Fonte: Laterza
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EUROPA TEDESCA – di ULRICH BECK – ed. LATERZA
L’ottica economica trascura il fatto che non stiamo vivendo solo una crisi dell’economia (e del pensiero economico), ma anche e soprattutto della concezione dominante della società e della politica.
Tutti lo sanno, ma dichiararlo esplicitamente significa infrangere un tabù: l’Europa è diventata tedesca.
Nessuno ha voluto che ciò accadesse, ma di fronte al possibile crollo dell’euro la Germania in quanto potenza economica è ‘scivolata’ progressivamente nella posizione di decisiva grande potenza politica dell’Europa. A costi altissimi: dappertutto nel continente si alza la resistenza contro una politica per superare la crisi che mette in moto una redistribuzione dal basso verso l’alto, dal sud al nord. I cittadini si ribellano contro la pretesa, avvertita come sommamente ingiusta, di imporre loro una medicina che potrebbe avere esiti mortali. Che fanno a questo punto i salvatori, se quelli che devono essere salvati non vogliono essere salvati? O comunque non vogliono essere salvati in un modo dichiarato anche dai propri governi come ‘senza alternative’?
Di questo libro hanno scritto:
“Un libro estremamente incisivo e incoraggiante. Non solo propone una descrizione illuminante della crisi dell’Europa, ma offre anche una soluzione credibile.” Daniel Cohn-Bendit, copresidente del Gruppo Verde/Alleanza libera europea del Parlamento europeo
“L’Europa tedesca di Ulrich Beck offre un nuovo linguaggio con cui comprendere la crisi presente e prefigurare il futuro. Un saggio raro e brillante.” Mary Kaldor, London School of Economics
Germania europea o Europa tedesca?
di Ulrich Beck
Tutti lo sanno, ma dichiararlo esplicitamente significa infrangere un tabù: l’Europa è diventata tedesca – afferma Ulrich Beck in Europa tedesca. La nuova geografia del potere -.
Nessuno ha voluto che ciò accadesse, ma di fronte al possibile crollo dell’euro la Germania in quanto potenza economica è ‘scivolata’ progressivamente nella posizione di decisiva grande potenza politica dell’Europa. A costi altissimi: dappertutto nel continente si alza la resistenza contro una politica per superare la crisi che mette in moto una redistribuzione dal basso verso l’alto, dal sud al nord. I cittadini si ribellano contro la pretesa, avvertita come sommamente ingiusta, di imporre loro una medicina che potrebbe avere esiti mortali. Che fanno a questo punto i salvatori, se quelli che devono essere salvati non vogliono essere salvati? O comunque non vogliono essere salvati in un modo dichiarato anche dai propri governi come ‘senza alternative’?

La Germania davanti alla decisione se essere o non essere dell’Europa
Alla fine di febbraio 2012 ascolto nel notiziario della radio: «Oggi il Bundestag tedesco decide sul destino della Grecia». Quel giorno la Camera dei Deputati tedesca votava il secondo «pacchetto di aiuti», che era legato all’impegno da parte della Grecia di operare tagli incisivi sulla spesa pubblica e alla condizione che essa accettasse una riduzione della propria sovranità nella gestione del bilancio. È evidente che così stanno le cose, dice una voce dentro di me. Ma un’altra voce si chiede sconcertata: com’è possibile? Che significa davvero il fatto che una democrazia voti sul destino di un’altra democrazia? Sì, è vero, i greci hanno bisogno del denaro delle imposte pagate dai tedeschi; ma l’imposizione di misure che comportano tagli equivale a minare il diritto di autodeterminazione del popolo greco.
Ma ciò che mi irritava in quel momento non era solo il contenuto della notizia, bensì anche l’ovvietà con cui la cosa veniva accolta in Germania. Ascoltiamo ancora una volta: il parlamento tedesco – non quello greco – decide sul destino della Grecia. Che senso ha in generale una frase simile?
Facciamo un piccolo esperimento mentale. Supponiamo che i tedeschi siano chiamati ora a votare se la Grecia debba abbandonare l’euro. Il risultato sarebbe prevedibilmente: «Acropoli, addio!» (Akropolis Adieu!). E supponiamo inoltre che sulla stessa domanda debbano esprimersi in un referendum popolare anche i greci. Il risultato sarebbe verosimilmente una chiara maggioranza (secondo sondaggi del maggio 2012 di circa l’85 per cento) per la permanenza nell’euro.
Come risolvere in questo caso il contrasto delle due scelte delle democrazie nazionali? Quale democrazia dovrebbe prevalere? Con quale diritto? Con quale legittimazione democratica? O a giocare il ruolo decisivo dovrebbero essere gli strumenti estorsivi dell’economia? Dovrebbe essere in ultima analisi il rifiuto di concedere crediti la leva decisiva del potere? Oppure la Grecia, culla della democrazia, dovrebbe perdere, per il peso dei suoi debiti, il diritto all’autodeterminazione democratica?
In che paese, in che mondo, in che crisi viviamo veramente, se una simile messa sotto tutela di una democrazia da parte di un’altra non suscita alcuno scandalo? E a questo punto la formula «Oggi il Bundestag tedesco decide sul destino della Grecia» risulta addirittura riduttiva. Da tempo ormai non si tratta più solo della Grecia. Si tratta dell’Europa. «Oggi la Germania decide se essere o non essere dell’Europa»: è questa la frase che meglio ritrae la situazione intellettuale e politica del momento.
L’Unione Europea comprende 27 paesi membri, governi, parlamenti; ha un parlamento, una Commissione, una Corte di giustizia, un’Alta rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri, un Presidente della Commissione, un Presidente del Consiglio ecc. ecc. Ma la crisi finanziaria e la crisi dell’euro hanno catapultato la Germania, economicamente forte, nella posizione di grande potenza decisiva dell’Europa. In meno di settant’anni la Germania, ridotta in macerie moralmente e materialmente dopo la Seconda guerra mondiale e l’Olocausto, si è trasformata da docile scolaretta in maestra dell’Europa. Nel modo di vedere se stessi dei tedeschi, peraltro, il termine «potenza» suona ancora come una parola sporca, che viene volentieri sostituita con «responsabilità». Gli interessi nazionali rimangono nascosti con discrezione dietro paroloni come «Europa», «pace», «cooperazione» o «stabilità economica». Chi pronuncia la formula di potere «Europa tedesca» rompe questo tabù. Ancora peggio sarebbe dire: la Germania assume la Führung («guida») dell’Europa. Si può dire invece: la Germania si assume la «responsabilità» dell’Europa.
La crisi dell’Europa, certo, diventa sempre più grave, e la Germania si trova davanti alla scelta storica se ridare vigore alla visione di un’Europa politica contro tutte le resistenze o continuare nella politica di cercare di cavarsela alla bell’e meglio e nella tattica di tenere sotto controllo la situazione temporeggiando – e per la precisione «fino a che l’euro non ci divida». La Germania è ormai troppo potente per potersi concedere il lusso di non prendere una decisione.
Che sia arrivato il «momento della decisione», è cosa che raramente viene richiamata presso l’opinione pubblica tedesca, ma è invece molto presente nei commenti degli osservatori fuori della Germania. Questo, per esempio, è il ragionamento del giornalista e scrittore italiano Eugenio Scalfari: «Se la Germania attua una politica finanziaria che fa fallire l’euro, i tedeschi si renderebbero responsabili del fallimento dell’Europa. E sarebbe la loro quarta colpa, dopo le guerre mondiali e l’Olocausto. La Germania deve ora assumersi la sua responsabilità per l’Europa». Nessuno può dubitarne: in un’«Europa tedesca» la Germania sarebbe ritenuta responsabile del fallimento dell’euro e dell’Unione Europea.

Ulrich Beck, Europa tedesca. La nuova geografia del potere. pp. XIII-XVI
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Ulrich Beck è professore emerito di Sociologia della Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco e attualmente insegna alla London School of Economics. Con il volume La società del rischio. Verso una seconda modernità si è in breve tempo affermato come uno dei principali pensatori europei.


