Fonte: La Stampa
Il principale successo di Meloni? Alleati confinati nell’irrilevanza
di Flavia Perina – Essere arrivati a mille giorni è già di per sé un successo che pochi premier italiani possono vantare. Arrivarci senza una crisi, un rimpasto, un voto di fiducia a rischio, è un inedito quasi assoluto e pure il paragone con i precedenti di Bettino Craxi, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi regge poco perché è assai probabile che Giorgia Meloni li superi tutti e arrivi con facilità all’en plein della legislatura e oltre. Aver confinato i suoi alleati a ruoli assai poco rilevanti è il suo principale successo. Matteo Salvini (che ieri un sondaggio presentava come il ministro più impopolare del governo) è ormai un controcantista usurato, strilla molto ma resta inchiodato a percentuali a una cifra e ha perso il monopolio dei consensi al Nord. Antonio Tajani è una spalla appagata dalla sopravvivenza di Forza Italia alla scomparsa del fondatore, capo, padrone assoluto: non era scontato, tutto il resto è manna dal cielo. In Italia le maggioranze sono sempre cadute per le impuntature o le ambizioni dei soci di minoranza: averne due nella categoria “il meglio è dietro le spalle” è per Meloni una assicurazione sulla vita molto solida. Anche per questo la premier non si è mai disturbata a rimbeccare gli alleati. I titoli “Gelo Meloni-Salvini, Gelo tra Meloni-Tajani, Gelo Tajani-Salvini” sono un classico dei mille giorni, e tuttavia: mai una parola da lei. Aquila non captat muscas. Tradotto: lasciateli cantare, tanto nessuno avrà il coraggio dei passi definitivi che rompono le coalizioni e condannano i governi. L’altro atout è arrivato dalla Storia, quella con la maiuscola, che ha incrociato questa prima esperienza della destra-destra di governo con eventi mondiali enormi e crisi internazionali di prima grandezza.
È il contesto che fa sentire Meloni ogni giorno “sul paracadute”, un lancio spericolato dopo l’altro, ma anche quello che le ha consentito di spostare verso Bruxelles, Washington, Berlino e persino Parigi i riflettori della visibilità lasciando in ombra il resto, e cioè una routine nazionale senza grandi exploit. Per di più, la guerra e i dazi hanno aiutato a mettere in sicurezza da un rischio: i misteriosi complotti dei poteri forti a cui la destra ha sempre attribuito ogni disgrazia. Anche volendo, nessuno può permettersi di mettere in difficoltà l’Italia. Cosa deve temere, allora, Meloni? Assai poco, al momento. Forse solo quel tipo di capriccio tipico dell’elettorato italiano che a un certo punto si stufa, ne ha abbastanza, vuole provare qualcosa di nuovo, e dalle stelle alle stalle è un attimo. E in second’ordine i pasticci di quelli che le preparano il paracadute, che non a caso ha citato nella sua metafora aeronautica. Poi, certo, c’è l’incognita Donald Trump. Dazi punitivi, tra due settimane, diventerebbero un problema politico difficile da fronteggiare per chi si è proposta come garante del Made in Italy, pontiere con la Casa Bianca, madrina del Make Occidente Great Again.


