Autore originale del testo: Fausto Anderlini
Dichiarazione di voto
Sono a tal punto alienato rispetto a dove vivo che quasi dimenticavo di fare il mio endorsement. Per molto tempo ho vissuto in una sorta di mitobiografia nella quale il mio destino si identificava con quello della ‘città’. Un errore di soggettivismo (per quanto comprensibile e in certa misura inevitabile) che porta a trascurare che la realtà va per suo conto. E che se si finisce in un angolo la cosa riguarda solo chi ci finisce.
Ed è proprio da questo angolo dove sono confinato, se non altro per una questione anagrafica, non bastasse il garbuglio delle intime vicende, che dichiaro le mie preferenze: Matteo Lepore Sindaco, Coalizione civica come voto di lista, Bruno Sedda e Patrizia Rita Grasso come preferenze…..
Lo stare nell’angolo può implicare diverse conseguenze. Può inclinare a una coscienza infelice e acrimoniosa, sprezzante verso il mondo, giudicato ingrato e meschino, con interpreti mai all’altezza. Del tipo, per intenderci, apres nous le deluge, se non la merde. Ma il riconoscersi distaccati può anche facilitare un’utocoscienza più obiettiva e un rapporto con la realtà all’insegna di sentimenti più ponderati. Da un angolo, col necessario straneamento, la realtà si può vedere meglio, anche nei lati positivi. Evitando i vizi dell’apologia ma anche della denigrazione.
A partire dai ’90 (ma i prodromi erano già presenti negli ’80, e forse nella fine dei ’70) la politica bolognese ha attraversato, sotto la sferza di cambiamenti socio-culturali molto profondi, una lunga e nevrotica transizione. Compimento del grande ciclo dell’urbanizzazione e della trasformazione agrario-industriale con conseguente ingresso nella post-modernità. Una transizione che dal punto di vista economico-sociale è avvenuta nel segno della regolarità (welfare/manifattura/conoscenza) evitando alla città i traumi e le decadenze che hanno imperversato altrove. Ma che ha impattato con forza la sfera politica, snervandola. A maggior regione considerato il fulgore dei trenta gloriosi: Bologna come la mecca del comunismo democratico italiano, coi suoi grandi sindaci, da Dozza a Zangheri. Esempio di una originale ed avanzata socialdemocrazia europea a base popolare, di contro a un presente gravato dall’insicurezza dei fini e dei mezzi della politica alla prova delle nuove configurazioni sociali.
La sinistra è passata in un vertiginoso saliscendi dalle liti intestine dell’epoca Vitali, con la conseguente resa al civismo moderato di Guazzaloca, alla speranza in un deus ex machina capace di restaurare l’antico carisma municipale-nazionale (Cofferati). Vanificata la quale è stata la volta, con la vicenda Del Bono, della caduta nello strapaese di una provincia pecoreccia. Con persino l’onta di un commissario; a un certo punto, tanto era lo scoramento, divenuto persino simpatico(a). La Cancellieri come Draghi, infatti non furono pochi a pensare di ricandidarla. Un vero e proprio stato di esaurimento psichico da aprire la strada a strani fenomeni new-age, come il transfert sentimentale verso un ‘popolarismo dei semplici’ quale fu incarnato da Cevenini. Sempre confidando, sotto traccia, che dallo Studio uscisse qualche ottimato a salvare baracca e burattini. Cosa che ci stava, essendo l’iper-massimalismo platonico l’altra faccia del minimalismo politico. L’ingloriosa resa al coso toscano, alla fine, è stata la conseguenza in certo modo necessaria di questo nevrotico andirivieni verso il basso (Bologna è l’unica città dove al referendum renziano ha vinto il sì: una beffa).
La mia generazione, quella dei nati nell’immediato dopoguerra, è stata al centro di questo baillame. Di essa, di me, non ho una grande considerazione. Generazioni di narcisi un po’ nevrotici e confusionari. Tuttavia con due attenuanti non da poco. D’essersi trovata in mezzo al crollo del comunismo e a un cambio ideologico materiale globale. Ma soprattutto d’avere alle spalle la schiatta eroica dei padri. Cioè il Partito togliattiano e i suoi alacri e ingegnosi costruttori. Con il conseguente puntiglio di doverli in qualche modo ‘superare’ per dare una prova di sè. Vaste programme. Di qui il vezzo intellettualistico, l’amore per le ‘svolte’…l’assenza di umiltà. Il narcisismo egotistico. A sua volta fonte di inimicizia, malanimo e scarsa solidarietà, come poi si è visto nella diaspora (cosa spinge uno come Bassolino a mettere i bastoni nelle ruote di un’alleanza di sinistra se non questa roba ?)..
La nostra generazione ha filiato poco (in linea con la transizione demografica e il crescente individualismo anti-autoritario) e spesso, quando lo ha fatto, si è curata poco o sciattamente dell’allevamento. Rinunciando agli oneri della paternità. Analogamente poco si è peritata di assecondare con responsabilità una discendenza politica. Giungendo semmai a schiacciare i giovani sotto il peso di una loro presunta inadeguatezza. Chi siete voi che non avete conosciuto i padri antifascisti, il ’68, il tempo tragico ed esaltante dei ’70, le sfide degli ’80 e i tormenti dei ’90, voi che non avete letto i libri sui quali noi ci siamo scervellati ?
Quando penso ai Lepore, alla Clancy, ai Sedda e alla Schlein, e persino alla Contii e a Bugani….penso a una nuova generazione politica che potrebbe fare coorte, cioè gruppo dirigente, senza questi gravami psicologici sulla gobba. Una classe dirigente amministrante per la città nel fiore dell’età e di nuovo conio. Capace di porre termine alla transizione e di costituire le basi per una nuova alleanza della sinistra.
Se Virginio ha un merito è quello di avere assecondato l’ultima fase della transizione minimizzando il danno e tenendo aperte le porte per una successione generazionale senza traumi. Fino adesso Lepore ha dato buona prova di sè: ha riaggregato la sinistra. Ed è tanto. In questo contesto è importante che Coalizione Civica abbia un buon risultato. Mentre l’Abbazia vigila, custodisce la lingua sacra, necessariamente morta (venga mai in mente a qualcuno di usarla), dispensa buoni consigli per evitare gli errori e saggiamente accompagna il corteo dei giovani viandanti con la sua benedizione.


