Fonte: La Stampa
Retroscena: L’avallo di Meloni e il ruolo di Fazzolari: cosa c’è dietro l’attacco di Bignami a Mattarella
Ignazio Mangrano non esiste. Bisogna partire da qui e fare un altro paio di premesse per inquadrare meglio il caso politico che ha scosso le istituzioni italiane e per capire che ruolo ha avuto Giorgia Meloni, e quale gli uomini che della sua volontà sono la più diretta espressione.
Ignazio Mangrano, l’autore dello scoop de La Verità, è un nome di fantasia, di quelli che a volte si usano in alcune redazioni, e che – ci spiegano – nel quotidiano solitamente firma gli articoli più disparati, spaziando da Confindustria a notizie di nera al mercato del fumetto.
Altro elemento: è direttamente Maurizio Belpietro, il direttore, a intestarsi la rivelazione delle frasi intercettate al consigliere di Sergio Mattarella, Francesco Saverio Garofani, con le quali esprimeva un auspicio politico contro la destra. Belpietro, spiegano, difficilmente avrebbe pubblicato, e legittimato con il suo editoriale, una notizia del genere senza una prova materiale a tutela del pezzo. E in questi casi la prova principale è l’audio.
La domanda che tutti si facevano ieri e che ora si pone ineludibile è: Meloni sapeva che il capogruppo del suo partito, coordinato dal sottosegretario a Palazzo Chigi Giovanbattista Fazzolari avrebbe scatenato un attacco durissimo contro il Quirinale? La versione ufficiale è che non sapeva. Dopo la reazione indignata del Colle, Bignami si precipita a spiegare che si trattava di una sua iniziativa personale, e poco dopo arriva una precisazione anche di Fazzolari.
Per tutto il giorno, invece, Meloni tace. Non commenta, non si espone personalmente per aggiustare il tiro, non sconfessa i suoi. Nelle dinamiche e nella sequenza della giornata, di fatto, avalla l’operazione gestita dal suo braccio destro. A Fazzolari ha affidato la delega di gestire la comunicazione e di dettare la linea di FdI. A Bignami il compito di guidarla in Parlamento. Parliamo della cabina di comando di un partito monolite dove anche il singolo sospiro deve rispecchiare la posizione della premier. Alle 22 di ieri sera non risulta neanche un contatto telefonico, di chiarimento, tra lei e Mattarella.
Ma ora teme che il controllo costituzionale del Presidente potrebbe complicarle il disegno che ha in mente sulla legge elettorale. La premier vuole cambiarla per assicurarsi i numeri in Senato, con proporzionale e premio di maggioranza. Ha già fatto partire i primi colloqui con le opposizioni ma se non dovesse riuscire a convincerle sarebbe intenzionata a cambiarla a colpi di maggioranza. «D’altronde Renzi quando era premier pose la fiducia sull’Italicum» è l’argomento di questi giorni in FdI. L’unico vero ostacolo sarebbe il Capo dello Stato.
Meloni vede un filo rosso che lega Mattarella e i suoi consiglieri al progetto di un polo riformista a cui lavorano sindaci di centrosinistra, il capo di Italia Viva Matteo Renzi e l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini con il suo movimento “Più uno”. Chiacchierando con ministri e parlamentari FdI non è difficile sentir parlare di deep state in fermento e già in azione «per impedire – come dice Bignami – una vittoria di Meloni alle prossime elezioni».
Ma cerchiamo di mettere ordine tra le voci e riportiamo le considerazioni di chi è solito confrontarsi con la premier. Garofani è un ex deputato del Pd, molto vicino all’ala riformista. È lui a parlare di «una grande lista civica nazionale» che assomiglia a quella a cui lavorano Renzi e Ruffini.
Nel 2022 – particolare che ricordano in FdI – Mattarella firma la prefazione del libro di Ruffini “Uguali per Costituzione”. Nel profilo dell’ex dirigente pubblico si intravede quel leader rassicurante ed europeista in grado di mettere d’accordo le anime diverse del campo progressista, e magari di rosicchiare consenso dal fronte moderato della destra. In caso di stallo parlamentare sarebbe un nome spendibile, in mano a Mattarella, per l’incarico da premier.
Meloni guarda già avanti, al 2027 e al 2029. All’anno in cui si voterà per il prossimo Parlamento, e due anni dopo, quando quel Parlamento rinnovato dovrà scegliere il prossimo Capo dello Stato. La reazione di FdI e di Palazzo Chigi contro il Colle va contestualizzata nei piani della leader che prevedono di cambiare la legge elettorale e di portare al Quirinale un nome gradito. Secondo Garofani, dice La Verità, Meloni avrebbe in testa il proprio nome. Renzi è stato il primo politico a sostenerlo apertamente.


