di Celeste Ingrao – 17 agosto 2018
Può succedere che una persona che segue con ragionevole attenzione la politica, nulla o quasi sappia di Genova. Ancora più probabile è che questa stessa persona (che sarei io, ma non credo di essere la sola) nulla assolutamente sappia dei ponti e della loro statica né di calcestruzzo e cemento armato.
Poi succede una tragedia ed è ragionevole e prevedibile volersi informare e cercare di capire. Partendo dal fatto che non è ammissibile che un ponte aperto al traffico crolli, in assenza di eventi “traumatici” straordinari (tipo un terremoto o una bomba).
Premetto che non mi interessa avere l’ennesima prova della insipienza, faciloneria, ecc. ecc. del governo giallo-verde. Questo già lo so.
1. Mi sembra ragionevole, di fronte a un fatto così grave, revocare la concessione, a prescindere dalle responsabilità penali, che sono altra cosa. Sui modi migliori per fare questa operazione di revoca, tocca a chi ne capisce di contratti esprimersi. Mi sembra ancora più ragionevole, a partire da questo fatto drammatico, rimettere in discussione decenni di privatizzazioni e rilanciare una politica di nazionalizzazioni. Se qualcosa in questo senso verrà dal governo, bene, ma è un tema che tocca alla sinistra – o a quel che ne resta – rilanciare, legandolo a un’idea diversa dello sviluppo e del bene pubblico e rimettendo in circolo una critica seria dell’economia capitalista. E’ un lavoro nostro. Chiederlo a Di Maio è fiato sprecato.
2. Sembrerebbe che la durata di un ponte in cemento armato non arrivi a cento anni, forse meno, e che quindi TUTTI i ponti, viadotti e simili costruiti negli anni 60 possano crollare da un momento all’altro senza altro motivo che la loro “vecchiaia”. Se così è si tratta di una gravissima emergenza nazionale. Come mai nessuno ha dato l’allarme? Come mai l’opinione pubblica non è stata informata? Come mai non c’è stata nessuna mobilitazione, dei tecnici, degli amministratori, dei politici, dei cittadini? Se invece così non fosse e bastasse una manutenzione attenta e accurata, sarebbe bene che ingegneri ed esperti smettessero subito di far pericoloso allarmismo.
3. Sembra che per sostituire o alleggerire il ponte (non mi è chiaro quale delle due cose) ci fosse da anni (decenni?) un progetto alternativo di viabilità, la cosiddetta “gronda”. Mi pare che a questo progetto si sia opposta, oltre a Grillo e all’M5, anche la sinistra ambientalista. Per quali motivi? Era sbagliato il tracciato? Era giudicato un progetto troppo faraonico o inutile o speculativo? Ha pesato una opposizione “a priori” a qualsiasi grande opera? Quali alternative si proponevano? Su questo punto non trovo finora risposte chiare.
4. Quel pezzetto ultra minoritario di sinistra a cui appartengo sostiene da anni che la vera grande opera di cui l’Italia ha bisogno è la messa in sicurezza del territorio. Niente grandi opere ma investimenti massicci in tante “piccole” opere diffuse sul territorio. Benissimo. Ma forse dobbiamo ragionare un po’ anche sul problema delle grandi infrastrutture. Basta una buona manutenzione? O serve qualcosa di più e non possiamo limitarci solo a dire no? E’ solo un dubbio.
5. Infine. Stiamo parlando di Genova. Una città dove la sinistra è stata storicamente forte e ha governato per lunghi periodi. Possiamo solo “chiamarci fuori” o serve anche una seria riflessione autocritica? Ho letto con molta curiosità oggi, un pezzo di Marco Doria, che della città è stato sindaco, eletto con grandi speranze dalla sinistra. La lettura mi ha molto deluso: una serie di buoni principi e generiche intenzioni. Non uno straccio di analisi critica e autocritica su cosa non ha funzionato.
Da tutto ciò resta fuori, poi, il tema centrale. Siamo ancora in grado di pensare a delle città in cui al primo posto ci sia la qualità della vita delle persone? La foto del ponte “appoggiato” sulle case non può essere dimenticata. E’ un simbolo di tutto ciò contro cui dobbiamo combattere e della nostra incapacità a portare avanti le battaglie che contano.



