura del marchio e il marchio Cottarelli è finito a campeggiare pure nelle trasmissioni sul Mundial del 1982, a non dire della strategia social che, ancorché affidata a professionisti, non risulta di eccessivo successo (e sì che la parabola del duo Mario Monti-cane Empy avrebbe dovuto mettere tutti sull’avviso).
La candidatura dell’economista ex Fmi, in realtà, dice qualcosa di lui, certo, ma ancor più del Pd. Cottarelli – esclusi ovviamente i tifosi del Toro che lo scambiano per Paolino Pulici – significa qualcosa solo per una bolla minuscola di lavoratori del circo dei media e di utenti di Twitter: è in buona sostanza una figurina senza valore e basti, al proposito, ricordare il convulso maggio 2018, quando – improvvidamente incaricato da Sergio Mattarella di formare un governo tra le fanfare di giornali e tv – si ritrovò senza neanche un voto in Parlamento. A livello più squisitamente politologico la sua candidatura indica che l’attuale leadership del Pd ritiene che – appaltate le figurine di sinistra al listino rossoverde – la battaglia elettorale si svolga al centro, un luogo dell’anima per gente rimasta agli anni 90 del clintonismo e della Terza Via, ma sfortunatamente vuota di elettorato.
Infine c’è il profilo ideologico, per così dire, di Cottarelli: è lì che tutti gli equivoci si tengono. Classe 1954, cremonese, laurea in economia a Siena e master alla London School of Economics, il suo primo lavoro è all’ufficio studi di Bankitalia, poi un breve passaggio in Eni e la lunga parentesi (dal 1988) al Fondo monetario internazionale, dove resta per 25 anni. Uomo del Washington consensus, non difetta di capacità di adattamento. All’epoca della crisi greca, per dire, il nostro era a capo del dipartimento Fiscal Affair del Fmi e in quella veste partecipò al pessimo lavoro della Troika ad Atene: nel luglio 2018 rivelò che ai tempi aveva segnalato che il piano dei creditori si basava su ipotesi sbagliate (la consistenza dei “moltiplicatori” della spesa pubblica), ma non gli diedero retta, né lui ritenne di esplicitare le sue perplessità su una cosetta costata ai greci il 26% del Pil e qualche migliaio di vite.
L’austerità comunque non gli è mai dispiaciuta. Uno studio prodotto dal suo “Osservatorio sui conti pubblici” nel 2018 benediceva quella del governo Monti, che ci aveva risparmiato ben 11 punti di aumento del rapporto debito-Pil: un anno prima una simulazione del Tesoro (ministro Padoan) aveva stabilito al contrario che la manovra “Salva-Italia” aveva causato un calo del Pil medio (ogni anno) pari al 4,7% tra il 2012 e il 2015, cioè circa 75 miliardi l’anno, 300 in tutto, finendo insomma per peggiorare il rapporto debito-Pil (vedi Grecia). Cottarelli, al fondo, è un seguace della “scienza economica dell’Ottocento” (il liberismo, giusta una presa in giro di Meuccio Ruini a Luigi Einaudi in Assemblea costituente), pienamente incistato in quel clima culturale che trent’anni fa pensò che le buone pratiche (e il basso deficit) dovessero sostituire l’intermediazione pubblica del risparmio e l’intervento dello Stato: “È nell’interesse pubblico che la rete autostradale sia gestita dal settore pubblico?”, si chiese d’altronde il nostro su Repubblica dopo il crollo del Morandi.
In questo senso Cottarelli è anche il candidato perfetto del Pd, che su quest’equivoco anni Novanta nasce ed esercita oggi il suo droit de moribondage: destra liberale spacciata per progressismo e venduta agli ex elettori Pci. Il rapporto con Enrico Letta, poi, è saldissimo. L’autore di Morire per Maastricht, da premier, lo volle commissario alla spending review nel 2013: dotato di enorme autonomia e destinato ad essere, col ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, il vero capo del governo, il suo lavoro si interruppe bruscamente con l’arrivo di Matteo Renzi, che non voleva essere governato da un consulente e lo rispedì a Washington con un incarico politico: dal suo lavoro al Fmi il nostro era infatti andato in pensione al ritorno in Italia, all’età di 59 anni. Ovviamente sostiene l’opportunità di aumentare l’età pensionabile.


