Il bel discorso di Michelle e la politica lacrime e sangue

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 27 luglio 2016

DA UNA PARTE, IL BEL DISCORSO DI MICHELLE OBAMA E LA POLITICA-LETTERARIA – DALL’ALTRA, LA POLITICA-POLITICA, QUELLA VERA, QUELLA CHE AFFRONTA LA REALTÀ PER GOVERNARLA. DUE MONDI CHE LEGANO SEMPRE MENO. CON IL PRIMO CHE TENDE PROGRESSIVAMENTE A PREVALERE.
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Nei discorsi si può dire tutto, si possono esibire ideali altissimi, si può sconfinare nei principi puri, ‘narrare’ storie incomparabili, mettere a nudo l’anima. I discorsi non hanno limiti, se non quelli imposti dai media, dalle regole del parlare pubblico e dall’orizzonte di attesa dell’uditorio. I discorsi sono politica-letteraria, a metà tra la fiction e la dura replica della realtà, ma più a vantaggio della prima. La ‘narrazione’ trova nei discorsi un humus fertilissimo, si può dire che sgorghi essenzialmente da lì, e lì si manifesti a pieno. Chi pronuncia il discorso diventa, a sua volta, una parte della fiction, assume la conformazione del personaggio di una storia, il ruolo di protagonista dello storytelling che in quel frangente si sta costruendo. Il discorso recente di Michelle Obama né è testimonianza, e ancor prima i discorsi obamiani, kennedyani, oppure il celeberrimo I have a dream di King. Non è un caso che siano tutti figli dell’America, del sogno americano, di quell’atmosfera rarefatta per la quale se un povero vince la lotteria o diventa Capo di Stato Maggiore dell’Esercito o una pop star, ciò vuol dire che gli USA sono davvero la patria delle opportunità. Dimenticando che le opportunità per i poveri sono poche, mentre per i ricchi restano sempre tantissime. Anzi, nemmeno opportunità quelle dei ricchi, io le direi certezze. Marx la definiva ‘riproduzione sociale’.

Misuriamo adesso la distanza che c’è tra il mondo dei discorsi e quello della politica-politica. Il gap è impressionante. È lo stesso che c’è tra chi pronuncia quelle narrazioni e lo sforzo enorme che quello stesso uomo, nelle vesti realissime di un presidente e/o amministratore pubblico, deve compiere quando si trova faccia a faccia con i problemi che non si risolvono, le ingiustizie che permangono, le sempre infinitesime conquiste a fronte dell’immensità delle questioni in campo. La politica-letteraria dei discorsi si infrange istantaneamente nelle secche e nelle trappole della politica-politica, unico segnale di realtà che ancora balugina nel mondo dei governi e dei parlamenti, peraltro ridotti a colonie della comunicazione-politica, che io definirei la ‘prosecuzione con altri mezzi dei discorsi politici e della politica-letteraria’. I discorsi delle convention (o delle primarie, o delle campagne elettorali) diventano, alle prese con una realtà difficile e odiosa per certi aspetti, mera comunicazione: ossia tweet, annunci, battute-spot, look, social, chiacchiere, gestualità, occupazione dei media, teatrini, ottimismo espanso a piene mani anche senza che ve ne siano le condizioni. Apparenza insomma. Linguaggio. Tutto meno che l’onestà intellettuale di dire ‘è difficile’, la trasparenza di mostrare che cosa si stia davvero facendo, il lavorio di chi si sta impegnano cuore e mente e non ha tempo da perdere a raccontare frescacce in TV. Tutto meno che classe dirigente, partiti e istituzioni intenti nel loro mestiere effettivo. Governare, rappresentare la popolazione, dedicarsi a un difficile compito pubblico.

Nel passaggio dalla politica-letteraria dei discorsi alla comunicazione-politica dei governi il passo è breve, e la politica-politica scompare. In questo regno fiabesco hanno buon gioco i ‘comunicatori’, i guru, i politici disonesti intellettualmente, gli outsider che se la giocano come a poker, i ‘narratori’, gli storyteller, chi occupa a malo modo le istituzioni, chi si arrabatta, e infine persino i cialtroni. Si obietta: senza comunicazione non c’è consenso, senza costruzione del consenso non c’è democrazia, senza democrazia finisce tutto! Ma è come dire: fateci raccontare cazzate, poi si vedrà. Chissà che il discorso non si tramuti d’incanto in principessa come è già accaduto a Cenerentola. Chissà. Intanto beccatevi questa astratta, letteraria, comunicazionale riforma della Costituzione, che a farla bene, secondo le regole della politica e delle istituzioni, ci voleva troppo tempo! Peraltro ‘letteraria’ è una parola forte: andate a leggere il testo della nuova Costituzione e, proprio dal punto di vista letterario, la troverete inelegante e obbrobriosa. Il paradosso è che anche scrivere discorsi è difficile. E ci sono certi che, pur dedicandosi all’arte della comunicazione-politica che surroga la politica-politica, nemmeno lo sanno far bene. Così che, scrivere male, in brutto stile, una già pessima Costituzione di genere paraletterario, è per me davvero il colmo. Almeno il mestiere di narratori, l’unico che conoscete, fatelo bene, ecchecazzo!

michelle

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