Ti dono un condono!

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Filippo Ceccarelli
Fonte: La Repubblica

Ti dono un condono!

Gli dei della politica amano i condoni, ma i demoni del potere molto di più. La riprova sta nella regola numero 1, per cui il condono non è mai un condono e la cosa più avvincente, si fa per dire, è la rapidità con cui chi lo invoca si sforza di nasconderlo dietro vaghi eufemismi o incomprensibili giri di parole.

In quest’ultimo caso qualche fratello d’Italia in fregola elettorale, con sospetta noncuranza ha usato la formula «riapertura dei termini» eccetera. Ma poiché la questione del condono edilizio è statutaria per non dire perenne, sarà bene ricordare qui di seguito che oltre alla vecchia e cara sanatoria, nel corso del tempo si è avuta la regolarizzazione urbanistica, la definizione agevolata, l’emersione, la conciliazione e il perfezionamento della pratica, quindi l’aggiornamento delle posizioni, l’accertamento di conformità, la tolleranza costruttiva, la flessibilità edilizia e la riconduzione alla legittimità, là dove la legge è in realtà la maggiore vittima di tutte queste perifrasi, non di rado con l’aggravante della beffa.

Tanto per non far nomi e tempi, tra Prima e Seconda Repubblica si stagliano le ombre di tre grandi e fatali condoni intervallati da sequenze di nove anni. Il primo fu varato nel 1985 da Bettino Craxi, che per il suo garofano cercava “l’onda lunga”, e affidato alle manine esperte del ministro Franco Nicolazzi. Per farlo accettare, il vecchio Nick promise che con parte dei quattrini messi a disposizione si sarebbe finanziato un piano di riserve naturali e opere di salvaguardia dell’ambiente – ciò che ovviamente non accadde, trascinandosi dietro piuttosto, quella sventurata sanatoria, un guazzabuglio di ermetiche disposizioni aggravate da proroghe, slittamenti, variazioni, visure e perfino moduli da compilare che risultarono sbagliati.

Il secondo condono fu gentilmente promesso e concesso da Berlusconi nell’estate 1994 non appena realizzò che il suo primo governo e il conseguente miracolo italiano cominciavano a scricchiolare. In questo caso, per darsi un po’ di ossigeno finanziario, il Cavaliere mollò il crostino scottadito al povero ministro Radice, imprenditore del comparto barche, che alla fine dovette riconoscere: «Me l’hanno imposto Dini (ministro dell’Economia, ndr) e la Ragioneria». Nel 2003 sempre Berlusconi, imperatore dell’annuncio illusorio, fece sbocciare l’idea di una terza sanatoria edilizia nell’ambito del progetto “Bella Italia” e di un non meglio precisabile Concorso per il Comune «più fiorito». Siccome trovava sconvenienti le ruspe, motivò gli italiani garantendo che in certi casi si potevano obbligare gli abusivi a risarcire la collettività realizzando a proprie spese qualcosa di bello e di utile, «tipo un giardino pubblico o – ecco il tocco di genio – un parco giochi per bambini». Come facilmente s’immagina, negò risolutamente che si trattasse di un condono. Aggiunse quindi, con uno dei suoi indimenticabili sorrisoni: «Dobbiamo cercare di essere creativi e migliorativi», anche se quest’ultima parola avrebbe già dovuto destare qualche dubbio.

Metà regalo e metà perdono, per i governanti la dannazione di queste sanatorie non consiste solo nella loro innominabile essenza, ma nella consapevolezza della loro necessità ai fini del consenso. Per cui sotto elezioni, da sottaciuto o contraffatto espediente, il condono diventa indispensabile, inesorabile e urgente. Ma a questo punto s’innesca un cortocircuito perché anche soltanto l’annuncio di provvedimenti di quel genere finisce per incentivare ulteriori scempi e abusi edilizi sui quali regolarmente si piangerà in caso di catastrofi, vedi case costruite sul dorso dei vulcani o presso il greto dei fiumi, insediamenti venuti su in fretta e furia senza rispetto per la natura e l’ambiente. In compenso, a tal punto il condono è penetrato nel già prosperoso immaginario degli italiani che basta chiedere all’IA per ritrovarsi sommersi da argute definizioni, aforismi brontoloni, parabole e storielle consolatorie tipo “il muratore e il nipotino”, “il commercialista fatalista”, “l’anziana signora e l’immobile fantasma”. Grosso modo, la morale è che da un lato la norma si critica, ma dall’altro si sfrutta. Chi è senza condono scagli la prima pietra – e come nel commento di Agostino al vangelo di Giovanni (8,1-11) rimasero in due: la miseria e la misericordia, amen.

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