IL GRANDE MARE DEI SARGASSI DI JEAN RHYS
Jean Rhys (1890-1979) nacque a Roseau, Dominica, una delle isole Windward Sopravento delle Antille, e trascorse lì l’infanzia. Suo padre era un medico inglese e sua madre creole, ovvero antillana bianca. All’età di 16 anni si stabilì in Inghilterra e poi visse tra Parigi e Vienna. Nel libro Il grande mare dei Sargassi l’autrice ritorna alla sua patria spirituale, come se si trattasse di un distante sogno evocato con perfezione, ma che somiglia a un incubo. L’azione si svolge nella sua prima parte tra Giamaica e Dominica durante gli anni Trenta del 1800. Il romanzo ha tre parti. Nella prima c’è il racconto di Antoinette Cosway, la protagonista. Nella seconda il marito Rochester narra il suo arrivo alle Antille, il suo matrimonio fallito. Nella terza, Antoinette scrive da una mansarda in Inghilterra.
Antoinette racconta: “Dicono che nei momenti di pericolo bisogna unirsi, e per questo i bianchi si unirono. Ma noi non formiamo parte del gruppo. Le signore della Giamaica non accettarono mai mia madre, perché era “molto particolare”, come diceva Christophine. Era la seconda sposa di mio padre, molto giovane per lui, come dicevano le signore della Giamaica, e ancor peggio, proveniva dalla Martinica. Quando le domandai perché era così poca la gente che ci visitava, mi disse che la strada che andava da Spanish Town a Coulibri Estate, dove vivevamo, era in cattivo stato. Mio padre, le visite, i cavalli e il sentirsi sicure nel letto erano anche passati alla storia. L’altro giorno la sentii parlare con il signor Luttrell, nostro vicino ed unico amico: “Naturalmente, tengono anche i loro problemi. Aspettano ancora la compensazione che promisero gli inglesi quando approvarono la Legge di Emancipazione”. Come avrei potuto sapere che il signor Luttrell sarebbe stato il primo che si stancherebbe di aspettare? Un pomeriggio tranquillo, Lutrell sparò al suo cane, si buttò a mare e nuotò al largo, e scomparve per sempre. Dall’Inghilterra non venne nessuno a badare alla sua fattoria-si chiamava Nelson’Rest-e gente sconosciuta arrivò fin lì per pettegolare e commentare la tragedia. Si diceva:” Vivere a Nelson’Rest? Per niente al mondo, è di mal augurio”. La casa rimase vuota e il vento faceva battere le imposte Presto i neri dissero che la casa era stregata e non volevano nemmeno avvicinarsi. E nessuno si avvicinava a Coulibri, alla nostra”.
“Mi abituai alla vita solitaria, ma mia madre tracciava ancora piani e concepiva speranze, sempre che passasse davanti a uno specchio. Montava ancora a cavallo tutte le mattine, senza dare importanza ai neri che in gruppo si burlavano di lei, specialmente quando i suoi vestiti di equitazione cominciarono ad essere laceri-fanno attenzione ai vestiti, sanno se c’è denaro-. E un giorno, di mattina presto, vidi il cavallo steso al suolo sotto l’albero di frangipane. Mi avvicinai e vidi che non era malato, ma era morto, ed aveva gli occhi pieni di mosche. Ma quello stesso pomeriggio Godfrey scoprì che era stato avvelenato. Mia madre disse “Siamo rimaste isolate, che sarà di noi?” E in poco tempo divenne una donna magra e silenziosa, e alla fine si negò ad uscire di casa.”
“Era solita passeggiare su e giù per la terrazza, vedeva il panorama che si estendeva fino al mare, ma tutti quelli che passavano potevano vederla. A volte la lasciavano in pace ed altre volte ridevano. Lei manteneva gli occhi chiusi e le mani tese fino a quando il suono delle risate suonasse lontano e debole. Si allontanava con fredda calma, senza dire una parola, come se avesse deciso una volta per tutta che io per lei un essere inutile. Voleva stare seduta vicino a Pierre o andare a piedi senza che nessuno la molestasse, voleva pace e tranquillità. Diceva: lasciatemi in pace, voglio restare sola. Non c’era donna di carnagione nera che vestisse e si allacciasse il fazzoletto alla moda della Martinica, salvo Christophine,. Aveva la voce bassa e la risata grave, e sapeva parlare bene l’inglese così come il francese e il patois. Le ragazze della baia che a volte venivano ad aiutare per le pulizie ne avevano terrore. Io mai guardavo i giovani neri sconosciuti. Ci odiavano, ci chiamavano scarafaggi bianchi. È meglio non svegliare i cani che dormono. Un giorno, una bambina mi seguì cantando: “Vai via scarafaggio bianco, via, via”. Io cominciai a comminare di fretta, ma lei mi incalzava: “Vai via! Nessuno ti vuole qui”. Si diceva in giro che eravamo povere come topi. Che mangiavamo pesce salato perché non avevamo il denaro per il pesce fresco. Che la casa era vecchia e con tante filtrazioni di acqua. In Giamaica c’era molta gente bianca, gente bianca veramente, che aveva denaro d’oro. E questa gente bianca nemmeno ci guardava; i bianchi dei vecchi tempi non sono altro che neri bianchi, ora, e i neri neri valgono di più.”
Basandosi sulla sua conoscenza personale delle Antille, Jean Rhys descrive le ereditiere creole alienate del principio del secolo XIX. Frutto di una società degenerata, decadente ed esiliata, odiate dagli schiavi da poco liberati, languiscono torturate dalla minaccia, propizie ad essere vittime, in una oppressiva bellezza della natura tropicale, una terra lussureggiante e seduttrice.
Nelle parole di Cristophine dopo la visita dell’inglese Mason:” Il vecchio Lutrell avrebbe loro sputato in faccia vedendo il modo come guardavano! Il male è entrato in questa casa, oggi. Sì, il male è entrato. Non più schiavitù! Che risa! Questi di ora, questi nuovi, hanno il Potere della Legge. È lo stesso di prima. Ed hanno il loro magistrato. E vivono bene. E hanno il loro carcere e le loro catene. E hanno apparecchi per distruggere i piedi dei neri. I nuovi sono peggiori dei vecchi. Sono più astuti, questa è l’unica differenza”. Nel letto io dicevo: “Sono in salvo. C’è la barriera delle scogliere e le montagne, la barriera del mare. Sono in salvo. In salvo da sconosciuti.”
Assistetti al matrimonio di mia madre con il signor Mason a Spanish Town. Però il mio volto era animato dall’odio. Avevo udito ciò che dicevano di me quella gente dal sorriso dolce: “È un matrimonio insensato, perché deve sposarsi con lei un uomo così ricco, con una vedova senza un centesimo e una fattoria che non vale niente? Il suo nuovo marito dovrà spendere una fortuna per migliorare la casa. Il bambino Pierre, un idiota che deve nascondere, e la bambina va nello stesso cammino. Ha quella espressione brutale. Suo marito non venne alle Antille a ballare ma a guadagnare soldi. Alcune fattorie si vendono a poco prezzo, e le perdite dello sfortunato sono guadagni per l’intelligente. Non c’è dubbio che sempre è utile tenere in casa a una donna della Martinica come Christophine che pratica l’obeah.” Io conoscevo molto bene la stanza di Christophine con il quadro La Sacra Famiglia e l’orazione per morire felici. Un giorno che mi trovavo lì, ebbi d’improvviso molta paura. Ero sicura che, occulta nel soggiorno, dietro l’armadio nero, c’era la mano secca di un morto, le piume bianche di pollo e un gallo con un taglio nel collo, morendo lentamente. Goccia a goccia il sangue cadeva e Io immaginavo di udirlo cadere. Nessuno mi aveva parlato dell’obeah, ma sapevo quello che avrei visto se avessi osato guardare. Non successe niente di terribile, e dimenticai tutto. Il signor Mason si mise a ridere quando mia madre gli disse che voleva andare via dalla fattoria, perché la gente la odiava. Si sapeva che eravamo odiati, ma lui ci scherzava su, minimizzava. Un giorno che il nero Godfrey era ubriaco mi disse che eravamo tutti condannati, e che pregare non ci sarebbe servito per niente. Quando eravamo poveri, i neri non ci odiavano tanto, eravamo bianchi e poveri, senza esserci salvato dal disastro e presto saremmo morti, perché non avevamo soldi. Ora, l’odio era ricominciato, peggio di prima, e mia madre lo sapeva, ma senza riuscire convincere il signor Mason. Non voglio rimanere a Coulibri, disse mia madre, è pericoloso. Mason replicò che i neri erano come bambini, incapaci di uccidere una mosca. Ma, disgraziatamente, i bambini uccidono mosche! Io guardavo il signor Mason, così sicuro, così inglese., e anche guardavo mia madre, indubbiamente lei non era inglese, ma nemmeno era una nera bianca. No, non lo era, mai lo era stato. Sentivo gratitudine per il signor Mason, mi sentivo in pace, protetta e soddisfatta. Entrai nella stanza del mio fratellino Pierre, che ancora dormiva nella culla, e dormiva sempre di più, quasi tutto il giorno. Era così magro che potevo sollevarlo senza sforzo. Addormentato, sembrava felice. Fu allora che sentii gemere i bambù nel giardino e anche un rumore come un mormorio. Era luna piena. Lasciai la candela vicino al letto, e aspettai Christophine per rassicurarmi. Ma non veniva, e continuai nelle mie fantasia. Quando mi svegliai, mia madre era vicino al letto, vestita, ma con i capelli sciolti. Mi intimò di vestirmi e di scendere in fretta, poi andò alla camera di Pierre. La casa aveva vari livelli, giù nel salone c’era il signor Mason, mia madre, Christophine, la Zia Cora, ma la cuoca e il ragazzo nero no. Mason disse che non c’era ragione per allarmarsi, si trattava solo di un gruppetto di neri ubriachi. Uscì sul giardino e un rumore orribile di gridi lo accolse, come gridi di animali, e poi vi fu una pioggia di pietre. Quando rientrò era pallido e spaventato. Mia madre si torceva le mani. Poi, si mosse in fretta, quando si accorse che si stava incendiando la parte posteriore della casa. Scomparve, c’era molto fumo. La Zia Cora mi abbracciò e mi rassicurò. Ma c’era odore a capelli bruciati. Mia madre era scesa con Pierre in braccio, i suoi capelli sciolti erano bruciati. Pierre pareva morto, gli occhi bianchi, la testa che pendeva. La culla bruciava, disse mia madre, e la ragazza era andata via! Lo aveva abbandonato. Ma madre insultò Mason, accusandolo di leggerezza e crudeltà. Christophine ritornò con la notizia che il fuoco stava invadendo anche l’altro lato della casa, che tutto stava ardendo come una fiaccola. Quando raggiungemmo il giardino, tutta quella gente riunita ruggiva e gridava, non riconobbi nessuno, erano tutti uguali, una faccia ripetuta cento volte, bocche aperte, occhi insanguinati. Erano tanti. Cercavamo di affrettarci, ma mia madre voleva salvare il pappagallo a cui il signor Mason aveva tagliato le ali. Lui la trascinò via, lanciando maledizioni. Quelli imprecavano contro Mason, una pietra passò molto vicino a noi, e i cavalli si spaventarono. Non potevamo muoverci, avevo paura. Mason smise di maledire e cominciò a pregare a voce alta, chiedendo protezione all’Onnipotente. E Dio misericordioso, che non aveva dato un segnale quando la culla di Pierre si era bruciata, si manifestò. Le grida cessarono di colpo, tutti guardavano in alto e indicavano il pappagallo sulla ringhiera, con le penne in fiamme. Cercò di volare, ma le ali tagliate non lo permettevano. Era una palla di fuoco, e cadde al suolo. Ascoltai qualcuno accennare alla mala sorte, che uccidere un pappagallo era di mal augurio, e anche peggio al vederlo morire. Allora cominciarono a ritirarsi. Ma un uomo col machete minacciava ancora, e al sapere che il bambino era gravemente ferito, osservò sarcastico che il nero e il bianco ardono allo stesso modo. A una donna nera presente che si era messa a piangere, l’uomo le chiese quando i bianchi avessero pianto per loro. La casa bruciava e mi resi conto che non avrei più visto Coulibri. La ragazzina nera si avvicinò con una pietra en la mano e la lanciò verso di me, e sentii che qualcosa di umido scivolava sulla mia faccia. Ci guardammo: con sangue la mia faccia, la sua con lacrime. Ebbi l’impressione di vedere me stessa, come in uno specchio.
Qui ho riportato alcuni passi salienti della prima parte del romanzo. I critici hanno visto in Antoinette Cosway un parallelo con Jane Eyre di Charlotte Brontë, o possibilmente lo spunto per questo romanzo di immaginazione e ricordi. I primi libri di Jean Rhys trattano essenzialmente di una stessa donna in differenti tappe della vita.
Questo libro è stato una delle mie prime letture all’arrivo nel Venezuela. In esso vi è riflessa una realtà che cominciavo a conoscere anch’io. E ricordo che mi impressionò. L’antropologia sociale che incontrai era variata, tra i discendenti delle immigrazioni, le profonde radici africane, i rami ispanici e lusitani, e poi i nativi tenuti al margine. Il mescolamento etnico era l’aspetto più evidente, e la popolazione meticcia era la maggioranza, frutto di discendenti africani e rami europei. Ricordo la coloritura della pelle, che presentava tutte le tonalità, dal chiaro europeo, a quello intermedio, a quella scura mediterranea o olivastra, fino alla marrone. Solo nella costa era facile incontrare persone con la pelle nera. In occasioni, ballavano dei ritmi frenetici accompagnati dai tamburi e naturalmente innaffiati dal rhum, mentre l’europeo prudente si teneva in disparte. Nonostante lo stato repubblicano consolidato, l’identità nazionale era una illusione e c’erano parole ed espressioni che rivelavano come l’integrazione etnica fosse rimasta una chimera. Nei primi tempi, mi avventurai sulla montagna di Sorte in Yaracuy dove si praticavano i riti della “santeria”, nel culto a Maria Lionza, e si riunivano gruppi isolati di fedeli per le invocazioni, i riti del tabacco e del rhum, lontano da occhi indiscreti, e credo anche per il sacrificio di animali da pollaio.
FILOTEO NICOLINI
(La Giamaica è uno Stato insulare delle Grandi Antille nel Mar dei Caraibi. Il Sovrano della Giamaica coincide con quello del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord: attualmente il Re della Giamaica è Carlo III.
La Giamaica, già possedimento spagnolo noto con il nome di Santiago, è poi diventata possedimento dell’Impero Britannico delle Indie Occidentali. La popolazione del Paese è composta principalmente da discendenti di popolazioni provenienti dall’area sub-sahariana fatte schiave dai britannici.)


