HECTOR POLEO E LE METAMORFOSI DELL’ANIMA

per Filoteo Nicolini

HECTOR POLEO E LE METAMORFOSI DELL’ANIMA

Il Museo de Arte Contemporànea Sofia Imber di Caracas ospitò nel lontano 1986 una mostra personale dell’artista venezuelano Hèctor Poleo (1918-1989), artefice di una opera singolare. Ricordo quella esposizione, e il ricordo si illumina alla vista del catalogo che conservo religiosamente. Sempre provavo meraviglia nel frequentare le esposizioni e le istituzioni culturali presenti in una capitale dalle grandi differenze sociali, e quasi gridavo al miracolo, per poter fruire di opere d’arte di artisti locali già affermati. Poleo da bambino ebbe un grave incidente che gli causò la perdita di un occhio, e questo ha segnato la sua vita senza comprometterne la creazione, o forse lo ha incitato a vedere trasfigurando. La Seconda guerra mondiale con tutto il suo contenuto di orrore alimentò il suo immaginario giovanile, la tragedia della vita fatto di devastazione e naufragio. I personaggi dei primi quadri interpretavano il paesaggio venezuelano e la figura umana avvolti da pessimismo, desolazione, tristezza, angoscia. Apparivano personaggi rugosi, silenziosi, terrificanti, di gran forma espressiva; tutto ciò si ripercuoteva nelle emozioni dell’osservatore. Rammento infatti quadri dal titolo Messaggi d’angustia e Auto distruzione. Altri mostravano paesaggi surreali in cui spuntava un occhio allucinato a contemplare la devastazione. Era un mondo fatto di figure tormentate, circondate di fallimento e povertà, depressione.

Bisognò attendere la fase artistica successiva perché quelle figure apparissero più distese, come purificate, statiche, geometriche. I visi divennero ora più dolci, il messaggio era altro, più sobrio, più ascetico. L’immagine rifletteva una pace interiore raggiunta, una cura per i dettagli, le linee più formali, come nel quadro Le pettinatrici di marcata luminosità. È appropriato parlare qui di metamorfosi che converte le figure in altre figure, i corpi in altri corpi, perché la platea dei protagonisti è la stessa di prima, ma essi subiscono ora trasformazioni prodigiose. Sono nuove ragioni nell’anima dell’artista. Non solo il suo temperamento agì sull’opera, ma questa ora si integra alla materia che utilizza per realizzarla. Nella successiva evoluzione apparve un nuovo idioma, più onirico e aperto al mistero dell’esistenza. L’ultima rosa manifestò questa sensibilità che inventava nuovamente il viso umano su sfondi enigmatici fatti di macchie sfumate. Sono ormai lontane quelle amarezze e quei rancori giovanili. Poleo divenne l’esploratore di esseri astratti immersi in una selva di segni, e quello che circondava la figura acquistava più importanza. La figura si integrava al paesaggio onirico irreale. In un’altra, straordinaria opera quale Remember Hiroshima, Poleo rappresenta una donna dall’aspetto pallido, lugubre ed allucinante, dove i tratti sono appena disegnati, come se fosse una immagine che la morte va disfacendo. Gli occhi sono privi di pupille, la forma del cranio é ovale, già in mutazione. È una figura alla soglia della scomparsa, la disintegrazione che annuncia il declino del mondo, è incubo e mostruosità.

Poleo è stato l’artista capace di catturare l’attenzione dello spettatore, il quale non guarda semplicemente, ma rimane come intrappolato nella pittura, questa attrazione è come una sostanza che fluisce e soggioga.

FILOTEO NICOLINI

Immagine iniziale: Peinadoras.

Immagine: La dernière rose.

Sofía Ímber (1924-2017) è stata la prima donna a essere nominata per il Premio Nazionale di Giornalismo del Venezuela e ha successivamente vinto altri premi internazionali, tra cui la Legion d’Onore francese, l’Orden de Mayo argentino e la Medaglia Picasso dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura.

Uno dei maggiori contributi di Ímber alla storia venezuelana è stata la fondazione, nel 1972, e la direzione, durata quasi 30 anni, del Museo de Arte Contemporáneo de Caracas, una delle più importanti collezioni d’arte moderna in un’istituzione pubblica latino-americana. Il suo impegno pionieristico al museo – dove ha guidato la creazione di uno spazio comunitario coinvolgente e inclusivo che ha portato autobus d’arte nei quartieri, ha pubblicato cataloghi d’arte accessibili ai non vedenti e ha incluso una biblioteca d’arte gratuita – ha contribuito a portare una cultura diversificata nella società venezuelana. Per tutta la sua vita, il suo lavoro ha funzionato da ponte culturale tra Europa e America Latina, come dimostra la sua duratura carriera nel giornalismo e in televisione. Oggi il Museo de Arte Contemporaneo MACC esibisce una collezione permanente di circa quattro mila opere. Nel 2006 fu destituita dal presidente Chàvez in risposta alla sua firma in una lettera aperta in cui criticava l’antisemitismo di Chàvez. In quel periodo, Fernando Botero inviò lettere di protesta per quella rappresaglia e mancanza di senso di gratitudine.

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