APPUNTI PER UN DIALOGO TRA TEOLOGIA E SCIENZA

per Filoteo Nicolini

APPUNTI PER UN DIALOGO TRA TEOLOGIA E SCIENZA

Non me la sento di biasimare lo scienziato quando dice che credere in Dio, avere fede, affidarsi a un essere sovrannaturale è per definizione al di fuori dell’indagine scientifica. Gli scienziati possono indagare la natura, nulla che non sia interno alla natura, dice il nostro. Pure, nello scienziato vi è un elemento spirituale attivo e autonomo e da esso muove, anche se non lo sa. Infatti, crede che le idee vengano formate da lui e di esserne lui l’artefice quando differenzia, analizza ed esclude dal suo ristretto campo di indagine. Lo scienziato è divenuto schiavo dei suoi pregiudizi e delle abitudini mentali. La scienza pensa di essere senza presupposti, ma essa poggia sulla tradizione della Chiesa cattolica, udite! udite! Nell’Ottavo Concilio del 869 D. C. si abolì lo spirito! Da allora in poi si doveva insegnare che l’essere umano è soltanto corpo e anima, e che l’anima ha soltanto alcuni attributi spirituali! La Chiesa cattolica, dunque, decretò il dogma dell’abolizione dello spirito; le aspirazioni umane si indirizzarono verso la corporeità e la scienza nascente in un certo senso si sentì autorizzata a dirigere le sue indagini alla sola materia. Completamente relegata a considerare il corpo e la materia, la scienza approdò al materialismo.

Eppure, quando l’Io è attivo e contempla la propria attività, ha nella coscienza, in modo immediato, un elemento spirituale. Che però viene immediatamente negato dallo scienziato, in uno escamotage sorprendente e tragico allo stesso tempo. Disconoscere l’impulso spirituale nell’interiorità è appunto il via libera a classificare il proprio essere nel mondo naturale, dove può solo trovarne i frammenti, il minerale. Sarebbe molto importante se lo scienziato comprendesse come le idee che si forma nell’osservare la natura esterna debbano arrestarsi di fronte all’osservazione di sé stesso!

C’è un’altra considerazione importante da fare. Insieme all’indagine sperimentale, si nota la tendenza ad affidarsi alla matematica ed arrivare ai risultati esprimibili in formule matematiche. Lo scienziato si sente su un terreno sicuro e familiare introducendo la matematica e le sue formule. Egli è di fronte al mondo e confrontando il mondo. Ma quando conosce qualcosa matematicamente, vive direttamente ed immediatamente negli oggetti della conoscenza matematica.

Ciò che lui chiama matematica non è mai una parte del mondo esterno che percepiamo con i sensi, è sempre qualcosa di costruito interiormente. È qualcosa che vive solo nella parte della sua vita dell’anima che non si occupa dei sensi in quanto tali. Il contenuto matematico è costruito internamente, e lo scienziato ne è felice, quando per esempio afferma che il vuoto è uno stato della materia che ribolle di possibilità.

Prendiamo per esempio i fenomeni luminosi così come si presentano ai nostri occhi. Quando guardiamo la farfalla con i suoi colori luccicanti, la vediamo svolazzare nell’aria, nell’aria inondata di luce, irradiata di luce. Il Sole ha il dono di diffondere la luce. Il Sole attraverso la sua luce può suscitare ciò che è ardente, scintillante. Se si vedono le cose con giustizia, nulla rimane dell’abbondanza e bellezza dei colori in ciò che è costruito come descrizione fisico-matematica della luce. Ogni cosa che i nostri sensi ci offrono durante una amena passeggiata su un prato e nei boschi è stata eliminata da quello che ci offre la scienza del liceo. Essa ha smarrito la realtà, ha smarrito l’enorme abbondanza della vita luminosa che esiste là fuori. Le formule che descrivono la luce sono solo un aspetto unilaterale, il fenomeno per essere precisi.

Eppure….così facendo lo scienziato ha compiuto un primo passo verso la conoscenza spirituale! Platone, infatti, vedeva nella scienza matematica il mezzo di allenamento alla vita spirituale, perché le immagini matematiche per così dire si librano tra il mondo materiale e il mondo spirituale.

Se lo scienziato è inconsapevolmente a un passo dal riconoscere lo spirituale in lui e nel mondo, il teologo ancora si dibatte in una teologia del sistema nervoso, pensata, storica. Lontana anni luce dalla Rivelazione che è stata all’inizio la conoscenza delle cose di Dio. Il teologo da tempo ammette di non poter fare a meno della cosmologia, ovvero di appoggiarsi su quello che la scienza ha da dire sulle origini dei mondi. E assevera che è arrivato il momento di recuperare quel legame spezzato tra scienza e fede, per comprendere il senso della vita. A detta della scienza, e con ragione, solo la teologia può occuparsi del mistero. La teologia ammette, almeno, che l’essere umano è creativo, forse volendo alludere alla sua evoluzione spirituale. E qui va detto che, quando l’essere umano sperimenta la conoscenza nel proprio divenire, porta il limite un poco più avanti proprio per aver dato quel primo passo. Soltanto il fatto di tendere alla conoscenza è una prova che noi non possiamo rimanere come siamo. Ma la religione progredirà cominciando a considerare in profondità il karma e la reincarnazione come due capisaldi.

E noi tutti sapremo che quello che sentiamo come qualcosa di strano nelle nostre vite è l’Io oriundo dalle vite precedenti. Non solo una incertezza teorica, ma una sensazione che può essere angosciosa, se non la comprendiamo a partire dalle vite ripetute. Abbiamo bisogno di riconoscere e concepire le nostre vite come l’estensione di vite vissute in precedenza. Che cosa agisce nella volontà? E’ una qualità proveniente da vite terrene precedenti. Le azioni di vite precedenti si trasformano in karma, le esperienze in capacità. E il veicolo della nuova manifestazione nel mondo fisico è la volontà. Mistero da svelare!

Da qui si potrà intravedere come un’anima si incarni e divenga uno scienziato e un’altra un teologo.

FILOTEO NICOLINI

Immagine: Raffaello, Platone e Aristotele

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