L’albero dalle radici

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti 14 ottobre 2014

 

fassina

Oggi sull’autobus stracolmo ho intravisto in mezzo alla folla Stefano Fassina. Era in piedi, imperturbabile, inviava messaggini, e sembrava perfettamente a suo agio in quella calca popolare, che sa tanto di vita reale, e che si addensa sui mezzi Atac romani ogni mattino in direzione del centro storico e non solo. Ecco, ci sono situazioni che parlano da se stesse, più delle parole e più di ponderosi saggi o di interventi seriali in TV. Situazioni che raccontano una certa familiarità con le vicende ‘popolari’, le cose quotidiane degli umani, con i contesti e le occasioni di vita, grazie alle quali si riesce davvero a mantenere il mondo a testa in su, senza limitarsi a ‘narrarlo’. Certo, essere ‘popolo’ e condividere le esperienze quotidiane dei normali cittadini non è sufficiente. Ma Stefano Fassina è uno che studia, che lavora ad alto livello, che sa di cosa parla, che non fa demagogia o populismo d’accatto. Il contesto di vita lo aiuta a mettere a frutto ancor di più queste conoscenze e questo valore, a radicarlo tra le persone, a consentirgli di intercettare prima degli altri sensazioni, domande, bisogni, senza dover ricorrere ai sondaggi.

Non c’è miglior sondaggio di una full immersion nella vita comune, d’altra parte. Le opinioni è bello coglierle dove germogliano e dove si esprimono, nei luoghi pubblici, nel contesto della vita quotidiana. Le patologie da sondaggio nascono in chi scambia la propria demagogia, il proprio marketing per sentimento popolare. In chi si barrica nei palazzi e ogni mattina fa il ‘timone’ sulla base delle rilevazioni campionarie su questo o quel tema, qualunque esso sia. I grandi leader, quelli grandi davvero, non avevano bisogno dei numeri, gli bastava calcare una piazza, parlare con l’autista, scambiare due chiacchiere con la signora al mercato. Gli bastava percepire il sentimento comune dei cittadini, renderli testimonial dei loro stati d’animo e delle situazioni attorno. Il grande politico faceva vita di partito, discendeva la strada che portava nei quartieri, visitava le sedi politiche, ascoltava pazientemente, si faceva cittadino tra i cittadini, perché aveva dalla propria parte anche un’infrastruttura politica, quella dei partiti, calibrata sulle pieghe della società italiana e sulla variegata conformazione territoriale.

Oggi, senza più un partito, di sondaggi invece ci ingozziamo. La percezione che abbiamo della realtà è distante, mediata da percentuali di cui nessuno sa l’esatta efficacia, l’esatta verità (l’opinione, d’altronde, non è verità per definizione). Si sta barricati nei palazzi, si esce solo per la comparsata istituzionale o televisiva, e poi ci si ciba delle cifre del sondaggista di fiducia. Da questo confronto secco con le tabelle di un istituto, si tenta di far crescere un rapporto con la società. Si tenta. E non conta quanta sia la distanza istituzionale. Oggi anche un piccolo Presidente di Municipio, alla fin fine specula su cifre, si rivolge sempre più in alto, piuttosto che voltarsi e andare a spasso per il quartiere, prestando ascolto. È la società senza partiti e senza politica quella che evoca gli spettri statistici. È la società senza ponti, senza più voci reali o dettagli, quella che cerca di allungare lo sguardo ma si scopre miope, e allora ricorre al guru. Si fa presto a dire: il primato è della politica, alla politica il compito di ‘formare’ la società. Belle parole. Ma ci vogliono gli strumenti, ci vuole un partito che funzioni, ci vogliono filamenti lunghi e tesi verso la società. Sennò ti devi affidare ai soli media. Ne resti ostaggio. L’autonomia della politica è fottuta.

Perché è da lì che bisogna ripartire, non dalla ‘società civile’ astrattamente considerata ed esaltata da chi la politica, in definitiva, l’ha sfasciata. Ma dalle figure sociali vere, soprattutto quelle più lontane. Gli ultimi. E dove li trovi gli ultimi se non sull’autobus dell’ATAC, al mercato, in piazza, in fila a un ufficio postale? Il segreto è sempre lo stesso, condurre una vita normale, percepire sentimenti ‘comuni’, ma da lì nutrire e far germogliare una straordinarietà politica. Una verticalità, allora sì, micidiale. Un paese normale sorge da vite normali e straordinarie assieme, dentro cui non germogliano ambizioni mediocri, piattamente amministrative, ma un altrettanto straordinario desiderio di trasformare la società e ristabilire un più alto standard di giustizia sociale ed eguaglianza. È come guardare l’albero dalle radici, è come rimettere nel senso giusto le chiacchiere campate in aria di oggi.

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