DECADENZA DELLE RELIGIONI

per Filoteo Nicolini

DECADENZA DELLE RELIGIONI

Le tragiche notizie dall’Iran ci danno l’occasione per parlare della deriva che trascina le religioni così come sono vissute oggi nel XXI secolo.
È necessaria una premessa. Quando esprimiamo una idea ci sentiamo in qualche modo racchiusi in noi stessi, è una nostra elaborazione. Possiamo anche sentirci parte del Cosmo così come ci viene rappresentato dalla moderna cosmologia. Ma in aggiunta, possiamo sentirci come una entità indipendente dalle nostre idee e quindi dal corpo fisico, così come dal Cosmo a cui apparteniamo. Ciò accade quando alludiamo al nostro essere spirito e pronunciamo la parola “Io”, quando cioè ci riferiamo a un’entità interiore, autosufficiente. Lo sentiamo come appartenente a un mondo speciale, a un mondo divino, di cui il corpo e il Cosmo sono solo il riflesso esteriore, la replica esteriore.
Nei tempi antichi, attraverso una visione interiore seppur primitiva, l’essere umano sperimentava la sua entità umana indipendente sia dal suo corpo che dal Cosmo, sapeva di appartenere a un mondo divino. E sapeva anche che tra la nascita e la morte era stato posto al di fuori di questo mondo e vestito di un corpo fisico. Cercava allora l’unione di questo Io con il mondo divino di appartenenza, l’unione, la religione con il mondo divino. La vita religiosa era quella in cui fluiva una percezione che era insieme filosofica e cosmologica. L’essere umano si trovò unito a ciò da cui era stato separato dal proprio corpo e dal cosmo sensibile esteriormente visibile. Nell’esperienza religiosa fu unito al mondo divino, e questa esperienza religiosa fu la fioritura più alta della vita percettiva.
Per il modo di pensare moderno, cosa è diventato l’Io, questo vero essere spirituale? È diventato nient’altro che i fenomeni del pensare, del sentire e del volere concepiti come un’unica idea astratta. L’Io è ormai diventato una specie di miscuglio fatto di pensiero, sentimento e volontà, in ogni caso qualcosa di astratto. La conoscenza moderna, anche la più raffinata conoscenza filosofica, ha perso la percezione dell’Io, il vero spirito uomo, e con esso anche la via per una comprensione della religione.
Negli ultimi secoli, accanto alle conoscenze scientifiche risultanti dal mondo dell’osservazione e della sperimentazione, ci sono tradizioni tramandate da una vera vita religiosa di epoche passate. Sono accettate in senso storico. Ma la conoscenza e la scienza non ha più accesso ad esse; quindi, si crede in loro, oppure si rimane scettici. Così, poiché la conoscenza non si applica all’esperienza religiosa, scienza e fede si confrontano. L’intero contenuto della fede di oggi però era una volta conoscenza e viene riportato solo come memoria conservata nella tradizione. Non esiste dichiarazione di fede che non sia un ricordo di antiche conoscenze. Poiché l’Umanità oggi non ha una percezione vivente del vero Io, il sentiero della conoscenza non è seguito fino in fondo nella religione. La fede in realtà non fa che perpetuare la memoria delle antiche tradizioni.

Oggi, quindi, quella che una volta era un’unità: la conoscenza sia del mondo fisico che di quello divino, si è divisa in due campi esterni, paralleli: conoscenza e fede.
Questo divario tra conoscenza e fede esiste perché la visione viva e chiaroveggente del vero Io di filiazione divina è andata perduta. Pertanto, è compito della nuova vita spirituale ripristinare la conoscenza del vero Io attraverso l’esatta chiaroveggenza che oggi si può sviluppare. Allora si aprirà la via per avanzare dalla conoscenza del mondo alla conoscenza divina, dalla conoscenza del mondo al rinnovamento della vita religiosa. Potremo allora vedere la fede come una forma speciale e superiore di conoscenza, non, come ora, come qualcosa di specificamente diverso dalla conoscenza.
Va detto che questa esperienza religiosa su nuove basi può essere vissuta solo da chi si è reso del tutto indipendente dal suo organismo corporale e per questo motivo tali esperienze non possono certo risiedere nella coscienza ordinaria. Solo quando questa coscienza ordinaria sviluppa capacità di chiaroveggenza può fornire descrizioni di quelle esperienze che l’essere umano ha nel mondo puramente spirituale. Pertanto, una teologia razionale, una teologia che vuole fare affidamento sulla coscienza ordinaria, si trova in una posizione di impotenza.
Se qualcuno immagina di poter affermare qualcosa sulle esperienze nel mondo divino sotto forma di idee basate solo sulla coscienza ordinaria, si sbaglia di grosso.
La teologia è giunta sempre più al punto di formulare una sorta di teologia storica, adottando semplicemente le vecchie idee del regno di Dio acquisite nella precedente visione chiaroveggente. Queste idee vengono poi trasformate in un sistema razionale dalla logica e dalla dialettica. La teologia oggi è una teologia del sistema nervoso, null’altro. È un prodotto della storia, versato a volte in nuove forme e inglobando inoltre pregiudizi, tabù, fanatismi e credenze errate. Ma tutto ciò che ha un contenuto reale è preso in prestito, da coloro che vogliono solo attingere dalla coscienza ordinaria, dalla tradizione o dalla storia.
Questo rapporto diretto, questi legami vivi con l’esperienza nel mondo spirituale, sono svaniti per l’Umanità più recente quando, per esempio nel Medioevo, è sorta la questione della prova dell’esistenza di Dio. Finché esisteva un rapporto diretto con l’esperienza del regno di Dio, non si parlava di prove dialettiche o logiche della divinità. Tali prove, quando furono presentate, erano di per sé la prova che la relazione vivente con il regno di Dio era svanita. Fondamentalmente era corretto quanto diceva la teologia scolastica: la ragione ordinaria non è in grado di pronunciarsi sul regno di Dio. Può solo chiarire le idee già presenti, sistematizzarle.
Può contribuire solo in qualche modo a rendere la dottrina facilmente accettabile.
Possiamo osservare come negli ultimi tempi questa incapacità della coscienza ordinaria di avvicinarsi al regno di Dio abbia dato origine a due fenomeni. Da una parte ci sono gli scienziati che vogliono parlare di religione e di Dio, ma sentono l’incapacità della loro coscienza ordinaria e quindi si affidano a una storia della religione. Un contenuto religioso non può attualmente essere ottenuto in questo modo. Pertanto, le religioni esistenti sono considerate storicamente. Le persone seguono tali insegnamenti senza produrre una propria vita genuinamente religiosa.
Altre persone ancora si rendono conto che la coscienza di veglia non ha il potere di determinare nulla sulle esperienze nel regno di Dio puramente spirituale. Pertanto, si rivolgono alle regioni più inconsce dell’anima umana, al mondo dei sentimenti, a certe facoltà mistiche, a esercizi di mortificazione e quant’altro, e parlano di un’esperienza immediata, elementare di Dio. Questo è abbastanza diffuso oggi.
Sono proprio i fautori di questo tipo di esperienza che testimoniano lo stato d’animo spirituale in questo momento. Con tutte le loro forze evitano la possibilità di portare la loro consapevolezza di Dio in idee chiare e concetti cristallini. Danno lunghe spiegazioni sul perché questa esperienza istintiva di Dio che, secondo la loro interpretazione, è la vera esperienza religiosa, non può essere provata.
Concludono quindi che l’idea di esprimere qualsiasi contenuto religioso in forma intellettuale deve essere abbandonata. Ma c’è da dire che questi fautori di una coscienza diretta di Dio sono vittime di illusioni, perché ciò che si sperimenta in ogni regione dell’anima può infatti esprimersi anche con idee chiare. Il nostro pensiero aguzzo e preciso corrisponde alle acquisizioni dell’evoluzione come dono di Dio che ci appartiene e che non dobbiamo disprezzare.
Se dovessimo seguire il loro esempio e la fallacia secondo cui il contenuto religioso si indebolisce quando è espresso in idee chiare, dovremmo abbandonare tutte le nostre idee veramente sostanziali a favore di una serie di immagini e nozioni sognanti. È un tratto caratteristico della vita religiosa odierna che le persone si affidino a qualcosa che, non appena deve essere chiarito, cade subito in una opacità sconcertante.
Da ciò è del tutto evidente che possiamo riuscire a rinnovare la vita religiosa se in base a una esigenza interiore sentiamo la necessità vitale di allargare la nostra conoscenza ordinaria per vivere con l’anima nell’elemento che non è contenuto nella percezione dei sensi. Purtroppo, sulla base delle nostre abitudini, non ne vogliamo sapere, ne abbiamo paura. Oggi, parlando di spirito alle persone, si nota che esse si difendono. Le persone vogliono rimanere quello che sono e non badare alla attività di pensare ma abbandonarsi agli avvenimenti che si susseguono. Con tale passività si immobilizza quanto ci attende per essere conosciuto, lo si limita, lo si etichetta.
La religione, qualunque essa sia, si limita all’accettazione tradizionale di ciò che deriva da condizioni dell’anima dell’umanità del tutto diverse in epoche precedenti.
Abbiamo invece particolare bisogno allargare la conoscenza proprio perché la filiazione divina possa essere posta su solide basi.

FILOTEO NICOLINI

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