Autore originale del testo: Gianni Cuperlo
Su “Domani” Andrea Casadio ha scritto una riflessione per molti versi illuminante su questo capitolo.
La lettura (seppure sintetizzata per punti) credo aiuti a comprendere con chiarezza i pericoli che abbiamo davanti e le misure che sarebbe necessario assumere (e che questo governo, impegnato a tagliare i fondi per il Servizio Sanitario Nazionale non assumerà).
Quando parliamo del Pnrr parliamo di 191 miliardi destinati all’Italia con un piano suddiviso in sei punti – sono sei missioni – la numero sei riguarda la salute.
Si tratta di 15 miliardi e 600 milioni di euro.
A questo si aggiungono 2 miliardi e 400 milioni che derivano dal Piano nazionale complementare (Pnc), un fondo di bilancio istituito dal governo Draghi.
L’insieme di queste risorse deve riformare e ammodernare il nostro Sistema Sanitario Nazionale.
La missione prevede interventi per rafforzare le prestazioni erogate sul territorio con il potenziamento e la creazione di strutture e presidi territoriali come le “case di comunità” (finanziate con 2 miliardi), gli “ospedali di comunità” (un miliardo), il rafforzamento dell’assistenza domiciliare (204 milioni), lo sviluppo della telemedicina (oltre 2 miliardi).
L’obiettivo è anche il rinnovamento e ammodernamento delle strutture tecnologiche e digitali (oltre 2 miliardi e 600 milioni) con la previsione di sostituire almeno 3.100 grandi apparecchiature sanitarie (Tac, ecotomografi, angiografi e sistemi per la radiologia e gli esami di pronto soccorso).
Si tratta di un piano molto ambizioso che di fatto ridisegna l’intero sistema.
La logica è creare percorsi integrati di assistenza sul territorio che partono dalla casa (il primo luogo di cura) per arrivare alle “case della comunità” e agli “ospedali di comunità” e quindi, solo dopo, alla rete degli ospedali veri e propri: obiettivo garantire la migliore cura del cittadino.
La premessa è potenziare i servizi domiciliari: chi non ha bisogno di cure particolari verrà curato a casa da medici e infermieri formati a questo scopo.
Il piano prevede entro la metà del 2026 la nascita di 1.288 “case della comunità” radicate su tutto il territorio nazionale che saranno un luogo dove si coordinano tutti i servizi sanitari e si cureranno i pazienti (anziani, malati cronici) che non hanno bisogno di cure intensive. In queste “case della comunità” saranno impegnati dei team multidisciplinari composti da medici di medicina generale, pediatri, specialisti, infermieri.
L’altro obiettivo è creare 381 “ospedali di comunità” dove verranno ricoverati i pazienti che hanno bisogno di cure a media e bassa intensità clinica per degenze di breve durata.
Avranno di media 20 posti letto (fino a un massimo di 40), saranno gestiti in prevalenza da infermieri e ospiteranno anche pazienti dimessi dagli ospedali che non necessitano più di cure intensive ma non sono ancora pronti per tornare a casa.
Infine verranno realizzati almeno 600 “centrali operative territoriali” (Cot) che prenderanno in carico la persona e coordineranno i servizi e i professionisti nei diversi ambiti dell’assistenza.
Fino a qui sembra un paradiso che si va a definire, ma il tema vero è che prima di riformare il nostro Sistema Sanitario Nazionale dovremmo avere la preoccupazione di tenerlo in vita visto che risulta agonizzante, questo anche senza contare gli squilibri tra Nord e Sud del paese dove la situazione è letteralmente drammatica.
Ma come e perché si è giunti a questa condizione?
Tra il 2010 e il 2019 i fondi destinati dai vari governi alla Sanità sono diminuiti di 37 miliardi di euro (aggiunta mia: molto importante ricordare che con gli ultimi due governi si era invertita quella tendenza e la spesa sanitaria è stata sensibilmente incrementata).
Al contrario il Def del governo Meloni (2022) prevede che nel triennio 2023-2025 la spesa sanitaria venga ridotta in media dell’1,13 per cento all’anno, il che nel 2025 farà precipitare il rapporto spesa sanitaria/Pil al 6,1 per cento, molto sotto quella prevista dagli altri paesi europei che è pari circa al 9,5 per cento.
In Italia lo Stato spende 3.052 dollari pro capite contro i 3.488 della media OCSE, mentre in Europa 15 paesi investono più di noi in sanità.
Ancora più impietoso il confronto con i paesi del G7: dal 2008 siamo la nazione che spende meno di tutte.
L’altro tema da affrontare è questo: chi metterà in pratica le riforme previste dal Pnrr?
Per far funzionare le case e gli ospedali di comunità serviranno tanti medici e infermieri che noi non abbiamo e ancora meno avremo in futuro.
A causa del blocco del turn-over del personale sanitario introdotto con la legge 266 del 2005 approvata dal governo Berlusconi, in media su 100 medici andati in pensione, 10 non sono stati sostituiti: in regioni come il Lazio, la Sicilia e la Campania il numero sale a 31.
Oggi negli ospedali del pubblico ci sono 15.000 specialisti in meno rispetto al 2015: sui 103.092 medici ospedalieri oggi in servizio in questi ospedali, nei prossimi cinque anni ne andranno in pensione 29.331 che verranno sostituiti solo in minima parte.
I motivi della fuga sono tanti: le facoltà di medicina sono a numero chiuso e sfornano sempre meno nuovi medici, molti neo laureati in medicina snobbano certe specializzazioni difficili e poco redditizie per cui restano vacanti il 57 per cento dei posti disponibili nelle scuole di specialità in medicina d’emergenza e urgenza, il 17 per cento in quelle di anestesia e rianimazione.
Inoltre circa il 10-20 per cento dei nostri medici ogni anno fugge all’estero perché guadagnano di più e vivono meglio.
Secondo le stime dell’OCSE un medico italiano guadagna in media 110.000 dollari l’anno, un tedesco 187.000, un olandese 190.000, un britannico 155.000.
All’estero diventi primario se vali e non se sei simpatico al direttore sanitario di turno scelto dalla politica.
Chi non fugge all’estero spesso si fa assumere da una delle cliniche private che operano in Italia e che possono garantire stipendi più elevati.
Conclusione: nel 2027 mancheranno nel pubblico 60.000 medici specialisti e 15.000 medici di medicina generale.
Anche molti infermieri italiani fuggono all’estero per gli stessi motivi: lo stipendio medio di un infermiere italiano è di circa 39.000 dollari contro gli 87.000 di uno belga, e i 59.000 di un tedesco o i 48.000 di un britannico.
Seconda conclusione: tra cinque anni mancheranno almeno 25.000 infermieri.
Poi c’è la questione del cosiddetto “privato accreditato”.
Gli ospedali e cliniche accreditate sono strutture a gestione privata che possono effettuare prestazioni in nome e per conto del Servizio Sanitario Nazionale.
Uno viene ricoverato, si sottopone a una operazione chirurgica o un esame in una di queste cliniche e paga il pubblico (in alternativa il cittadino paga di tasca sua).
Ogni regione dovrebbe decidere quali e quante strutture private accreditare sulla base di una “equa” valutazione dei fabbisogni sanitari ma in realtà ogni giunta regionale (con le giuste eccezioni) accredita le cliniche private dei suoi “amici” politici.
Queste cliniche e questi ospedali funzionano secondo la legge del profitto: più soldi incassa e più il proprietario è contento, perciò queste strutture si gettano a capofitto sulle attività più remunerative (quelle che garantiscono ricoveri lunghi dove il pubblico paga una retta giornaliera di centinaia di euro).
Per questa ragione pochissimi ospedali privati offrono un servizio di pronto soccorso o di terapia intensiva mentre sono private molte delle cliniche per la riabilitazione (cure che durano mesi) oppure quasi tutte le comunità psichiatriche dove un paziente sta ricoverato per anni e praticamente tutte le RSA, residenze per anziani, dove si vive anche per decenni.
Molte cliniche private assumono medici “Star” pagati oro per attirare più clienti e magari assumono camionate di infermieri stranieri di cooperative dubbie, pagati 400 euro al mese per risparmiare.
Le strutture private accreditate possiedono circa 52.000 posti letto, impiegano 70.000 operatori sanitari e assicurano il 28,4 per cento del totale delle giornate di degenza: lo Stato ogni anno paga ai privati circa 6 miliardi e 800 milioni di euro pari a circa il 13 per cento della nostra spesa sanitaria.
Secondo il Pnrr proprio in questi settori si dovrebbero compiere le riforme più coraggiose e i risparmi maggiori perché molte di queste prestazioni dovrebbero essere effettuate a domicilio o dentro le nasciture strutture di comunità.
Le residenze per anziani, per esempio, dovrebbero essere riconvertite in appartamenti autonomi gestiti direttamente dallo Stato e non più dai privati che però difficilmente rinunceranno a quei profitti.
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Bene, fino qui l’analisi di Andrea Casadio.
Serve altro per capire perché parlando di diritto fondamentale alla salute e alle cure siamo seduti su una polveriera?
E serve altro a confermare che l’alternativa alla destra si costruisce anche dal basso, unendo le opposizioni e dando vita a veri e propri “Comitati Popolari per l’Alternativa” capaci di mobilitare centinaia di migliaia di cittadini a difesa del primo diritto scolpito nella nostra Costituzione?
No, sinceramente penso che altro non serva.
Si tratta solamente di farlo!


