Fonte: Il Fatto Quotidiano
Barbara Spinelli: Ucraina verso l’accordo con Trump e Putin: il pensiero magico Ue non protegge Kiev
Nelle dispute internazionali la razionalità dovrebbe essere affidata alla diplomazia, arte inventata in Europa prima che negli Usa. Ma la guerra è diventata la ragion d’essere per gran parte dei governi europei
Ancora non è dato sapere se gli Stati europei che minacciano di svuotare l’accordo di pace con la Russia riusciranno nel loro intento: bloccare il piano che Trump discute con Mosca perché le radici del conflitto siano infine sanate, spingere Kiev a ignorare quel che accade sul fronte, restare appesi al pensiero magico di una guerra giusta (quando si dice pace giusta s’intende guerra giusta).
Fin d’ora tuttavia è abbastanza chiaro che gli Stati in questione non riconosceranno facilmente di essersi sbagliati su quasi tutto, di non essere comunque affidabili militarmente, e di aver distrutto quel pochissimo che esisteva delle tradizioni diplomatiche europee, ben più antiche di quelle statunitensi e qualificabili come occidentali e atlantiste solo nello spazio temporale della Guerra Fredda.
Oggi è difficilissimo dire quale sia l’Europa in cui i cittadini possano riconoscersi. Non è l’Ue: i Ventisette sono divisi, e a guidare la Commissione c’è una persona – Ursula von der Leyen – che ha abbracciato l’antico disdegno della DC tedesca verso la politica di distensione. Disdegno condiviso in Germania da Verdi, Liberali e Socialdemocratici, che della Ostpolitik di Willy Brandt non hanno più cognizione. Né i cittadini possono riconoscersi in un’Unione che si fa rappresentare in politica estera da un’ex premier estone –Kaja Kallas – che in patria nega diritti sostanziali alla minoranza russa (20,9% della popolazione) e ha dimostrato di non sapere neanche lontanamente chi ha vinto la Seconda guerra mondiale e perché Russia e Cina siano tra i 5 membri permanenti nel Consiglio di sicurezza Onu.
Non godono di maggiore legittimità le più recenti e marziali configurazioni: i Volonterosi pronti a mandare soldati in Ucraina, o la Comunità politica europea inventata da Macron nel 2022 per aggirare i refrattari dell’Ue, reincorporare Londra in Europa e inglobare Stati ex sovietici affetti da russofobia acuta (Ucraina, Georgia, Moldavia). Altro cascame del pensiero magico europeo: l’asse Berlino-Londra-Parigi, detto anche E3 perché ogni distopia ha bisogno dei suoi acronimi. Alla sua testa, tre personaggi in cerca d’autore: Macron e Starmer sono sulla via del tramonto, Merz aspira alla metamorfosi regressiva della Germania e resuscita tradizioni militari che hanno devastato più volte il Paese. Nel loro contropiano si dice che la lingua delle minoranze russe e le libertà degli ortodossi russi saranno rispettate nel quadro dell’adesione di Kiev all’Ue. Promessa vana, visto come sono trattati i russi nei Baltici.
Il capo di Stato maggiore francese generale Fabien Mandon dichiara il 19 novembre, approvato da Macron: “Quel che ci manca (…) è la forza d’animo di accettare di farci del male per proteggere quello che siamo. Se il nostro Paese vacilla e cede, è perché non è pronto ad accettare di sacrificare i propri figli – osiamo dire le cose come stanno! – e di soffrire economicamente quando le priorità andranno alla produzione di difesa. Se non siamo pronti a questo siamo a rischio” (aveva detto cose simili Antonio Scurati il 5 marzo scorso). Prontezza è il motto iscritto sul frontone del Riarmo Europa annunciato il 4 marzo 2025 da Von der Leyen. Credevano d’aver indorato la pillola evitando la parola riarmo. È molto peggio “prontezza”.
Nello stesso giorno, il 19 novembre, il presidente di Airbus, René Obermann, ha esortato gli europei a dotarsi di armi nucleari tattiche per contrastare l’espansionismo russo (oltre alle atomiche strategiche condivise con Washington). Un’atomica tattica oscilla tra 1 e 50 chilotoni: non son bruscolini. Hiroshima fu colpita da una bomba di 16 chilotoni, per Nagasaki si passò a 21. Poco dopo Einstein disse: “Ora è venuto il momento in cui l’essere umano deve rinunciare alle guerre. Non è più razionale risolvere i problemi internazionali ricorrendo alla guerra”. Poi c’è il quando. Quando ci attaccherà Mosca? Secondo il ministro tedesco della Difesa, Boris Pistorius, socialdemocratico, l’anno fatale è il 2029.
Chi non riconosce le disfatte ucraine guarda senza vedere. Quanti ucraini devono morire perché l’Europa smetta i paramenti dell’Occidente atlantista e ricominci a parlare con Mosca? Se nel marzo 2022 Kiev s’accontentò di un esercito di 80.000 uomini, come non vedere che Mosca gliene concede ora 600 mila (la metà delle truppe attuali) e chiederne 800.000? Mosca è disposta a riparare l’Ucraina con 100 miliardi dei propri fondi congelati soprattutto in Belgio. Gli europei s’offendono e replicano: su quei soldi decidiamo noi e basta.
Come sostengono Anatol Lieven e il Quincy Institute, un accordo che restituisce indipendenza ai tre quarti dell’Ucraina, che prevede l’ingresso nell’Ue e le riparazioni russe non è precisamente una capitolazione. È la sconfitta di Zelensky e dell’idea di Kiev come baluardo, non dell’Ucraina. È la presa d’atto che Mosca non ha in mente di invadere l’Europa e neanche vuole “incamerare” l’Ucraina, ma non vuole la Nato e le atomiche schierate alle proprie porte.


