Fonte: La Stampa
Referendum giustizia, il Sì è avanti di 10 punti ma un italiano su 3 si dichiara indeciso
Ad oggi, i sondaggi indicano che la maggioranza degli italiani si dichiara favorevole alla riforma della giustizia che introduce la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Secondo l’ultima rilevazione condotta da Only Numbers, il fronte del “Sì” (38,9%) supera ampiamente quello del “No” (28,9%) di dieci punti percentuali. Se ci si concede un semplice esercizio aritmetico, limitando l’analisi ai soli voti validi in un’ipotetica proiezione elettorale, il divario apparirebbe ancora più marcato: 57,0% contro 43,0%.

Un margine significativo, ma costruito sul terreno ancora fragile dell’astensione. Perché, pur essendo un referendum confermativo e dunque privo di quorum, la vera sfida per entrambi gli schieramenti resta quella di trasformare la partecipazione in legittimazione politica, dando senso e peso al voto. Sul piano degli orientamenti, la frattura tra le forze politiche è chiara, ma non assoluta. Il 78.8% degli elettori dei partiti di maggioranza si dice pronto a confermare la riforma, mentre tra le opposizioni il 60,8% voterebbe per il “No”. Tuttavia, il 17,7% degli elettori di opposizione sostiene la proposta del governo: un dato che segnala come il tema, pur già connotato politicamente, non sia del tutto impermeabile ai confini tra schieramenti.
Il 48,0% dei cittadini intervistati afferma di sentirsi informato sui contenuti della riforma, mentre il 52,0% ammette di non conoscerne i dettagli. È un elemento rilevante, perché lascia intendere che la battaglia referendaria si giocherà più sulle narrazioni che sui contenuti. Il dibattito pubblico rischia quindi di polarizzarsi su slogan contrapposti – “una giustizia più giusta” da un lato, “un attacco all’indipendenza dei magistrati” dall’altro – più che su una reale comprensione della portata istituzionale della riforma. In questo quadro, il voto potrebbe assumere un valore politico più ampio, fino a trasformarsi in un voto contro Giorgia Meloni e il suo governo. Infatti, già oggi lo scontro si sta caricando di valenze politiche e simboliche. La memoria collettiva rimanda a due precedenti relativamente recenti, opposti nei risultati e nel contesto politico. Il primo è il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, promosso da Matteo Renzi, in cui vinse il “No” con un’affluenza del 68,5%. Il secondo è quello del 12 giugno 2022 che, privo di una spinta politica – anche per la presenza del governo tecnico di larga maggioranza guidato da Mario Draghi – registrò una partecipazione molto più bassa, ferma al 20,93%. In quell’occasione, pur con la netta vittoria dei “Sì” (74,01%) alla separazione delle carriere, il risultato restò privo di effetti per il mancato raggiungimento del quorum. Alla luce di questi precedenti e del clima politico attuale, il referendum si profila come un banco di prova cruciale per l’esecutivo – per tutti i significati storici che inevitabilmente porta con sè -, ma anche come una questione di identità istituzionale.
In gioco c’è l’equilibrio tra i poteri dello Stato, un terreno storicamente delicato per la democrazia italiana. Secondo il sondaggio Only Numbers, quasi un italiano su due (48,7%) ritiene che Giorgia Meloni non dovrebbe dimettersi in caso di bocciatura del referendum. Una posizione condivisa dall’86,9% degli elettori dei partiti di maggioranza. Al contrario, il 62,3% degli elettori delle opposizioni ritiene che, in caso di vittoria del “No”, il Presidente del Consiglio dovrebbe fare un passo indietro.
Al cuore della questione c’è la percezione del conflitto istituzionale in corso. Il 45,3% dei cittadini ritiene che lo scontro tra Governo e Magistratura sia pericoloso per la democrazia. Un timore condiviso anche da poco più di 1 elettore su 4 dei partiti di maggioranza, con dati particolarmente significativi tra i sostenitori di Forza Italia che si dividono quasi equamente sui due fronti (42,8% vs 45,3%). È un paradosso interessante: proprio per il partito di Silvio Berlusconi, che per vent’anni ha fatto della “questione giustizia” una bandiera identitaria, emergono oggi le maggiori perplessità sui toni dello scontro. Nel fronte delle opposizioni, le posizioni restano articolate, con minoranze favorevoli alla riforma. Forse anche per questo – e per i risultati che emergono via via dai sondaggi – la campagna si sta accendendo su toni prettamente politici, più che di merito. Un orientamento confermato da un dato chiave: poco più di un italiano su due non si sente realmente informato sul tema.
In un contesto simile, la battaglia referendaria rischia di trasformarsi in un test politico generale, più che in un confronto di idee sul futuro della giustizia italiana. Il referendum sulla separazione delle carriere si annuncia come uno spartiacque non solo giuridico, ma politico. Dietro ai numeri si muovono identità, simboli e paure antiche, la giustizia torna a essere terreno di scontro e di definizione del potere, tra garanzie e consensi, tra indipendenza e controllo. Ancora una volta, come spesso accade in Italia, il vero verdetto potrebbe dipendere non tanto da chi ha ragione nel merito, ma da chi saprà raccontare meglio la propria verità.


