Fonte: La stampa
Fine vita: stop in Veneto, ma Zaia ora è più forte
Il governatore ha sfidato la storia del partito e del suo leader scegliendo un approccio laico. Ha anche ricominciato a suonare il tamburo dell’orgoglio regionale contrapposto a Roma
La ribellione di Luca Zaia si accende dove meno ce lo aspettavamo: non sulle camarille del terzo o quarto mandato, non nella trattativa su candidature e compensazioni, ma nel pubblico dibattito su un tema altamente sensibile che la politica ha evitato di affrontare per anni: il fine vita e le scelte di chi, seppur lucido, è oppresso da sofferenze insopportabili, non ha speranze di guarigione e vuole farla finita, così come consente una sentenza della Corte Costituzionale del 2019.
Il Veneto avrebbe potuto essere la prima Regione italiana a regolamentare i tempi e le modalità di risposta alle richieste di suicidio assistito: Zaia ha portato la proposta di legge popolare in Consiglio contro il parere degli alleati, ha lasciato libertà di voto alla sua maggioranza, si è schierato apertamente per il sì alla norma e l’ha difesa prendendo la parola in assemblea.
Ha mancato l’obbiettivo per un solo voto, dopo un dibattito che ha lacerato il Centrodestra e spaccato la Lega, e tuttavia esce dalla giornata titolare di una prova di forza vincente: 25 voti favorevoli (per centrare il quorum ne servivano 26) e 22 contrari con FdI, FI e Lega «salviniana» messi praticamente in minoranza. Quasi un ribaltone, che sarebbe stato consumato fino in fondo se una consigliera del Pd di formazione cattolica non avesse scelto in extremis l’astensione.
Ma il Sì di Zaia alla regolamentazione del suicidio assistito sfida soprattutto la storia recente della Lega e del suo leader, i crocifissi e i rosari sventolati sul palco da Matteo Salvini, le relazioni del Capitano con Pro Vita, il recente battage propagandistico intorno al caso della piccola Indi Gregory, «condannata a morte da un tribunale inglese» secondo la versione del governo che gli concesse la cittadinanza italiana nel tentativo inutile di trasferirla al Bambin Gesù. Ed è un palese controcanto al modello reazionario che il capo leghista ha sposato corteggiando il generale Roberto Vannacci e proponendolo, di fatto, come ideologo di riferimento della prossima campagna elettorale se non addirittura come capolista in diverse circoscrizioni. Non sappiamo cosa ne pensi l’ufficiale delle regolamentazioni sulle scelte dei moribondi, ma a occhio diremmo che le inserirebbe tra gli esempi del mondo al contrario, insieme alle campionesse italiane di colore e alla normalizzazione dei gay.
È possibile che la scelta di Zaia risponda a un tentativo di recupero dell’imprinting originario dei venetisti, tutt’altro che confessionale ma piuttosto fondato sulla comunione mistica tra territorio, tradizione e popolo: un dato fondativo che non aveva paura di tenere insieme i riti paganeggianti del dio Po con la memoria cattolica del Veneto bianco e democristiano.
Ma c’è dell’altro, e di più. Il Governatore ha usato il voto per ricominciare a suonare il tamburo dell’orgoglio regionale in contrapposizione con Roma, intesa come epicentro di palude e ignavia, il luogo dove anziché rispondere alle istanze dei cittadini si lascia correre, si tronca, si sopisce.
La Roma «immorale» (testuale) che lascia gestire «un tema così profondo e importante a una sentenza della Corte Costituzionale». La Roma alla quale è lecito tenere testa anche attraversando la frontiera destra/sinistra e lavorando insieme a quelli dell’altra parte.
In questa Roma oggi comanda il Centrodestra di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, che proprio in questi giorni stanno lavorando d’ago per tenere insieme le istanze nazionaliste di un pezzo di centrodestra con le rivendicazioni autonomiste del Nord: un colpo al cerchio con il premierato e uno alla botte con l’avvio del dibattito sul disegno di legge di Roberto Calderoli. Tutti sanno che si tratta di contentini pre-elettorali, che la vera partita è quella sulla definizione dei nuovi equilibri della maggioranza in ordine a candidature, ruoli, persone.
L’atto di forza del Governatore parla ai leader nazionali nel linguaggio che conoscono meglio, quello dei rapporti di potere, e dice: posso trovarmi una maggioranza alternativa. Posso sfidarvi e portare i miei voti dove credo. Posso farlo persino su un tabù politico ed etico come il fine vita, figuriamoci sul resto. Non pensate di far passare le decisioni sul futuro di Zaia sopra la testa di Zaia: la partita la giocherò a modo mio.


