Fonte: La Stampa
Gustavo Zagrebelsky: “In Italia il presidenzialismo rischia di fondarsi sull’odio, Meloni usa parole vuote, ma con Berlusconi almeno possiamo sorridere”
Professor Gustavo Zagrebelsky, le dispiace se cominciamo dalle parole di Liliana Segre?
«Quelle sulla fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia?».
Quelle: «Partiamo dai fatti, non dalle parole o dalle ipotesi. Meloni inizi a togliere la fiamma dal logo del suo partito». Perché è così importante?
«La fiamma è un simbolo e i simboli sono dei segni che chiamano a raccolta. In questo caso il punto politico e culturale è duplice: chi è chiamato a raccogliere quel simbolo? E intorno a che cosa? Il simbolo di per sé non è decisivo. Decisivo è ciò che vuole rappresentare. Lo puoi anche cambiare, ma se non mutano la sostanza, le azioni, le speranze, le idee e le ideologie che il simbolo rappresenta, allora non cambia niente».
Bisogna cambiare il senso, non solo il segno.
«La fiamma ha una storia precisa. Era già presente nel simbolo dell’Msi di Almirante, ma quando ci chiediamo che cosa sia la destra nel nostro Paese è riduttivo fare riferimento ai simboli. Io non credo che abbandonare la fiamma sia di per sé una grande conversione, perché la si potrebbe anche sostituire con un coltello o con un’aquila ruspante. È importante, ma non basta. Quello che bisogna chiedere al partito di Meloni è sostanziale. Come ha detto la senatrice Segre, non siano vuote parole».
«Che risponda a domande semplici. Faccio degli esempi. Chi mette in lista Fratelli d’Italia? Che storia hanno queste persone? A che cosa si richiamano, che cosa li unisce?».
Parla anche lei di fascismo?
«Quando si evoca il fascismo è facile rispondere, come fa Giorgia Meloni, che è confinato nei libri di storia, che è una cosa vecchia, passata. Ma nella sostanza, come ha scritto Umberto Eco, esiste un fascismo perenne. Non vogliamo chiamarlo così? Lasciamo perdere la parola, allora. Ma chiediamoci che cosa c’è dietro. Cerchiamo di decodificare quel mondo».
Facendolo che cosa troviamo?
«Nazionalismo e intolleranza verso ciò che non rientra in un concetto chiuso di nazione, verso coloro che sono considerati diversi per etnia, cultura o orientamenti esistenziali. E poi ci sono anche i “diversi interni”. Quelli che si sentono italiani ma non “arcitaliani” e spesso si sentono stranieri in patria. Nel fascismo perenne, anche se non si esibiscono i fasci littori, c’è anche altro: il culto della forza, la glorificazione della violenza in certi ambienti, e in certa mentalità, praticata contro i miti di carattere e i deboli. Il fascismo è il sistema dell’intolleranza, dello Stato-potenza che porta alla guerra. La democrazia è un modo di vivere, il sistema della tolleranza reciproca».
Meloni è stato il ministro più giovane d’Italia e il suo partito fa legittimamente parte dell’arco costituzionale.
«Bisogna dimostrarlo con le idee e con le opere di essere dentro la Costituzione. Ripeto: prende davvero le distanze dai gruppi di estremisti che fanno riferimento al suo partito?».
Lei direbbe che ha già risposto in tre lingue.
«Adesso ci arriviamo. Ma prima mi faccia dire un’altra cosa. La democrazia della Costituzione si fonda su principi semplici. Uno: il ripudio della violenza. Due: la difesa dei diritti inviolabili degli esseri umani, di tutti gli esseri umani, non solo dei cittadini. Tre: l’internazionalismo, cioè l’apertura dello Stato alla collaborazione e all’integrazione, al superamento delle società chiuse».
Non è legittimo dire: prima gli italiani?
«Secondo me, è una formula orribile usata dai sovranisti. Che dicono anche: noi a casa nostra, gli altri a casa loro. Significa che non siamo disponibili a metterci in discussione in presenza di persone che vengono da fuori».
È inaccettabile?
«Dante, a proposito della terra su cui viviamo, parla della “aiuola che ci fa tanto feroci”. Questa concezione della terra in cui siamo nati come nostra proprietà, delimitata dai “sacri confini” da difendere è di per sé violenta. Per questo dico penso che eliminare la fiamma non basta se non si elimina ciò che contiene. Meloni ci dica con chi sta e chi sta con lei. Orban, Vox, Le Pen, sono questi i suoi alleati? È necessario capirlo, per avere un’idea della sua offerta politica e se la sua conversione rispetto al fascismo, storico o perenne che sia, è una cosa seria».
Ci risiamo con l’esame del sangue?
«In Italia, come in Europa, esiste una destra estrema, esplicitamente fascista. Magari è una quota minoritaria, però esiste. Sapere intanto se costoro sosterranno l’offerta politica di Fratelli d’Italia è importante. Quanto all’esame del sangue, torniamo al simbolo. Sono loro che lo mantengono, richiamando una tradizione che viene dall’immediato dopoguerra e fa riferimento a un partito dichiaratamente neofascista».
A Pd e 5 Stelle l’esame del sangue non lo fa?
«Diversamente, ma lo faccio. La mia domanda per loro è: voi chi siete? Per Meloni diventa: voi che cosa siete ancora? Risponda con i fatti, non con un’operazione di cosmesi politica».
Meloni è presidente di Fratelli d’Italia dal 2014.
«Un conto è essere al 4%, un altro è candidarsi a guidare il Paese. Il veleno che prima poteva essere assorbito dall’intero sistema adesso emerge in superficie con tutta la sua forza».
A proposito di veleno, ha sentito Berlusconi?
«Su Mattarella?».
Se passasse il presidenzialismo dovrebbe dimettersi.
«Le sue parole esatte sono state: sarebbe necessario».
Non lo sarebbe?
«Da costituzionalista direi che non è affatto necessario. Le cariche costituzionali hanno una loro durata e se si fanno delle riforme queste entrano in vigore alle scadenze naturali. Quindi dire “sarebbe necessario” non è corretto. Però, aggiungo, anche se non è necessario non è detto che non sia possibile».
Non capisco.
«Sarebbe necessario implica una necessità oggettiva che in realtà non c’è. Altra cosa è immaginare che Mattarella possa autonomamente decidere di lasciare per scelta propria, magari per agevolare la transizione in condizioni di serenità. Ma nessuno dovrebbe condizionare queste sue decisioni eventuali. È auspicabile che si arrivi alla fine ordinata del mandato. È una questione di stabilità e di credibilità».
Ma?
«Ricordo quattro casi di dimissioni anticipate: Segni, Leone, Cossiga e Napolitano. Nessuno di questi casi è paragonabile all’ipotesi fatta da Berlusconi, rispetto alla quale non esistono precedenti. Una forzatura potrebbe sollevare il sospetto che la richiesta di riforma sia dettata dal desiderio di qualcuno di prendere il posto di chi è in carica. Un retropensiero che non dovrebbe neppure potersi affacciare».
Berlusconi nega di averlo fatto.
«Può anche negare, ma le cose che uno dice restano. Non ha escluso la possibilità di salire al Colle. Ha detto: vedremo. Che in politica vuole dire: io ho già visto e mi preparo».
Tecnicamente non glielo impedisce nessuno.
«Tecnicamente può candidarsi a tutto quello che vuole. È un cittadino nella pienezza dei suoi diritti civili e politici. Umanamente questa sua vitalità me lo rende anche simpatico. Tanta energia è un antidoto alla depressione che prende molti di noi quando l’età avanza. Una medicina psicologica».
Se il punto fosse umano avremmo risolto. Il punto però è politico. Berlusconi è convinto davvero di meritare il Colle.
«E questo dimostra che il suo ego ha confini quasi sterminati. A non andarmi giù, però, è l’atteggiamento di chi gli sta intorno».
Spregiudicato cinismo?
«Già al tempo dell’elezione di Mattarella abbiamo pensato: lo stanno illudendo, lo stanno usando, in sede ufficiale dicono certe cose, poi in separata sede, si strizzano l’occhio tra di loro e sussurrano: alla sua età, nelle sue condizioni, ma come si fa?».
Cinismo e speculazione. La campagna elettorale costa.
«Ha anche un suo pacchetto di voti che non va sottovalutato. Da qui il gioco ad illuderlo».
Il Cavaliere si fa ferire difficilmente.
«Anche la debolezza nei confronti dell’adulazione è un segno dell’età che avanza».
Professore, ma il presidenzialismo è buono o cattivo?
«Di per sé non è né l’una né l’altra cosa. Nel dibattito attuale si sente dire che in certi Paesi funziona benissimo. Ma non è così dappertutto. Il modello francese funziona bene a Parigi ma produce guerre tribali in molti Paesi africani. E lo stesso dicasi per il modello nordamericano, che certamente non è un paradiso. Noto, per esempio, che in Brasile, imitando Trump, Bolsonaro ha già detto che non riconoscerebbe una eventuale vittoria di Lula alle imminenti elezioni».
Che c’entra tutto questo con noi?
«C’entra. Lo storico della rivoluzione napoletana Vincenzo Cuoco sosteneva, già nel ‘700, che le Costituzioni sono come degli abiti. Non esiste l’abito perfetto in quanto tale. Dipende tutto da chi lo indossa. Se è alto o magro, basso o grasso, eccetera».
Noi come siamo?
«Noi siamo in una fase di contrapposizione, in cui i leader – l’ultimo è stato Letta – invitano a schierarsi o di qua o di là. Meloni dice che con il presidenzialismo sapremo dopo soli cinque minuti chi ha vinto e chi ha perso».
E che male c’è?
«È un linguaggio che non mi piace. Se l’obiettivo è vincere sugli altri, allora tutto è lecito. Anche la propaganda elettorale diventa il pretesto per diffondere paura e sentimenti irrazionali. In Italia esistono le condizioni che possono portare a conflitti radicali».
A causa dell’idea di presidenzialismo?
«Guardi, la democrazia può essere di due tipi: decidente (dove decidere significa separare) o deliberante, dove le parti si confrontano, cercano una mediazione e infine una sintesi. Il presidenzialismo spinge verso una democrazia decidente, il parlamentarismo verso una democrazia deliberante, in cui il confronto non è tra nemici, ma tra diversi. Estremizzando: il presidenzialismo rischia di fondarsi sull’odio. Il parlamentarismo mira alla comprensione. In Italia il pericolo dell’odio non può essere sottovalutato. Sono proprio due modelli alternativi».
Undici premier in vent’anni e Camere rese ininfluenti. Il parlamentarismo non ha dato grande prova di sé.
«È vero. Anche qui i classici ci aiutano a capire che nessun regime è perfetto. Ogni regime nasce buono e poi si corrompe. E questo vale anche per le democrazie. Ma non bisogna dimenticare che il nostro parlamentarismo è sorto dalla ripulsa dell’autoritarismo e su questo bisogna che tutti si facciano un esame di coscienza. Non basta demonizzare gli altri, bisogna essere in grado di prendersi le proprie responsabilità: no alla rissa e all’infinita litigiosità. Sì al confronto e all’apertura. Sempre».
La destra è ipoteticamente in grado di cambiare da sola la Costituzione la spaventa?
«Mi inquieta, vista la faziosità e la rissosità con cui si muovono le forze politiche. Anche se per cambiare la Costituzione c’è bisogno della maggioranza dei due terzi. Per altro la Carta non può essere cambiata in tutto. Esiste ormai una opinione costituzionale comune secondo la quale esistono principi supremi di libertà e democrazia che non possono essere toccati e che ci legano in maniera chiara al sistema politico e culturale europeo».
Siamo in un guaio?
«Ma con Berlusconi almeno possiamo sorridere».


