Beep beep Renzi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti – 5 gennaio 2016

Vi assicuro che io ce la metto tutta. Mi pianto davanti al televisore e ascolto. Ascolto con la massima attenzione possibile il profluvio di parole che esce dalla bocca del premier, l’onda anomala di metafore, metonimie, immagini sfuse, refrain, ossimori, slogan, sparate, compresi gli atti di bullismo linguistico che ogni tanto gli scappano. Cerco di restare impassibile anche dinanzi al suo vivace bestiario (gufi per primi) e di andare al sodo delle cose che dice o vorrebbe dire. Nei suoi discorsi c’è sempre qualcosa che ‘riparte’, ci sono accelerazioni, ci sono sguardi in avanti, sorpassi, c’è sempre un’Italia che prende la testa di qualcosa, che sfreccia nonostante i rosiconi, c’è sempre un Paese che scavalca posizioni, che diventa locomotiva, macchina da corsa, maratoneta, sprinter. Un carosello di figurazioni, una giostra di cavallucci imbizzarriti, un treno di annunci e iperboli. D’accordo, a me piaceva di più la sobrietà di Berlinguer, oppure l’incedere progressivo di Ingrao che alla fine mi strappava dall’animo un moto di entusiasmo e anche le lacrime talvolta. Mi piace di più chi cerca di spiegare, chi dirada la nebbia, invece che buttarla in caciara con la retorica spinta e il marketing ciarliero. Mi affascinano i contenuti, ben più delle forme spesso artificiose e studiate a tavolino. Tuttavia, la buona volontà ce l’ho sempre messa.

Ieri la goccia è traboccata dal vaso, anzi dal vasino. Ho sentito Renzi mentre sproloquiava al battesimo della Ferrari a Piazza Affari. Niente da fare. Metafore automobilistiche di ogni tipologia, dai sorpassi alle accelerazioni, all’Italia che guarda avanti, che riparte, che ‘anvedi’ come corre e chi ce ripija più. Lo schema è Beep beep inseguito da Vil Coyote, insomma. Ebbene, non ce la faccio più a sostenere un’oratoria basata su questo perenne registro linguistico e questo stile da smargiasso. Provo una specie di disagio a pelle. E mi ritraggo ogni volta che il premier ‘riparte’ con le sue tirate. È del tutto evidente l’esagerazione linguistica rispetto alla realtà delle cose, il gap tra parole e fatti, e soprattutto la differenza palmare tra chi sta vendendo un prodotto e chi dovrebbe invece aiutarci a capire le cose come stanno e spiegare nei termini dovuti le scelte che si effettuano. Io francamente non capisco più dove sia il confine, se c’è, tra la quota di verità, quella di realtà, le argomentazioni fattuali, e poi le panzane evidenti, le esagerazioni retoriche, le sparate che nascono di getto, quelle partorite dopo un confronto tattico con lo spin, i termini appropriati e quelli onestamente del tutto fuori luogo, la favola e la realtà insomma. E questa assenza di un confine riconoscibile tra verità e menzogna, questo stile iperbolico e il continuo flettere sul registro linguistico dell’imbonitore io credo che siano la colpa più grave per uno statista. O presunto tale.

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