POTEVA ACCADERE. È ACCADUTO
Oggi passeggio per Porta Alba a Napoli, tra mercatini di libri usati e librerie storiche. Mi aggiro come tante altre volte, e il dito scorre veloce sui titoli, mentre valuto, ricordo, associo. A volte si trova qualcosa di interessante. Ma mi soffermo soprattutto su libri nuovi, avvolti ancora nel cellofane di origine e scontati. Dunque, non posso sfogliarli, ma i nomi di autrici e autori mi attirano particolarmente, fino al punto di acquistarne quattro. A casa, comincio a leggere un po’ qua e un po’ là, per assaporare l’acquisto e decidere con quale continuare. Sono libri dissimili. C’è una raccolta di saggi brevi di Ceronetti, poesie della Szymborska, racconti brevi di Leonor Carrington, e L’elogio della Pazzia di Erasmo. Sono contento dell’acquisto; qualcosa mi ha condotto proprio là questo pomeriggio. E ritrovo quella certezza tante volte provata: quando il centro della sfera del mio destino nei prossimi cinque minuti e’ in un dato luogo, questo luogo attira tutti i miei sensi. Sono stato attirato verso quel banco, non è vero che ho incontrato i libri a caso. Le percezioni non avvengono mai a caso, ma si orientano, sono canalizzate, calamitate dalle forze dell’ Io. Il mio Io era lì dove il destino mi chiamava, e attirava realmente tutta l’attenzione dei sensi. Poteva accadere, era nelle possibilità, ho resistito richiami di sirene travestite da aromi di caffè e sfogliatelle, ed è accaduto.
Allora, che cosa mi sta dicendo quella quaterna di libri, hanno forse qualcosa in comune, un quid che io possa considerare? E mi pare che ci sia un filo conduttore, ed è il soffio di creatività che ha nutrito e alimentato le anime di quelle personalità singolari. La creatività, peraltro, è un potenziale comune a tutti noi e la realizzazione di questo potenziale una delle nostre necessità. I processi creativi, infatti, non si restringono all’arte come area privilegiata, ma vanno intesi in un agire integrato alla vita. Nei casi che commento brevemente, questa integrazione è arrivata a un grado estremo.
Si chiedeva André Breton chi meglio di Leonora Carrington possedesse due doni inestimabili come l’illuminismo della lucida follia e la sublime potenza della concezione solitaria. Carrington ha vissuto sempre in una dimensione onirica, soggettiva, quella dei sogni e gli incubi, dove ha dato forma alle sue ossessioni, alle sue fantasie, paure e desideri. Un mondo a parte riflesso nelle pitture di un mondo brulicante di forme, simbiosi e mescolanza tra mondo umano e animale. Octavio Paz vedeva Carrington come “una poesia che cammina, che a un tratto sorride e si trasforma in un uccello e poi in un pesce, e scompare”. Lei invece scriveva di sé stessa: “Se fossi i miei pensieri, significa che potrei essere qualsiasi cosa, dalla zuppa di pasta, un coccodrillo, un cadavere, un leopardo, o mezzo litro di birra. Se fossi i miei sentimenti, allora sarei amore, odio, irritazione, noia, felicità, orgoglio, umiltà, dolore, piacere. Se fossi il mio corpo, allora sarei il feto di una donna che cambia in ogni momento. Tuttavia, io, come il mondo intero, desidero un’identità individuale”.
Le creature predilette della Carrington, dipinte nei suoi quadri, diventano qui nel libro protagoniste di brevi racconti e di ritratti di famiglia, in cui chi legge prova lo stupore addizionale di dialoghi allucinanti e lucidi, come se fossero illustrazioni di quadri inquietanti, ma ora nella dimensione temporale e non più bi dimensionale. Fino a un finale brusco che lascia perplessi.
Guido Ceronetti è chi con gli occhi spalancati e stravolti guarda il mondo da tutti i lati possibili. Mi ricorda che l’essere umano è non solo “homo faber” ma anche essere formatore, capace di stabilire relazioni tra gli eventi culturali, configurarli nella sua esperienza e dare loro nuovi significati e nuove forme, anche stravolgendo letture altrui che hanno fatto il loro tempo. Ci insegna che la sua lingua di saggista è soprattutto una libera creazione culturale, frutto dello scavo sistematico e del pensiero profondo. Questa sua lingua è capace delle più vertiginose fulminee sintesi che lasciano a bocca aperta. Prendere o lasciare. Stretto tra l’Apocalisse e l’Epifania, non c’è luogo che Ceronetti non esplori lasciandolo poi sottosopra.
La poeta Szymborska ripete continuamente a sé stessa “non so”. Cerca di dare una risposta alla vita e i suoi misteri, ma già l’assale il dubbio e comincia a rendersi conto che si tratta di una risposta provvisoria e del tutto insufficiente. Prova perciò ancora una volta e un’altra ancora, e racchiude a volte con un gran fermaglio le prove della sua insoddisfazione. Il parlare della Szymborska, in cui ogni parola ha un peso, non ha più nulla di ordinario e normale. Nessuna pietra, e nessuna nuvola sopra di essa. Nessun giorno e nessuna notte che lo segua. E nessuna esistenza di nessun essere in questo mondo. Il mondo ovvio e comune non esiste affatto. La semplicità e leggerezza delle sue poesie è ingannevole, nasconde ironia e costante interrogazione, suscita dubbi e fa scaturire inattese implicazioni.
L’Elogio della Follia di Erasmo, infine. A parte l’individualità irripetibile di ciascun artista a cui ho accennato e la diversità dello strumento proprio, c’è un filo coerente che unisce i loro sforzi per decifrare la realtà. Secondo Erasmo, la Follia non dice solo la verità su sé stessa mentre si presenta e tesse il proprio elogio, ma dice la verità e le pecche anche della ragione.
“Sono due i principali ostacoli alla conoscenza delle cose: la vergogna che offusca l’animo, e la paura che, alla vista del pericolo, distoglie dalle imprese. La follia libera da entrambe. Non vergognarsi mai e osare tutto: pochissimi sanno quale messi di vantaggi ne derivi.”
FILOTEO NICOLINI


