ASSEMBLEA LISTA TSIPRAS, Roma 18/19 luglio 2014
di Gian Franco Ferraris
diario rurale e tre proposte:
– partire dal programma
– non rinchiudersi nel ghetto della sinistra minoritaria
– eleggere un dittatore: Moni Ovadia
Da quando ho smesso di fare politica attiva, la politica è al centro dei miei pensieri. Trovo desolante la frattura tra la politica e la società, ma ho bisogno di illudermi che ci sia una ragione nelle cose. Di fatto, all’improvviso, ho deciso di andare all’assemblea nazionale di L’altra Europa con Tsipras a Roma.
Lungo viaggio in auto ma con poco traffico, ho scelto di fare l’Aurelia da Rosignano fino quasi a Roma, un tratto per il quale si discute da anni se fare (o non fare) un’autostrada. La città, al contrario, mi è parsa assediata dalle auto in ogni vicolo del centro storico.
Tsipras ha parlato venerdì sera in piazza Farnese, una delle zone che il sindaco Marino vorrebbe pedonalizzare. Lo stato caotico del traffico, i trasporti pubblici, la struttura urbanistica sono il segno di una città male amministrata da anni, cosa che si percepisce ad occhio nudo. Marino fa del suo meglio, è una brava persona e un bravo chirurgo; ma io mi chiedo sempre perché mai i medici hanno la presunzione di saper fare anche politica e penso che un cittadino non vorrebbe farsi operare da un sindaco. D’altra parte, penso che Marino sia il miglior sindaco possibile, ma si trova schiacciato tra due forze: da una parte le bande del PD, divise tra loro ma unite per fargli la pelle, dall’altra le aspettative eccessive del popolo di sinistra che tifa per Marino e spera che abbia la bacchetta magica.
All’inizio, in piazza Farnese il pubblico era piuttosto anziano e benestante, ho visto alcune figure immutabili: Toni Negri, Russo Spena. La piazza si è riempita all’arrivo di Tsipras. Prima di Tsipras sono intervenuti Curzio Maltese e Eleonora Forenza. Tsipras ha fatto riflessioni molto condivisibili sull’Europa, sull’austerità, sulla questione palestinese; infine, ha parlato Barbara Spinelli. Qualcuno dal pubblico, appena lei ha preso la parola, ha urlato qualcosa contro le sue “non dimissioni” e nei suoi occhi è comparsa una nuvola, il velo di tristezza di una donna sensibile. Mi ha colpito la sua capacità di ragionare prima di parlare; il suo ragionamento era perfetto sul renzismo, che si occupa solo di piazzare la Mogherini nel posto più insignificante che ci sia in Europa, sulla necessità di un new deal europeo e sulla tragedia di Gaza.
A voler essere precisi, gli interventi di Tsipras e Spinelli non coincidono su Grillo: Tsipras ha sostenuto che Grillo ha mostrato la sua vera natura con l’alleanza con Farage, mentre la Spinelli ha messo in evidenza le convergenze su molti temi con i parlamentari grillini. Da segnalare la bravura di Benedetta, che ha introdotto e presentato la serata, e del traduttore.
Ho cenato in una trattoria in Campo dei Fiori e ho parlato un po’ con il cameriere che mi ha detto: “il turismo è in crisi, qui ci salva il papa”. Infine, ho fatto una gradevolissima passeggiata tra piazza Navona e piazza di Spagna. Mi è tornata in mente la poesia di Pavese (rivale in amore di Altiero Spinelli) “I gatti lo sapranno”, amareggiato dalla fine della storia d’amore con Connie Dowling, attrice americana a Roma in cerca di fortuna, in cui attraverso il proprio dolore comprende la sofferenza dell’umanità e la vanità della vita.
Il giorno successivo alle 9,30 ci siamo ritrovati numerosi al teatro Vittoria, al Testaccio. E’ iniziata una lunga giornata di lavoro, in cui incredibilmente gli organizzatori non hanno previsto neppure una breve pausa pranzo. Al mattino ci sono stati vari interventi: la lunga relazione di Revelli (che si può trovare anche sul sito nuovatlantide.org), apprezzabile analisi del voto dal quale emerge una provenienza sociale del voto eterogenea (ma solo il 2% di operai). Colpisce che molti esponenti della sinistra del PD pensano che il 40,8% sia una vittoria del loro partito ma, in realtà, è una vittoria di Renzi contro il suo stesso partito. Ho trovato più debole la parte sulle prospettive future; Revelli si è richiamato in modo generico all’unità, alla ricerca di un nostro popolo, ai territori, al non rinchiudersi negli steccati. Ha concluso in modo frettoloso, incalzato (in modo ingiustificato) da una parte dei presenti spazientiti per la lunghezza della relazione.
Ho l’impressione che gli organizzatori abbiano volutamente evitato di toccare i punti di un possibile contrasto; scelta comprensibile per alcuni versi, ma rinviare i nodi non aiuta. Uno di questi nodi è l’avvicinarsi delle elezioni regionali in alcune regioni, dove c’è il rischio di una spaccatura fra chi è propenso all’alleanza con il PD e chi è totalmente ostile a questa ipotesi. Le realtà territoriali sono molto diverse tra loro, come la qualità delle amministrazioni locali. In molti luoghi la sinistra partecipa agli incarichi di governo con il PD, in altri ha un ruolo preminente con esponenti di primo piano (Vendola, Pisapia, Doria).
Barbara Spinelli ha cercato di dare una risposta a questo tema che aleggiava nella sala: non è importante se non siamo pronti per le regionali, bisogna fare in modo che le cose maturino e di certo saremo pronti per le politiche.
ELEGGERE UN DITTATORE: MONI OVADIA
L’intervento che più mi ha colpito è quello di Moni Ovadia, in piedi tra il pubblico, disponibile con tutti. Salito sul palco (peraltro affollato), ha dimostrato una energia invidiabile e ha fatto un’analisi di lucidità accecante sulla situazione in Palestina.
Penso che non abbiamo molte carte da giocare, l’Italia ha bisogno di sinistra ma ho qualche dubbio che saremo noi quelli in grado di costruire una nuova formazione politica e, lasciando da parte per una volta i miei sani principi democratici, propongo di nominare Moni Ovadia “dittatore”: che si discuta di tutto ma che sia lui solo a decidere. In questa prima fase penso che possiamo delegare a lui, ebreo e democratico, di prendere le decisioni. Non si tratta di un uomo solo al comando ma di un vero e proprio dittatore. Dobbiamo ammettere che siamo un esercito di sfigati, intellettuali autoreferenziali che si danno arie, senza armi, e con un dittatore avremmo qualche chances in più. Non essendo saggi abbiamo bisogno di un regime militare, di un guerriero, che poi tornerà a fare il Cincinnato.
Dobbiamo riconoscere lucidamente la fragilità della nostra organizzazione, a fronte di un’idea di società su cui potrebbero essere d’accordo l’80% degli italiani se avessimo la forza per poterla esporre e sostenere.
Molti hanno criticato l’operato dei garanti, persone peraltro di grandi qualità. Qual è l’alternativa? Un gruppo autoreferenziale e oligarchico? Quasi tutti i gruppi dirigenti dei partiti si sono trasformati in un cerchio magico, noi dobbiamo evitare questo rischio che è reale. Nel nostro caso sarebbe un abbacchio magico, dove farebbe la fine dell’agnello sacrificale non solo la lista Tsipras ma anche quella parte di società che non vuole accettare lo strapotere dei Poteri che ci stanno portando nel baratro.
PARTIRE DAL PROGRAMMA
La giornata è proseguita nei gruppi di lavoro tematici. Io ero nel gruppo lavoro, new deal, ecc. C’erano molti iscritti a parlare e, per limiti di tempo, gli interventi (una cinquantina) sono stati ridotti a tre minuti ciascuno.
Vedi tutti i video in questa playlist:
Io sono intervenuto verso la fine e ho sostenuto che la politica economica dell’Europa e dell’occidente, se anche ci facesse uscire dalla crisi, non riuscirebbe a creare posti di lavoro. La situazione è ancora più grave in Italia che, per problemi atavici, non è competitiva. Il settore industriale è stato affossato da imprenditori miopi e presuntuosi; il turismo e l’agricoltura, nei quali dovremmo primeggiare, sono in crisi; i ceti medi sono i più colpiti e la piccola borghesia scivola verso il proletariato; l’ambiente e il paesaggio sono violentati da grandi opere inutili; nel settore pubblico sono cresciute le spese correnti e sono crollati gli investimenti.
Sono d’accordo con Luciano Gallino quando sostiene, in sintesi, che non è il progresso che produce lavoro, ma è il lavoro che crea progresso. Mi ha stupito che nessuno abbia citato Galllino. Il suo destino è singolare, ha sicuramente ragione e ha raggiunto una certa notorietà (perché scrive su La Repubblica) ma è, di fatto, inascoltato dall’intera sinistra italiana.
Eppure, solo il lavoro può farci uscire da questa difficile situazione. Occorre riprendere lo slogan di fine anni ’70 “lavorare meno, lavorare tutti”. Il lavoro non è solo una questione economica ma di dignità, con il lavoro si ridarebbe speranza agli italiani e con la speranza di potrebbe arrivare a un vero piano industriale in tutti i campi (industria, turismo, agricoltura). Per far ripartire la macchina occorrono investimenti e denaro, ma neanche troppo. Servono più idee che soldi.
Faccio un esempio: lo stato e gli enti locali in questi anni hanno moltiplicato le tasse sugli immobili (ICI, IMU, TASI) e sui servizi, in particolare sui rifiuti (TARSU, TARES, TARI). Queste enormi risorse prelevate ai cittadini si sono perse nella voragine del debito pubblico e in sprechi per cambiare in continuazione i programmi informatici.
Se una parte di questo denaro fosse stato utilizzato per assumere delle persone si sarebbe potuto informatizzare i dati catastali e, quindi, applicare le tasse in modo equo; analogamente, servirebbero assunzioni per razionalizzare il sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti, con evidenti benefici per l’ambiente. Si sarebbe avuto un effetto moltiplicatore delle risorse investite.
Il mio intervento parte della considerazione che è necessario costituire una nuova formazione politica che abbia come fondamenta pochi punti caratterizzanti un programma condiviso.
Siamo poi tornati in assemblea plenaria, dove si sono avvicendate le relazioni dei referenti dei vari gruppi, non senza qualche polemica richiesta di rettificare e puntualizzare gli esiti, in un clima animato. Ho pensato che, dopo averci stancato per un intero giorno senza mangiare, sarebbe comparso dal cilindro il coordinamento nazionale. Mi sono distratto perché ho intravisto, tra i numerosi amici di facebook presenti in sala, Benedetta Piola Caselli, figura giovane dai lineamenti rinascimentali che sembrava uscita da un dipinto di Tiziano. Ero un po’ titubante a presentarmi di persona, invecchiato e ingrassato, e ho percepito il distacco tra la vecchia politica e l’approccio di una giovane donna concreta che invocava maggior trasparenza e una politica limpida.
L’assemblea ha poi deciso di continuare il lavoro dei gruppi in modo permanente e aperto a nuovi ingressi e di raccogliere i documenti dei gruppi e i contributi dei singoli.
Nei fatti, si è cercato di evitare la spaccatura che avverrà probabilmente in vista delle elezioni regionali. A questo proposito ho una proposta che, secondo me, è risolutiva: bisogna partire dal programma, sia a livello nazionale, sia nei territori. Ma il programma dovrebbe essere costruito cercando il contributo di tutte le persone pensanti. Non dobbiamo essere autoreferenziali, né mettere steccati; c’è bisogno di aria fresca, dell’esperienza e della competenza di tutte le persone disponibili; starà poi ai comitati locali discutere in modo approfondito delle questioni e giungere a un programma essenziale e presentabile all’opinione pubblica. E’ la via preferibile anche perché meno “faticosa” da realizzare e consente di non appiattire la nostra politica sugli amministratori e sulle amministrazioni.
Sono contrario, in questa fase, ad alleanze con il PD; capisco il punto di vista opposto ma è sbagliato ridurre la politica a questo appiattimento che non ha prodotto nulla di buono.
Da oltre vent’anni sentiamo parlare delle ottime amministrazioni del centro sinistra, ma se andiamo a vedere nello specifico, hanno prodotto frutti mediocri: scarsa qualità nei servizi ai cittadini, mancanza di investimenti in opere pubbliche necessarie (a partire dalla manutenzione delle strade), scuola, ambiente e paesaggio trascurati.
Serve un programma davvero innovativo e che si preoccupi veramente dei problemi degli italiani. Si può anche andare ad amministrare, ma ci deve essere una distinzione tra amministratori e soggetto politico, e il programma di una forza politica deve essere discusso in forma dialettica sia con gli amministratori pubblici che con i cittadini.
NON RINCHIUDERSI NEL GHETTO DELLA SINISTRA MINORITARIA
Durante i lavori dell’assemblea gli applausi erano più calorosi per gli interventi più nostalgici e più radicali. E’ comprensibile, perchè la sinistra non può non essere radicale; già al tempo di Occhetto, Bobbio, che comunista non era, scrisse parole profetiche: “la precipitazione con cui si sta buttando a mare il vecchio carico mi pare sospetta … c’è molta merce avariata in giro, molto materiale fuori uso che passa per nuovo”. Per affrontare la difficile situazione italiana però non servono gli slogan, bisogna occuparsi dei problemi veri delle persone, avendo sempre presente l’interesse generale del paese; a questo proposito vi invito a leggere la riflessione di Bobbio (1).
L’assemblea si è conclusa con la nomina del coordinamento nazionale, in modo confuso da parte della presidenza, senza aver letto neanche i nomi dei nominati, tra le proteste di molti ma, rimediato con un elemento positivo, la possibilità di integrare il coordinamento con i rappresentanti dei territori.
Sono tornato a casa pensando che la strada è irta di difficoltà, tuttavia la situazione italiana reclama buona politica e per questo dobbiamo fare del nostro meglio – il possibile.
Tornato ad Alessandria ho incontrato Tino Balduzzi che mi ha detto: “se non funziona, possiamo fare il partito dei poveri” e se continua il governo delle larghe intese i poveri in Italia non mancheranno.
(1) “Sono moderato, perché sono un convinto seguace dell’antica massima in medio stat virtus. Con questo non voglio dire che gli estremisti abbiano sempre torto. Non lo voglio dire perché affermare che i moderati hanno sempre ragione e gli estremisti sempre torto equivarrebbe a ragionare da estremista. Un empirista deve limitarsi a dire “per lo più”. La mia esperienza mi ha insegnato che nella maggior parte dei casi della vita pubblica e privata, “per lo più” le soluzioni, se non migliori, meno cattive sono quelle di chi rifugge dagli aut aut troppo netti, o di qua o di là. Io sono un democratico convinto. La democrazia è il luogo dove gli estremisti non prevalgono. La democrazia, e il riformismo suo alleato, possono permettersi di sbagliare, perché le stesse procedure democratiche consentono di correggere gli errori. L’estremista non può permettersi di sbagliare, perché non può tornare indietro. Gli errori del moderato democratico e riformista sono riparabili, quelli del estremista, no, o almeno sono riparabili solo passando da un estremismo all’altro. Il buon empirista, prima di pronunciarsi, deve voltare e rivoltare il problema… di qua nascono l’esigenza della cautela critica e…. la possibilità di sbagliare. Dalla possibilità dell’errore derivano due impegni da rispettare: quello di non perseverare nell’errore e quello di essere tolleranti degli errori altrui.”
(N. Bobbio, De senectute, Einaudi, Torino, 1996, p. 148).
di Gian Franco Ferraris (www.nuovatlantide.org)




1 commento
Un racconto divertente ma anche positivo di questa sinistra disastrata e che non occulta i temi9 cruciali a partire dal programma e dalla scelta dei leader