Fonte: La Stampa
Fairplay Meloni, il pareggio elettorale conferma gli equilibri
Giorgia Meloni, il giorno del fairplay. Prima ancora che venissero consacrati i risultati definitivi, complimenti a Alberto Stefani ( «una vittoria frutto del lavoro di coalizione») ma anche a Roberto Fico e Antonio Decaro. La pagina “Regionali” per lei è già archiviata, e preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno: fino alle dimissioni di Roberto Occhiuto in Calabria la sinistra favoleggiava di un possibile 4 a 1. È finita tre a tre, equilibri confermati, il che va abbastanza bene a una leader convinta che sia il suo nome a fare la differenza e quando in gioco ci saranno i destini nazionali le percentuali del voto saranno totalmente riscritte. Persino il consistente sorpasso delle liste leghiste in Veneto è inquadrato con questo spirito: aiuta la stabilità dell’alleato, evita un dirompente processo del Nord a Matteo Salvini, e siccome che non si è ancora trovato il modo di sostituirlo meglio così, si può andare avanti tranquilli.
Arrivare senza scossoni interni o esterni agli appuntamenti del 2026, il referendum sulla giustizia e l’avvio della campagna per le Politiche prossime venture, era l’obbiettivo di Palazzo Chigi. È stato raggiunto, anche se con qualche sofferenza. Brucia soprattutto il pessimo risultato della Campania, l’unica piazza dove Fratelli d’Italia esprimeva il candidato. Lì, dopo aver creduto a una rimonta in extremis, si attendeva almeno un exploit del voto di lista. E invece Edmondo Cirielli è stato doppiato da Roberto Fico mentre la lista di FdI è finita in un deludente testa a testa con Forza Italia. Ma anche qui: Meloni lo aveva detto. Fino all’ultimo ha cercato un nome civico per la competizione, consapevole della difficoltà di tenere i numeri in una regione che da trent’anni non premia più la destra. Ha ceduto alle insistenze dei suoi che ritenevano l’alleanza Pd-M5S un gigante dai piedi d’argilla, scommettendo sulla diserzione elettorale di deluchiani e grillini. Hanno perso i teorici della “Campania contendibile”, non lei.
Poi certo c’è il tema del campo largo che ha trovato il suo assetto e il “teorema Taruffi” (Igor, stratega dei numeri per Elly Schlein) sulla potenziale frana della coalizione di centrodestra alle Politiche, nei collegi uninominali, dove l’alleanza Pd-M5S rende competitiva l’opposizione. Prospettiva: maggioranze diverse alla Camera e al Senato, ritorno allo stallo di dieci anni fa. Ma pure quello alla fine fa brodo. La destra meloniana trova nei calcoli di Taruffi argomenti a sostegno della proposta che ha avanzato da un pezzo: si deve cambiare la legge elettorale per sventare il rischio di paralisi. «Se dovessimo votare oggi – dice Giovanni Donzelli – non ci sarebbe stabilità politica né in caso di vittoria del centrodestra né in caso di vittoria del centrosinistra». La prospettiva che coltiva FdI è nota: proporzionale e indicazione del candidato premier sulla scheda. Due nomi, due scelte politiche alternative. E chiunque sarà “l’altro” – Elly Schlein, Giuseppe Conte, una figura terza, un professore, un outsider tirato fuori dal cilindro dei moderati di sinistra – sarà un gotterdammerung che chiamerà ai seggi l’intero popolo meloniano. O noi o loro, e allora altro che affluenza sotto il 50 per cento, altro che ricamini sui campi larghi o stretti: sarà una sfida tra facce, e a destra si è convinti di avere quella perfetta per questo tipo di battaglia.


