Fonte: Limes
Il piano segreto di Usa e Russia per mettere all’angolo l’Ucraina
Gli inviati Witkoff e Dmitriev lavorano intensamente a un piano di “pace”: la pelle del paese aggredito può essere venduta e la testa di Zelensky esposta su un piatto d’argento. Nato e Ue non sono informate, poiché non contano. Il Vecchio Continente può essere spartito in zone d’influenza lungo l’istmo d’Europa
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Gli Stati Uniti e la Federazione Russa stanno intensamente collaborando per districare il nodo del conflitto armato in Ucraina e delineare i futuri assetti del continente europeo. L’inviato speciale del presidente Usa Donald Trump per le missioni di pace Steve Witkoff sta lavorando a stretto contatto con il braccio destro di Vladimir Putin e amministratore delegato del fondo sovrano russo Kirill Dmitriev. I due alti funzionari hanno trascorso ben tre giorni in compagnia – dal 24 al 26 ottobre – a Miami (Florida) proprio per avvicinare le posizioni delle due grandi potenze nucleari protagoniste della guerra per procura che insanguina il Vecchio Continente.
Secondo indiscrezioni giornalistiche, l’imprenditore americano e l’economista russo avrebbero messo a punto un articolato piano in 28 punti suddiviso in quattro capitoli: pace in Ucraina, garanzie di sicurezza per il paese invaso, stabilità in Europa, future relazioni di Washington con Mosca e Kiev. I soli titoli del documento sembrano evocare un disegno per la spartizione dell’Europa in zone di influenza, dove l’Ucraina ricopre il ruolo di vittima sacrificale e le cancellerie euroatlantiche di chierichetti recalcitranti. Certo è che le sorti del paese aggredito saranno segnate dalle brame dei forti, non dalle speranze dei deboli. Il suo futuro è legato ai voleri di Usa e Russia, non agli auspici di Nato o Unione Europea. Il solo fatto che gli alleati del Numero Uno non siano stati informati delle trattative né coinvolti in qualche modo nel processo negoziale per giungere a una cessazione dei combattimenti è emblematico. Mosca nega per ora di aver ricevuto una proposta ufficiale da Washington, ma non smentisce i galvanizzanti contatti Witkoff-Dmitriev.

Secondo quanto trapelato, la pace può essere raggiunta solo mediante importanti cessioni territoriali. La nazione invasa dovrebbe cedere all’aggressore tutti i territori già occupati nonché l’intero Donbas. L’Ucraina dovrebbe poi accettare l’annessione della Crimea alla Federazione Russa, pur non riconoscendola formalmente. Di più: in cambio della garanzia di intervento degli Stati Uniti in caso di future aggressioni, le Forze armate dell’Ucraina postbellica dovranno essere più che dimezzate. Dovrebbe poi essere sancito il divieto di stazionamento di truppe straniere sul territorio ucraino nonché la rinuncia di Kiev a detenere armi a lunga gittata. Inoltre, la lingua russa deve tornare a essere idioma ufficiale non discriminabile in tutto il paese, mentre i fedeli e i beni della Chiesa ortodossa ucraina legata al patriarcato di Mosca – principale Chiesa del paese – dovranno essere adeguatamente tutelati. Una resa completa agli occhi dei notabili di Kiev, ascesi al potere in seguito alla vittoriosa ma poco gloriosa battaglia di Jevromajdan (febbraio 2014) per emanciparsi dalle ingerenze moscovite.

L’inserimento nel piano di pace per l’Ucraina di un capitolo sui rapporti Usa-Russia è ciò che davvero vuole Mosca per elevare il proprio status di fronte al mondo – soprattutto dinanzi all’Europa – ma non dispiace nemmeno a Washington poiché in tal modo può mettere pressione sulla riluttante ma esosa Kiev. I vertici del paese invaso potrebbero essere in difficoltà a rigettare gli interessi americani enunciati nel documento, poiché la sopravvivenza dello Stato e delle attuali élite kievane dipende in larga misura dal declinante supporto a stelle e strisce (armi, finanziamenti, intelligence). Una reale alternativa al tangibile ausilio americano non esiste, benché i governi europei facciano buon viso a cattivo gioco dicendosi pronti a farsi carico a oltranza della causa ucraina.
In forte difficoltà a causa degli scandali di corruzione che investono metà del suo governo, il presidente Zelensky sta viaggiando forsennatamente in tutto il Vecchio Continente per cercare di stipulare collaborazioni politico-militari sostitutive e sigillare il sostegno europeo allo sforzo bellico ucraino. Anche sottoscrivendo programmi superlativi ma irrealizzabili. Emblematico in tal senso è il recente incontro a Parigi con il presidente della Francia Emmanuel Macron, dove è stata firmata una lettera di intenti per la compravendita di ben 100 caccia multiruolo Dassault Rafale. Velivoli tanto costosi quanto inefficaci in una moderna guerra d’attrito; jet che richiedono l’addestramento pluriennale di piloti, che attualmente scarseggiano in Ucraina; sistemi d’arma non nelle immediate disponibilità dell’Esagono, che potrebbero essere pronti solo a guerra ultimata; dispositivi particolarmente costosi che non è chiaro con quali fondi potranno essere acquistati, di certo non con le vuote casse di Kiev.
Si tratta di vane promesse e falsi sorrisi per provvidenziali photo op (scatti pianificati per creare un’immagine positiva) da dare in pasto alle opinioni pubbliche interne. Soffermarsi di fronte al famoso quadro di Pablo Picasso “Guernica” in compagnia del primo ministro di Spagna Pedro Sánchez per denunciare gli orrori della guerra è immagine indubbiamente suggestiva, ma di nessun aiuto per i combattenti al fronte o per la popolazione civile deprivata di serenità e comodità. “Contro la crudeltà della guerra, per la giustizia e la pace, saremo sempre al fianco dell’Ucraina”, ha garantito il premier iberico. Ma siempre sembra un tempo davvero lungo, proprio quello che manca a Kiev.
Uno dei principali sponsor americani della causa ucraina, l’inviato speciale della Casa Bianca Keith Kellogg, ha reso noto che tra un paio di mesi potrebbe gettare la spugna. A gennaio, l’ex tenente generale intende lasciare l’amministrazione di Donald Trump per non sottoporsi all’incerto voto del Senato, necessario per il prolungamento del mandato di 360 giorni assegnatogli dal presidente. La linea Witkoff, più accondiscendente verso il Cremlino e più intransigente nei confronti di via Bankova, si è imposta sugli orientamenti più rigorosi di Kellogg a sostegno del paese belligerante destinato alla sconfitta militare, politica, economica e soprattutto demografica.
Zelensky cerca all’estero quel consenso che rischia di perdere in patria. Il capo di Stato ucraino è alle prese con le grane giudiziarie che colpiscono direttamente la propria cerchia ristretta. Le indagini dell’Ufficio nazionale anticorruzione (Nabu) – ente istituito per volere degli Stati Uniti dopo il rovesciamento del governo filorusso di Viktor Yanukovych nel 2014 – hanno portato alla luce un giro di tangenti per più di 100 milioni di dollari nel settore dell’energia, il più dirimente per un paese in guerra. Le dimissioni del ministro dell’Energia Svitlana Grynchuk e del titolare del dicastero della Giustizia Herman Galushchenko sembrano non bastare a sopire l’indignazione di una società in sofferenza. Esponenti del partito presidenziale, Servitore del popolo, chiedono a gran voce le dimissioni del capo dell’Ufficio presidenziale Andrij Jermak, eminenza grigia e vero uomo forte della verticale del potere di Zelensky. L’ex produttore cinematografico e braccio destro del presidente ucraino potrebbe essere messo in un angolo, come già accaduto al socio d’affari di Zelensky Timur Mindich, oggi latitante. Se si incrina la maggioranza di governo alla Verkhovna Rada (parlamento monocamerale) a legislatura scaduta o si sfarina la base popolare che sostiene un esecutivo d’emergenza in periodo di guerra, a rischio sarebbe la stessa carriera politica (o addirittura la vita) del presidente. La tenuta del fronte interno è cruciale tanto quanto la tenuta del fronte esterno per scongiurare gravi ripercussioni (diserzioni di massa) lungo la fragile linea di contatto con l’esercito invasore che si srotola dalla penisola di Kinburn fino al Donbas settentrionale.
Una cosa pare chiara in modo inequivocabile: gli Stati Uniti di Donald Trump sono stanchi di foraggiare una guerra ritenuta ormai deleteria per gli interessi nazionali americani. Washington deve salvaguardare le proprie ampie ma non infinite risorse per poter affrontare dossier ben più strategici in giro per il mondo. Per perpetuare il proprio impero informale, l’America pare disposta ad accettare le richieste della Russia e giungere a una tacita spartizione del Vecchio Continente lungo l’istmo d’Europa.
L’Ucraina appare oggi agli occhi americani come una enorme escrescenza appiccicata alla pelle della Nato. Qualcosa di sgradevole che richiede un costante tributo di sangue senza alcuna funzione vitale in cambio. Tanto vale asportarla in modo chirurgico.



