FIALE ANIMATE. LA SCOPERTA DELL’ELETTRICITA’
Mary Shelley, nata nel 1797, scrisse all’età di 18 anni Frankestein, Il moderno Prometeo, considerato il primo romanzo gotico di fantascienza. Nella sua compagnia di amici letterati erano noti sia il galvanismo sia gli esperimenti condotti da Erasmus Darwin, nonno del celebre Charles, il quale aveva affermato di esser riuscito a rianimare la materia morta. È sul galvanismo che vorrei soffermarmi per comprendere meglio il clima culturale che animava alla fine del secolo XVIII i circoli letterari.
Per riconoscere che in questo ambito la scienza moderna deve i suoi trionfi a una strana e spesso paradossale miscela di casualità esterna ed errori del pensiero umano, basta ripercorrere la storia dell’elettricità. La scoperta dell’elettricità si è compiuta in fasi chiaramente distinte. La prima si estende dal momento in cui si conobbero per la prima volta i fenomeni elettrici fino al secolo XVII e gran parte del XVIII secolo; la seconda inizia con la scoperta di Galvani, e di lì in un crescendo che ci porta ai giorni nostri. Fino all’inizio dell’era moderna, non si sapeva nulla di più sull’elettricità, o sulla sua forza sorella, il magnetismo, di quanto troviamo negli scritti di Plinio. Lì, senza riconoscere una distinzione qualitativa tra loro, si fa riferimento alla capacità dell’ambra strofinata (ἤλεκτρον, electron) e di alcuni pezzi di ferro di attrarre altre piccole particelle di materia. Fu necessario il risveglio di quell’interesse predominante per la natura materiale, caratteristico della nostra epoca, perché la differenza essenziale tra attrazione elettrica e magnetica fosse poi riconosciuta. Il primo a fornirne una descrizione appropriata fu Gilbert. Fu, tuttavia, solo all’inizio del XVIII secolo che la serie di scoperte elettriche cominciò ad aumentare considerevolmente: tra queste, il riconoscimento della duplice polarità dell’elettricità e l’invenzione fortuita della bottiglia di Leida, ovvero del primo condensatore. La bottiglia di Leida rese possibili effetti elettrici di intensità del tutto inaspettata. Stimolati da ciò che si poteva fare con l’elettricità in questa forma, sempre più persone si dedicarono alla sperimentazione di una forza della natura così affascinante, finché nel secondo terzo del secolo un intero esercito di osservatori era al lavoro, sia per professione che per hobby, scoprendo sempre nuove manifestazioni dei suoi poteri. Lo stato d’animo prevalente, a quei tempi, tra gli uomini impegnati nella ricerca elettrica è ben riflesso in una lettera scritta dall’inglese Walsh, dopo aver stabilito la natura elettrica delle scosse elettriche prodotte da alcuni pesci, a Benjamin Franklin, che poco prima aveva scoperto la presenza naturale dell’elettricità nell’atmosfera:
“Mi rallegro di indirizzarle queste comunicazioni. Colui che ha predetto e dimostrato che l’elettricità scaglia il formidabile fulmine dell’Atmosfera, ascolterà con attenzione che nelle profondità essa lancia un fulmine più umile, silenzioso e invisibile. Colui che ha analizzato la Fiala elettrica di Leida, ascolterà con piacere che le sue leggi prevalgono nelle Fiale animate”. Qui l’allusione è all’essere umano, dotato fin dalla nascita di un apparato meraviglioso basato sull’elettricità e dell’abilità di usarlo per scoprirne le leggi!
Osiamo credere che nell’elettricità sia stata scoperta l’anima della natura? Questa era la domanda che a quel tempo agitava i cuori di moltissimi in Europa. I medici avevano già cercato di risvegliare nuova vitalità nei loro pazienti mediante l’uso di forti scosse elettriche; si erano persino tentati di riportare in vita i morti con tali mezzi. In un’epoca come l’attuale, in cui ci preoccupiamo principalmente dell’applicazione pratica delle scoperte scientifiche, siamo per lo più abituati a considerare tali voli di pensiero di un’epoca passata come nient’altro che l’inutile accompagnamento di una scienza giovane e immatura, e a sorriderne di conseguenza come curiosità storiche. Questo è un errore, perché allora trascuriamo come in essi si nascondesse un barlume di verità e ignoriamo il ruolo che tali speranze e aspettative apparentemente fantastiche hanno avuto in relazione all’ingresso dell’elettricità nella civiltà umana.
Se rimaneva ancora qualche dubbio sul fatto che in natura fosse all’opera la stessa potenza che, negli animali e nell’essere umano, era nascosta nell’anima, questo dubbio sembrò finalmente dissipato dalla scoperta di Galvani che gli arti degli animali potevano essere mossi elettricamente attraverso il contatto con due pezzi di metalli diversi. Non c’è da stupirsi che si scatenò nel mondo dei fisici, dei fisiologi e dei medici attraverso la pubblicazione di Galvani un interesse frenetico. Ovunque si trovassero rane e due pezzi di metalli diversi disponibili, ognuno cercava la prova con i propri occhi che gli arti recisi potessero essere meravigliosamente rianimati.
Come molti suoi contemporanei, Galvani fu attratto dall’affascinante comportamento della nuova forza della natura e condusse esperimenti elettrici come hobby, parallelamente al suo lavoro professionale, la ricerca anatomica. Per i suoi esperimenti utilizzava la stanza in cui erano esposti i suoi preparati anatomici. Così accadde che alcune zampe di rana, preparate per la dissezione si trovassero vicino alla sua macchina elettrica. Per un’ulteriore coincidenza, il suo assistente, mentre giocava con la macchina, scatenò alcune scintille proprio quando alcuni degli esemplari erano a tale contatto con la superficie sottostante da reagire all’improvvisa alterazione del campo elettrico attorno alla macchina causata dalla sua scarica. A ogni scintilla, le zampe di rana si contraevano. Ciò che Galvani vide con i suoi occhi sembrò essere nientemeno che l’unione di due fenomeni, quello osservato da Franklin nelle altezze dell’atmosfera, l’altro da Walsh nelle profondità del mare.
Galvani volle verificare se i cambiamenti che si verificavano naturalmente nelle condizioni elettriche dell’atmosfera avrebbero provocato la stessa reazione nei suoi esemplari. Come lui stesso riferì: “Tutto avvenne come previsto. Ogni volta che il fulmine lampeggiava, tutti i muscoli simultaneamente si contraevano ripetutamente e violentemente, cosicché i movimenti dei muscoli, come il lampo, precedevano sempre il tuono, e quindi, per così dire, ne annunciavano l’arrivo”. Possiamo farci un’idea di cosa accadesse nella mente di Galvani durante questi esperimenti se immaginiamo vividamente gli arti degli animali che si contraevano ogni volta che il fulmine lampeggiava, come se una forza di volontà rivitalizzante si fosse improvvisamente impossessata di loro.
Nel corso delle sue indagini Galvani rimase stupito nell’osservare che alcuni dei suoi campioni, che aveva appeso a una ringhiera di ferro per mezzo di ganci di ottone, a volte si contraevano anche quando il cielo era completamente sereno e non c’era segno di tuono. La sua naturale conclusione fu che ciò dovesse essere dovuto a variazioni elettriche nell’atmosfera fino ad allora inosservate. Le osservazioni, continuate per ore ogni giorno, tuttavia, non portarono a risultati conclusivi. Poi accadde un giorno che Galvani, “stanco di un’osservazione infruttuosa”, afferrò uno dei ganci di ottone a cui erano appesi i campioni e lo premette più forte del solito contro la ringhiera di ferro. Immediatamente si verificò una contrazione. “Ero quasi sul punto di attribuire l’accaduto all’elettricità atmosferica”, ci racconta Galvani. Tuttavia, portò uno degli esemplari, una rana, nel suo laboratorio e lì lo sottopose a condizioni simili, ponendolo su una piastra di ferro e premendo contro di essa con l’uncino infilato nel midollo spinale. Immediatamente la contrazione si ripresentò. Provò con altri metalli e, a scopo di controllo, anche con non metalli. Con una certa ingegnosità, ideò un dispositivo, simile a quello di un campanello elettrico, in cui gli arti, contraendosi, interrompevano il contatto e, rilassandosi, lo ripristinavano, riuscendo così a mantenere la rana in un movimento ritmico continuo!
Volta si rese conto che la fonte della forza elettrica, come nella prima osservazione di Galvani, doveva ancora essere ricercata al di fuori dei campioni, e lui stesso la attribuì giustamente ai metalli a contatto. Guidato da questa ipotesi, Volta avviò una ricerca sistematica sulle proprietà galvaniche dei metalli e riuscì ben presto a produrre elettricità ancora una volta da sostanze puramente minerali, ovvero da due metalli diversi a contatto con un liquido conduttore.
In una conclusione provvisoria, nell’ambiente culturale europeo a conoscenza di questi affascinanti esperimenti in Europa era ammissibile la possibilità fantastica di ricomporre e ridare vita alle parti di un essere vivente. L’immaginazione volava per le ispirazioni della filosofia naturale.
Riguardo le “coincidenze” a cui mi sono riferito nelle scoperte, c’è da ricordare che non è vero che vediamo le cose a caso o tocchiamo le cose a casaccio. Le percezioni non avvengono mai a caso, ma si orientano, sono canalizzate, calamitate dalle forze dell’ Io. L’Io e’ sempre là dove il destino lo chiama, e attira realmente tutta l’attenzione dei sensi. Nessun essere umano getta mai uno sguardo a caso: il caso è un’ invenzione di chi non sa come stanno le cose, nel mondo reale il caso non esiste. E allora….quelle scoperte “casuali” erano poste sul cammino che conduce alla scienza moderna da agenti spirituali. Qualcosa è entrata nell’evoluzione materiale dell’Umanità da poco più di due secoli e ne è divenuta fondamento. Eppure, quando parliamo di elettricità noi entriamo in una sfera che presenta un aspetto alieno rispetto ad altre sfere della Natura. E’ il buio dell’elettricità.
Qualcosa di sconosciuto sta facendo qualcosa che sfugge alla nostra coscienza da svegli, in polare opposizione alla chiarezza dell’esperienza della luce e del suono e dei sensi in generale. Appare come la crescente materializzazione di un vasto progetto dal crescendo sorprendente e segnato dalla profusione di una intelligenza fredda, calcolatrice, abile.
FILOTEO NICOLINI
Immagine: LUIGI GALVANI


