Fonte: La Stampa
Pier Silvio Berlusconi, Forza Italia e quella voglia di entrare in politica
La frase che conta è il riferimento anagrafico. «Io ho 56 anni, mio padre è entrato in politica a 58», dice Pier Silvio Berlusconi, e dunque: due anni di tempo per un possibile bis, perfetta coincidenza con la scadenza della legislatura e le prossime elezioni politiche. Un’altra discesa in campo, un altro “Berlusconi” stampato in grande sulle schede elettorali, un’altra riscossa moderata trent’anni dopo quella del Cavaliere sulle macerie della vecchia Dc. E andando avanti con i paragoni il discorso si fa fastidioso per molti, perché nel ruolo degli usurati potenti dello Scudo Crociato dell’epoca – i Martinazzoli, i Mastella, i Bianco – è evidente che stavolta c’è la classe dirigente forzista. Si cercano assonanze.
A tre anni dalla morte del fondatore di Forza Italia la famiglia, in tutta evidenza, non è contenta della piega che hanno preso le cose. Lo stesso elogio di Piersilvio Berlusconi a Giorgia Meloni, mai così esplicito – «donna, giovane, venuta dal nulla, ha messo su il migliore governo d’Europa» – suona come indicazione di un modello alternativo alla FI di Antonio Tajani che donne ne conta poche, giovani figuriamoci, outsider zero, rilevanza europea assai scarna. Quel mondo doveva essere il traghettatore e il garante della destra rispetto al Ppe, ma già da un pezzo è stato relegato al ruolo di comprimario. Con Ursula von der Leyen, con Friedrich Merz, con ogni leader del popolarismo continentale Meloni ha saltato ogni intermediario. Fa da sé. Il ruolo stesso del ministro degli Esteri è svuotato, per non parlare degli altri due ministeri di peso conquistati dai forzisti: Maria Elisabetta Casellati abbandonata nel labirinto del premierato, Gilberto Pichetto Fratin scavalcato persino sull’Accordo globale sulle pandemie, dove in omaggio ai no-vax leghisti l’Italia si è astenuta insieme a Iran e Russia.


