Lucio Caracciolo: “Così possiamo salvarci dall’eurosuicidio”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Lucio Caracciolo
Fonte: Il Fatto Quotidiano

Lucio Caracciolo: “Così possiamo salvarci dall’eurosuicidio”

Colpisce le nostre legature sociali, istituzionali e geopolitiche. Attribuire solo alla moneta unica la tendenza al bellicismo e il declino di economia e Ue è ingeneroso. Ma è irreversibile?

Tra i ricordi più vivi degli incontri con amici tedeschi spesso mi sovviene il dialogo con un gentile quanto autorevole negoziatore del Trattato di Maastricht, che chiameremo Wolfgang. Il quale senza rancore mi aprì il suo cuore deluso per il fatto che dopo tanti anni di cura dell’euro noi italiani non fossimo diventati come loro.

Meglio – diremmo con il senno di poi –, come loro amavano credersi prima di essere travolti dalla Zeitenwende, la “svolta epocale” conseguente alla guerra in Ucraina: disciplinati, affidabili, fiscalmente austeri. Europeisti modello. Mie contro-domande: come avete potuto illudervi che grazie all’euro noi diventassimo come voi? Forse avete letto troppo Faust, al punto di attribuire al denaro poteri alchemici, transustanziali? Perché avete preso il rischio di ammetterci subito nell’euro, malgrado i nostri parametri fossero sballati rispetto ai criteri da voi a parole dichiarati intoccabili, per tacere degli stereotipi sul nostro languido mediterraneismo? Replica secca: “Wir wollten euch nordifizieren!”. “Volevamo nordificarvi!”. Sottotesto: ci siamo sacrificati per il vostro bene. Ringraziato Wolfgang per la chiarezza, osservai che se avesse letto Il Gattopardo avrebbe risparmiato tempo, denaro e pene d’amore per la terra dove fioriscono i limoni. Specie quando Tomasi di Lampedusa narra del dialogo tra don Fabrizio principe di Salina, alias “Gattopardo”, e il piemontese cavalier Aimone Chevalley di Monterzuolo, in missione per con- X eurosuicidio vincere l’aristocratico siciliano ad accettare uno scranno al Senato del Regno. Contributo a “migliorare” i siciliani. Don Fabrizio: “Lei è un gentiluomo, Chevalley, e stimo una fortuna averlo conosciuto. Lei ha ragione in tutto; si è sbagliato solo quando ha detto: ‘i Siciliani vorranno migliorare’”. Racconta il principe di aver ricevuto alcuni ufficiali della Marina inglese curiosi di sapere che cosa venissero a fare lì i garibaldini. Don Fabrizio: “They are coming to teach us good manners, but won’t succeed, because we are gods”. I marinai risero senza capire e se ne andarono. Morale del principe, alias Lampedusa: “I Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti”. “Bastava leggere ‘italiani’ (i minuscola, per nostrano understatement) al posto di ‘Siciliani’ e vi sareste evitati tanta disillusione”, notai. (…) L’assai documentata analisi di Guzzi contribuisce a scalfire il tabù che da più di trent’anni blocca il dibattito sull’Unione europea e ne alimenta le leggende nere. Blocco comprensibile a posteriori, almeno per noi italiani, visto che per qualche misteriosa cabala l’avvento dell’euro ha coinciso con l’inizio della nostra persistente stagnazione economica, che non accenna a finire. (…) Sugli aspetti economici e monetari del progetto euro e sulle critiche che qui gli vengono mosse si confronteranno economisti e decisori politici. Così come sulle ipotesi di superamento dell’euro, per nostra e/o altrui iniziativa, che Guzzi tratteggia nel finale, sulla scorta di quel che si può immaginare sia il piano di emergenza che anche il nostro Paese ha certamente pronto per fronteggiare una crisi così grave. (Della sua attuabilità da parte delle nostre istituzioni l’autore rettamente dubita). Si può volere o temere l’uscita dall’euro – più probabilmente l’uscita dell’euro da noi –, ma non studiarne le conseguenze sarebbe imperdonabile. Vorrei però qui raccogliere la sfida principale di questo libro, che mi ha riportato alla mente Wolfgang. Guzzi descrive l’idea del vincolo esterno, coltivata dalle nostre classi dirigenti di fine Novecento come necessità esistenziale, fondata sulla fiducia in un “modello nordico ritenuto ontologicamente migliore”. E sulla sfiducia in noi stessi. Constatiamo che (…) i tedeschi si sono svelati simili all’immagine che loro hanno di noi. (…)

Concentriamoci su senso ed effetti geopolitici di Maastricht. In sintesi estrema. Prima il senso originario. (…) Il Trattato di Maastricht varato nel 1992 è figlio del suo tempo. Della fine della Guerra fredda, la pace possibile dopo il 1945. Quindi dell’alba di una nuova fase di guerre europee: allora quelle di successione post-jugoslava, oggi quella post-sovietica e non molto indirettamente russo-americana segnata il 24 febbraio 2022 dall’invasione dell’Ucraina scatenata da Putin. Per capire l’euro occorre partire dall’imprevista “riunificazione” della Germania. Ovvero dall’annessione della DDR da parte della Bundesrepublik. Maastricht è figlio di quell’evento. Ora si tende a dimenticarlo, ma all’epoca fu il festival della germanofobia, quasi sempre segreta o almeno trattenuta, ma profonda. (…) Il precipitato geopolitico di quella congiuntura fu l’accelerazione dei progetti di unificazione monetaria europea per impedire alla Germania allargata di disporre della propria moneta nazionale e della propria Banca centrale quali divisa e Banca centrale europea di fatto. L’euro è stato prima di tutto cessione del marco. Operazione prima contrastata dalla Bundesbank e da buona parte della politica tedesca, oltre che dalla maggioranza della popolazione che nel marco avvertiva non solo la moneta del miracolo economico, ma un surrogato dell’identità nazionale macchiata dal nazismo. Alla fine Kohl decise di rischiare la svolta, a condizione di dettarne le regole. L’euro nato su spinta franco-italiana quale riparazione per l’abusiva ricomparsa di una “Grande Germania” sarà riconfezionato da Berlino in salsa tedesca. Per integrarlo nella versione aggiornata del Modell Deutschland su scala europea. Al centro dell’area monetaria e del sistema economico comunitario il fulcro tedesco, deputato ad assorbire liquidità via formidabile surplus commerciale e a esportare deflazione verso i soci europei. Meccanismo destinato a esaurirsi perché impoverendo i nostri mercati ha finito per inceppare la macchina della Germania iperesportatrice, poi colpita e semiaffondata dalle sanzioni belliche all’energia russa e all’economia cinese. È avventuroso il tentativo in corso di rinsanguare l’economia tedesca e quelle europee rompendo il tabù del debito e rilanciando l’industria via comparto militare. Il rischio di prolungare e allargare la guerra in Ucraina ne è l’effetto meno improbabile.

Il fallimento geopolitico più evidente dell’euro è il suo rimbalzo negativo sulla sghemba architettura comunitaria. Come nota Guzzi, l’allargamento progressivo no limits dell’Unione e dell’Eurozona a Paesi eterogenei rispetto ai fondatori ha favorito i nazionalismi più chiusi. Xenofobie talvolta violente. In un contesto di deculturazione che si esprime nello iato tra narrazioni (propaganda) e realtà. È ormai in questione lo stesso carattere democratico e liberale dei Paesi europei. In un clima di guerre che nessuno sa come terminare. Attribuire al solo euro il declino della nostra economia, lo sfaldamento dell’Ue e le tendenze belliciste che agitano il continente sarebbe ingeneroso. Ma far finta di nulla e pensare che la crisi del sistema europeista – di fatto antieuropeo – si risolva in automatico significa rassegnarsi a subire gli eventi. Per noi italiani, che nel sistema protetto dalla superpotenza americana avevamo intravisto la fine della storia, giunge il tempo delle responsabilità. (…) L’euro non è eterno. Come nessun’altra moneta “irreversibile”. Altrimenti gireremmo ancora con il sesterzio in tasca. La crisi del sistema europeista colpisce le nostre legature sociali, istituzionali e geopolitiche. Possibile parlarne, con urgente calma?

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