Trump impone dazi del 30% all’Europa: affondata la “diplomazia del ponte” di Giorgia Meloni

per Gian Franco Ferraris

Trump impone dazi del 30% all’Europa: affondata la “diplomazia del ponte” di Giorgia Meloni

Estratto dell’articolo di Lorenzo De Cicco per “la Repubblica”

GIORGIA MELONI AL TAVOLO CON TRUMP ALLA CENA DEL VERTICE NATO DELL’AJA

Raccontano diversi ministri presenti alla Nuvola tre giorni fa, per la conferenza sull’Ucraina, che Giorgia Meloni lontano da telecamere e taccuini fosse di umore pessimo. Subito dopo uno scambio con Ursula von der Leyen. A tema dazi.

La premier italiana dunque sapeva in anticipo, confermano fonti di Palazzo Chigi, che la lettera preparata da Donald Trump sarebbe stata pesante. Una potenziale legnata per l’economia italiana e del continente.

Nel giorno in cui la missiva viene recapitata formalmente a Bruxelles, Meloni però sposa toni prudenti, in pubblico. In privato si sente di nuovo con von der Leyen, come con altri leader europei, dal francese Emmanuel Macron al tedesco Friedrich Merz. E con i collaboratori sostiene che la mossa dell’americano sia solo «un rilancio per mettere paura agli europei».

Nel primo pomeriggio, Meloni fa diffondere una nota in cui la parola “lettera” non viene mai menzionata. Si parla genericamente dello «sviluppo dei negoziati». L’Italia, mette a verbale Meloni, «sostiene pienamente» gli sforzi della Commissione Ue e «confida nella buona volontà di tutti gli attori in campo per arrivare a un accordo equo, che possa rafforzare l’Occidente nel suo complesso».

 

Perché «non avrebbe alcun senso innescare uno scontro commerciale tra le due sponde dell’Atlantico». In coda trapela una punta di fastidio per chi fomenterebbe «polarizzazioni che renderebbero più complesso il raggiungimento di un’intesa».

[…]

Secondo alcune fonti, già in una telefonata con Trump la settimana scorsa la premier avrebbe parlato del 10% come una soglia «assorbibile» dal nostro mondo produttivo. Del resto, ragiona Meloni, «con una guerra commerciale si fanno male tutti, noi come gli Usa». Dunque ora «calma e continuare a trattare, il negoziato vero inizia adesso».

 

Dalla cerchia della premier filtra irritazione per chi esaspererebbe i toni. Discorso che investe le opposizioni, ma anche gli allarmi di tante sigle del mondo produttivo, naturalmente molto preoccupate dalla piega che sta prendendo la vicenda.

Ma non solo. Il governo italiano non condivide la postura della Francia, che informalmente viene definita «muscolare» da diverse fonti dell’esecutivo. Meloni, come il ministro degli Esteri Antonio Tajani, non aderisce all’idea di innescare subito contro-dazi europei. E sembra in linea con la Germania, che ieri chiedeva un «negoziato pragmatico».

Al di là del sostegno pubblico a von der Leyen, più fonti governative raccontano che Meloni non abbia gradito il modo con cui la presidente della Commissione ha gestito finora la trattativa. In modo «poco politico».

 

E senza fare agli Usa alcune concessioni che si sarebbero potute accordare (e si potrebbero ancora), soprattutto in tema di sburocratizzazione di licenze e procedure. In una giornata funesta, la speranza della premier è che la trattativa si possa ancora rammendare. Che i 18 giorni che mancano alla deadline del primo agosto lascino ancora un margine d’intesa.

Anche perché nella partita possono giocare un ruolo gli investimenti militari, visto che Trump vorrebbe che i paesi europei acquistassero armi americane da spedire poi all’Ucraina. Tajani volerà a Washington martedì, per vedere il segretario di Stato Usa, Marco Rubio.

 

La premier sa che un fiasco delle trattative avrebbe ricadute in termini di consenso. Il mondo imprenditoriale è già estremamente inquieto. E sia la Lega che FI sembrano smarcarsi. Gli azzurri criticano i dazi, «un danno alla libertà dei commerci», e chiedono all’Europa «di reagire». Mentre la Lega dà la colpa a Bruxelles, all’Ue «a trazione tedesca» che danneggerebbe «imprese e famiglie europee ben prima dei possibili dazi di Trump, che non ha motivi per prendersela col nostro Paese».

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