Foa-Segre: “Ma adesso la vera sfida è superare l’odio nato da un doppio massacro”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alberto Infelise
Fonte: La stampa

Foa-Segre: “Ma adesso la vera sfida è superare l’odio nato da un doppio massacro”

Man mano che le notizie sulla nascita della tregua cominciano ad arrivare i volti di Anna Foa, storica dell’età moderna, e Gabriele Segre, esperto di temi di identità e convivenza, si aprono al sorriso. È un sorriso di speranza, pieno di dolore e di apprensione.

Cosa vi aspettate che succeda ora in Israele?
ANNA FOA: «Mi aspetto che Netanyahu resti al governo, che i suoi ministri non diano le dimissioni e che il governo resti tale e quale. Mi domando se la contropartita offerta non sia forte cedimento sulle mire sulla Cisgiordania, il che aprirebbe a un’altra situazione bellica».

GABRIELE SEGRE: «Mi aspetto che non sia la fine di niente. Questo è uno dei grandi equivoci in Occidente. Bisogna ricordare che la tregua non è la pace. Ma almeno finalmente si ferma la brutalità. Il punto è che non c’è accordo riguardo i palestinesi e non c’è una visione del giorno dopo per Gaza. Ovviamente il cessate il fuoco e il rientro degli ostaggi sono benvenuti, ma bisogna restare a occhi aperti perché è ancora tutto da fare».

AF: «Sono d’accordo ma non si può non accogliere con gioia la tregua: ora la popolazione di Gaza potrà avere da bere, ritornare negli ospedali».

 

C’è un desiderio realistico a breve termine per le persone che vivono in Israele e a Gaza?

GS: «Per me un desiderio c’è, lo dico con la consapevolezza della fatica e della difficoltà: di fare i conti con se stessi, che entrambe le parti escano con l’impellente bisogno di fare i conti con se stesse. Se la società israeliana non fa i conti con quello che è (così come quella palestinese) le questioni irrisolte continueranno a esserlo e non sarà possibile ripartire».

AF: «Esclusi gli estremisti di Hamas da una parte e i coloni dall’altra, bisogna che le persone lottino per uscire dalla palude che le tiene bloccate, generata dalla paura. Bisogna combattere per il futuro, creare lo spazio per un progetto per i palestinesi, riconoscere se stessi e l’altro e iniziare un periodo in cui l’odio possa diminuire. Servirà una tregua molto lunga».

Questi quasi 500 giorni, tra 7 ottobre e guerra su Gaza, hanno cambiato le vostre convinzioni sulla situazione in Medio Oriente?

AF: «Per me un po’ è cambiato, fino a questo momento mi ero tenuta fuori dalla materia, naturalmente non è che non vedessi quello che succedeva negli anni Novanta. Ho fatto alcuni corsi all’Università ebraica e ricordo con grande affetto studenti palestinesi ed ebrei. Ora la prima cosa che faccio al mattino è leggere le notizie su Haaretz. Non avrei mai pensato di dovermi coinvolgere alla mia età, proiettata in campo politico, in una via stretta tra Hamas e Netanyahu».

GS: «Anche la mia è molto cambiata, ma la mia visione non è arrivata a una direzione univoca, c’è un bombardamento anche nel mio cervello, un costante essere in divenire. Quelle certezze che Israele mi aveva regalato, nonostante i gravi problemi che aveva affrontato, con una complessità che si basava su equilibri precari, sono crollate: gli equilibri sono deflagrati mostrando il re nudo e il peso degli estremismi da entrambi i lati. Questa cosa ha messo in dubbio tanti prerequisiti, verità anche morali sono crollate e ho vissuto questo periodo nella contraddizione del dolore. Le lacerazioni interne al progetto Israele si sono certamente accentuate. Nella mia difficoltà e disperazione mi sento di dire che non riesco a vedere una via d’uscita dal dolore. Questa mancanza di prospettiva continua a fare estremamente male».

Avete sentito aumentare l’antisemitismo nell’ultimo anno?

AF: «Da ebrea italiana l’ho sentito certamente rispetto al mondo ebraico. Tutto questo mi ha fatto sentire moto isolata, ma l’isolamento mi ha portata a intervenire a parlare, a dire le cose e mi sembrava avessero un senso anche rispetto alle speranze di apertura che avevo avuto prima del 7 ottobre. È importante quello che Jean Améry ha scritto in Il nuovo antisemitismo. Améry aveva sempre sottolineato l’importanza del rapporto con Israele. Bisogna parlare, intervenire e appoggiare gli israeliani che vogliono uscire dall’isolamento».

GS: «Il libro di Améry fondamentalmente racconta la storia di una persona che si è ritrovata ebrea suo malgrado, perché il mondo gliel’ha imposto. Questo obbliga Améry a fare i conti con la sua entità ebraica, così come noi oggi dobbiamo essere ebrei in maniera differente, anche nei rapporti con Israele».

 

I due motivi che hanno spinto Israele a siglare l’accordo con Hamas

Spesso nell’ultimo anno chi ha criticato le scelte di Netanyahu è stato accusato di antisemitismo. È ancora possibile criticare il governo senza subire questa accusa?

AF: «Non bisogna preoccuparsi di parlare, di essere fraintesi, accusati di antisemitismo o di essere ammoniti a non offrire appigli agli antisemiti. Io credo che si offrano occasioni agli antisemiti nascondendo le cose, non dicendo quello che pensiamo, non ammettendo quello che sta succedendo. Non bisogna aver paura di dire le cose che si pensano».

GS: «Io rispondo con Améry che dice: “Attenersi ai principi è un gioco a ragazzi”. Io vivo all’interno della contraddizione della realtà, sapendo che non ne uscirò vivo, con una idea definitiva. Sono fermamente convinto della necessità oggi dell’esistenza di Israele, ma sono convinto anche del diritto di esistere del popolo palestinese».

Come si può superare l’odio reciproco generato dal 7 ottobre e dal massacro di Gaza?

AS: «La memoria di questi due anni può essere così impattante da mettere in discussione persino la permanenza della memoria della Shoah e questo non deve succedere».

GS: «Sarà molto difficile, ma bisognerà fare i conti con la tragicità di questo momento storico, facendosi carico delle responsabilità, delle ragioni che ci hanno portato a comportarci così. La guerra ci mette di fronte alle nostre ipocrisie e a alle nostre mancanze. Noi dobbiamo creare buone ragioni per combattere l’odio, per non dargli nuovo alimento».

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