Giorgia e l’alibi del complotto

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Marco Follini

Giorgia e l’alibi del complotto

Caro direttore de “La Stampa”, forse andrebbe indagata meglio quella sindrome del “complotto” che di tanto in tanto, e sempre più frequentemente, attraversa il nostro stanco dibattito pubblico. Poiché è evidente che quella continua evocazione di forze che tramano nell’ombra, e dall’ombra attentano alla virtù della nostra democrazia, non è altro che un alibi. Una furbizia.

Il fatto è che raramente la furbizia è una virtù. Semmai può essere una comodità. Ma con il fiato corto, cortissimo. Infatti lo spettro di una trama nemica che opera di nascosto e cinge d’assedio le sue vittime finisce quasi sempre per rivelare soprattutto la fragilità di quanti la denunciano. Poiché di lì in poi la loro azione politica procede zoppicando. E viene meno quel coefficiente di fiducia di cui le democrazie hanno bisogno per essere ben governate. L’eccesso di fantasia produce infine un difetto di realtà.

Come tutte le furbizie del mondo, insomma, anche questa non ha respiro. E infatti, non appena quella parola – complotto – torna a popolare la politica dei suoi incubi, e quell’altra parola – fiducia – appare sotto forma quasi di colpevole ingenuità, l’esito di tutto questo è di acuire la diffidenza dell’opinione pubblica verso ognuno dei protagonisti di questo racconto. Non per caso i nostri vecchi, che erano più saggi che furbi ma che pure disponevano di cospicue riceve di astuzia, si guardavano bene dal denunciare troppi sospetti. Semmai, li minimizzavano. Convinti com’erano che la politica fosse un monumento alla solidità poggiata sul basamento di una quasi granitica fiducia. Nelle proprie stesse forze, oltre che nel proprio destino.

Ogni volta che un complotto è stato evocato, puntualmente quella palla di neve è diventata una valanga. I grandi partiti di una volta lo sapevano. E anche quando erano convinti che forze oscure e minacciose stessero tramando ai loro danni evitavano con cura di dare l’allarme. Sapendo che la loro forza si sarebbe infiacchita al solo evocare quelle trame misteriose che invece da qualche anno a questa parte popolano quasi quotidianamente le notti agitate dei loro successori.

Anche il crollo della prima repubblica fu raccontato come una congiura dei poteri forti dell’epoca. E non appena prese forma quella rappresentazione, la realtà le andò subito dietro. Ma fu la fragilità del sistema a farlo crollare, e non la potenza occulta dei suoi nemici. Quello che sto cercando di dire è che la politica è sempre scena e quasi mai retroscena. È la scena che illumina le sue ragioni. Mentre il retroscena nasconde a malapena la sua coda di paglia. E quando prende il sopravvento, è segno che il potere sta perdendo insieme la sua forza e le sue ragioni.

Così si vorrebbe consigliare, quasi amichevolmente, di non dar troppo corpo ai fantasmi di questa stagione. E di considerare come ogni volta che quei fantasmi sono stati troppo evocati, hanno finito poi per entrare in scena. Infatti, anche gli spettri, a furia di essere chiamati in causa, possano convincersi di esistere davvero.

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