Quella che chiede la pace a Gaza è una piazza che dà speranza

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Anna Foa
Fonte: La Stampa

Quella che chiede la pace a Gaza è una piazza che dà speranza

Non si era vista da molto tempo in questa nostra Italia depressa e sfiduciata una manifestazione così grande. Gli organizzatori danno un numero elevatissimo di presenze, trecentomila, ma anche facendo l’usuale tara a questo genere di valutazione i numeri restano altissimi.

Piazza San Giovanni, a Roma, il luogo caro alle manifestazioni della sinistra da tanti decenni ma ormai caduta un po’ in disuso, piena oggi di una folla partecipe e vivace. Tante bandiere palestinesi, nessuna, neanche per una imprevista provocazione, di Hamas. Ne ho vista una palestinese intrecciata con una israeliana e mi ha emozionata perché voleva dire riconoscere che esiste un’altra Israele che è diversa dal suo governo e la cui bandiera può ben stringersi in un nodo con quella della Palestina.

 

Manifestazione pacifica, tranquilla, nessuna parola d’ordine antisemita. Almeno a quanto io ho potuto vedere a distanza, attaccata alla diretta streaming. E proprio la paura di parole d’ordine di giustificazione del 7 ottobre, di appelli a distruggere Israele “dal fiume al mare”, aveva spinto Renzi e Calenda ad organizzare un’altra manifestazione a Milano il 6 giugno. Ma nulla di quanto si era temuto si è verificato a Roma. Vi hanno partecipato molti esponenti dell’ala riformista del Pd, i socialisti, Giorgio La Malfa, Bertinotti, e anche numerosi ebrei, a cominciare dai giovani del LEA, il Laboratorio Ebraico Antirazzista. Ed io stessa e Gad Lerner, che ha riaffermato il suo essere sionista, senza che nessuno nella piazza minimamente smettesse di applaudirlo. Una piazza partecipe quindi ma democratica, che ti dava la sensazione di aprirsi a capire, non solo di sventolare definizioni come bandiere al vento.

 

Fra le definizioni che potremmo definire “divisive”, quella di genocidio. Quella è stata sì molto presente, e forse è stata proprio quella, più che la paura dell’antisemitismo (ma forse per loro le due parole avevano lo stesso significato) a trattenere gli organizzatori della manifestazione di Milano da una manifestazione unitaria. Alcuni a Roma l’hanno con forza ribadita, altri hanno, come Rosy Bindi, intervistata nel corteo, proposto che se proprio non la si voleva usare si trovassero altri termini per definire questo massacro. Rula Jebreal ha detto che riconoscere il genocidio è l’unico modo per fermarlo. Non so, forse nemmeno questo basterebbe. Personalmente, sono propensa ad accettare questa definizione, ma credo che dovrebbe essere il Tribunale dell’Aja a farlo.

E fra le voci ebraiche, la voce emozionante di un giovane israeliano che ha rifiutato per motivi etici di servire a Gaza ed ha subito dure conseguenze per questo. Non è il solo, ce ne sono molti, sono fra i più esposti fra gli oppositori del governo in Israele, ma anche quelli che più possono diventare una forza capace di trainare le proteste della società israeliana. Bisogna appoggiarli. L’Europa occidentale non lo ha fatto, negli anni Settanta ed Ottanta, nei confronti dei dissidenti dell’Urss; lasciandoli praticamente soli. Non ripetiamo lo stesso errore.

 

Confesso di aver avuto non poche esitazioni ad aderire alla manifestazione. Temevo il rischio che la solidarietà con Gaza divenisse uno strumento della politica italiana, delle polemiche fra partiti. Mi sembra che questo rischio sia stato evitato: poche le polemiche all’interno della sinistra e soprattutto, da parte di tutti i leader dei partiti, la volontà di supportare in tutti i modi possibili non solo il popolo palestinese ma anche la resistenza israeliana al governo. E soprattutto il forte appello al governo italiano a riconoscere la Palestina. Un tema certo non ininfluente nel dibattito politico interno, ma che comunque guarda a Gaza, non a Palazzo Chigi, e all’urgenza di intervenire e ai modi per farlo.
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